SALVA LA STORICA PASTICCERIA SCATURCHIO DI NAPOLI

Napoli rischiava di perdere un altro pezzo storico della propria città: la Pasticceria Scaturchio. La sua possibile chiusura definitiva non era dovuta alla crisi economica che sta affliggendo molteplici attività imprenditoriali di qualsivoglia settore, bensì alla cattiva amministrazione dei suoi proprietari, sui quali gravava un debito verso Equitalia (società privata che gestisce gli illeciti fiscali) pari a 9 milioni di euro riferiti a contributi non pagati dal 1991 a 140 dipendenti.
Per tali debiti la società è stata dichiarata fallita nel 2009 per ordine del giudice Giuseppe Dongiacomo della settima sezione del Tribunale di Napoli; la data dell’asta venne fissata per il 7 maggio 2010, con una base di un milione di euro. In vendita anche “babà Vesuvio” e “ministeriale”, due dolci brevettati dai Scaturchio che hanno fatto il giro del mondo.
Dopo una lunga diatriba giudiziaria, la storica pasticceria napoletana è stata ceduta ufficialmente mercoledì sera, a Edoardo Trotta, imprenditore napoletano. Oltre al proseguo dell’attività, Trotta ha un progetto che prevede la nascita di una sorta di «piazza Scaturchio» in quella parte di Piazza San Domenico Maggiore in cui si concentrano tutte le sue attività, ovvero l’elegante Palazzo Petrucci, unico ristorante di Napoli che in questo momento può fregiarsi della “stella Michelin”, e il Gran Caffè Aragonese con la splendida terrazza, destinato a cambiare nome in Scaturchio.
Tanti gli obiettivi previsti nel piano di Trotta. Primo fra tutti la nascita di un’intera linea di produzione imperniata sul famoso Ministeriale che andrà dal panettone al gelato. A seguire l’apertura di diversi punti vendita a marchio Giovanni Scaturchio nelle principali città italiane, Roma e Milano, e in un secondo momento anche a Londra e a Parigi. Dulcis in fundo, è il caso di dirlo, l’istituzione di un Premio Scaturchio per la pasticceria di qualità.
Prima parlavo di diatriba giudiziaria. Inizialmente Scaturchio era stata aggiudicata ad una cordata di due imprenditori: Michele Giugliano, di “Mimì alla Ferrovia” e appunto Edoardo Trotta. Con un’offerta di partenza di 500mila euro, poi salita fino a 750mila, avevano convinto il giudice presentando un articolato progetto per il rilancio che prevedeva, oltre al mantenimento di tutti i 54 dipendenti, anche l’apertura di nuove sedi a Roma, Milano e persino Parigi.
Il 31 maggio anche i sindacati avevano firmato l’accordo; dai 750mila euro pattuiti in occasione dell’asta si arrivava ad un milione di euro; veniva previsto, inoltre, un investimento per circa 800mila euro, da effettuare a breve termine. La cessione definitiva doveva essere ufficializzata nel giro di pochi giorni con una manifestazione presso la Confederazione dell’artigianato e della piccola e media impresa in via Duomo.
Tutto sembrava essere andato per il meglio, se non fosse che pochi minuti prima della firma del contratto è saltato l’accordo tra i due imprenditori Trotta e Giugliano. La cordata sarebbe saltata, infatti, proprio per le richieste di Trotta, che avrebbe preteso il 50% di quote aziendali con la possibilità di pagarle dilazionate nel tempo. Giugliano non ha accettato ed ha deciso di ritirarsi per tutelare i lavoratori.Un risvolto inaspettato della vicenda che mette seriamente in pericolo il futuro di 54 dipendenti e di uno dei simboli positivi di Napoli. In data 21 luglio Trotta ha però presentato un nuovo piano di ristrutturazione aziendale che prevedeva – a differenza del primo – un ridimensionamento dei 54 dipendenti della pasticceria, stimato in 20 unita
Tra l’altro nelle trattative sarebbe rientrato di nuovo anche Michele Giugliano, che si era dichiarato disposto a rientrare nelle trattative a determinate condizioni. Ma il 30 luglio Trotta fa di nuovo un passo indietro, poiché Michele Giugliano, in qualità di sua “spalla economica” in società dall’inizio, non ha voluto nuovamente concludere l’operazione. Il giudice della settima sezione del tribunale fallimentare, Angela Perrino, gli aveva così concesso altro tempo (entro il 16 settembre) per trovare i soldi necessari per l’acquisto o eventualmente anche un altro socio.
Fortuna che Trotta ha risolto positivamente la vicenda; in fondo, rileva anche un marchio storico ben avviato.

Che tristezza leggere questa storia, soprattutto perché la protagonista è una storica pasticceria napoletana, in attività dal lontano 1905 e inventrice di due dolci, anch’essi messi miseramente all’asta come il suo marchio: il “babà Vesuvio” e il “ministeriale”.
La pasticceria Scaturchio fu inaugurata in Piazza San Domenico Maggiore, nel cuore di Napoli, da Giovanni Scaturchio, di origini calabresi. Divenne negli anni uno status symbol della Napoli bene, culla di tradizioni culinarie ereditate da cuochi ottocenteschi.
Dopo il fondatore Giovanni, lo scettro passò a suo figlio Nicola, classe 1929, coadiuvato dalla sorella Ivanca e dal marito, Francesco Cannatello, affermato pasticcere. L’attività si intensificò tanto da richiedere che nel 1970 il laboratorio venisse trasferito in nuovi locali, poco lontano, in via San Geronimo alle Monache. La pasticceria ha confezionato torte per Papa Giovanni XXXIII, per il G7 di Napoli, per re e sultani.
Poi arrivò l’anno horribilis 1996, quando cominciarono a comparire in bilancio cifre con il segno meno. E nel 2000 i primi debiti verso enti previdenziali per 690mila euro. Nel 2004 Nicola, colpito da infarto, lasciò l’azienda, e la sorella, preoccupata per un’esposizione lievitata a 9 milioni di euro, decise di affidare la gestione all’esterno. Nel 2005 Walter Cannatello, figlio di Ivanca, firmò un contratto di affitto d’azienda con lo Scab di Roma che fa capo a Paolo Scarfoglio, il quale millantava anche una parentela con Edoardo, marito di Matilde Serao, legame poi smentito dagli eredi della scrittrice del Ventre di Napoli. Con una licenza per vendita di bevande e un’amministratrice di soli 25 anni, la Scab non si è mostrata all’altezza della situazione delicata, e quindi dell’impegno di ripianare i debiti verso gli enti previdenziali; non gestisce l’azienda, ma ne chiede i prodotti per feste private, e, ancora peggio, non pagava i dipendenti che scioperano.
Subentra così la “Turistiche Alberghiere” di Benevento. L’esposizione sale ed Equitalia recrimina il pagamento; anche la nuova società affittuaria incassa, ma non paga debiti pregressi né fornitori: maturano altri debiti per 4-5 milioni. 
Nel 2009 il fallimento. Nell’attivo macchinari, marchio, due brevetti (ministeriali e babà Vesuvio) e immobili per 5,5 milioni. Il resto è storia d’oggi.

Speriamo che la vicenda si chiuda definitivamente qui, e che Scaturchio non chiuda di nuovo i battenti. D’altronde il suo fallimento è già un fatto a dir poco scandaloso. Anche per i suoi 54 dipendenti, la cui bravura, insieme a quella di chi li ha preceduti per oltre un secolo, ha reso il marchio della pasticceria di fama internazionale; ma che l’incompetenza di chi l’ha amministrata ha rischiato di far scomparire per sempre.

(Fonte: Denaro.itCorriere del Mezzogiorno)

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Pubblicato da Vito Andolini

Appassionato di geopolitica e politica nazionale.

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