Riforma pensioni bocciata da Consulta, lacrime della Fornero costateci 5,5 milioni: le pesanti conseguenze sui conti pubblici
LA Corte Costituzionale ha bocciato il mancato adeguamento delle pensioni per il biennio 2012-2013. Ci sono subito 5,5 milioni di euro da restituire ai pensionati e Il governo nei prossimi giorni si riunirà per decidere come affrontare l’emergenza
“I Professori non chiedevano mai se eravamo felici”, canta Luca Carboni nella struggente ”Silvia lo sai?”. Un passaggio che mi viene sempre in mente quando ripenso al Governo Monti, composto da una squadra di freddi burocrati che per rimettere i conti a posto se la prese con la classe media. Una delle scelte fu quella di bloccare nel biennio 2012-2013 l’indicizzazione per le pensioni superiori ai 1500 euro (quando il tasso variò tra il 2,6% e l’1,9%). Pensioni che dunque non furono adeguate al costo della vita. La manovra divenne famosa anche per le lacrime della Fornero in conferenza stampa. L’esecutivo ci guadagnò ben 5,5 milioni di euro. Ma ora la Corte costituzionale – che ci salva sempre dalle storture dei governanti – ha dichiarato quella manovra incostituzionale ed ora la patata bollente passa al Governo Renzi che dovrà trovare il modo di restituirli ai pensionati. Ecco i possibili scenari futuri (tutti ovviamente negativi) sui già malandati conti pubblici italiani.
LE CRITICITA’ RILEVATE – I profili d’incostituzionalità sollevati già da tempo da diversi tribunali e dalla Corte dei Conti, esistono appieno e risultano i seguenti:
– l’articolo del Salva Italia aveva, innanzitutto, una motivazione insufficiente, a parere della Corte, poiché si basava su esigenze finanziarie non illustrate nel dettaglio: una giustificazione troppo vaga non è legittimata ad influire sul potere d’acquisto delle pensioni , e, dunque, sul fondamentale diritto ad una prestazione previdenziale adeguata alle esigenze vitali quotidiane;
– la norma, pertanto, viola sia la proporzionalità dell’assegno pensionistico, poiché deve essere assimilato, da questo punto di vista, alla retribuzione sia la sua adeguatezza, che i principi di solidarietà ed uguaglianza, dei quali la pensione è considerata espressione fondamentale. Osservando tali notevoli violazioni, e riflettendo non solo sull’articolo incriminato, ma sull’intera Riforma Previdenziale, ci accorgiamo che le stesse considerazioni d’incostituzionalità possono essere fatte su tante altre disposizioni della normativa, minandone l’intero apparato.
Ci si domanda, ad esempio, quanto sia rispettosa della Costituzione una Legge che stabilisce un’età pensionabile avanzata, con adeguamenti alla speranza di vita eccessivamente rigidi: non solo perché si costringe un soggetto a lavorare ad oltranza, in condizioni di salute, molto probabilmente, precarie , ma anche perché, con l’avvento della crisi economica, queste persone sono le prime ad essere espulse dal mercato del lavoro, col rischio di ritrovarsi, dunque, senza stipendio, né pensione.
Non sono state previste, inoltre, dal Decreto Salva Italia, né misure sufficienti a rendere appetibile l’assunzione di over 50-55, né misure di flessibilità adeguate, che consentano la permanenza al lavoro di questi soggetti, offrendo loro più tempo libero, senza eccessiva riduzione della retribuzione. L’aver lasciato i lavoratori anziani privi di tutela collide, dunque, in maniera inequivocabile con la nostra Carta Costituzionale, riguardo a tutti i profili già analizzati: semplici esigenze finanziarie, inadeguatamente motivate, non bastano, pertanto, a giustificare il fatto di aver minato le basi della sicurezza sociale.
Nemmeno può essere utile, a difesa della Riforma, chiamare in causa l’Europa: in primis, poiché le normative europee non stabiliscono un’età pensionabile unica, non entrando nel merito delle singole legislazioni; in secondo luogo, perché, se osserviamo le tabelle con le proiezioni delle età pensionabili nei vari Paesi europei, non al 2015, ma addirittura al 2020, ci accorgiamo che è l’Italia lo Stato con i parametri più severi.
Nel 2020, per pensionarsi, un cittadino italiano dovrà aver compiuto 66 anni e 11 mesi, che salteranno a 67 più 2 mesi nel 2021, contro una media di 64,03 anni; molti Paesi, peraltro, prevedono età pensionabili flessibili, che partono dai 60 ai 62 anni. I nostri governanti, comunque, hanno preso atto della caducità del Salva Italia, e stanno già correndo ai ripari: mai come in questi giorni, infatti, il dibattito sulle pensioni è stato tanto acceso.
IL TESORETTO DA RESTITUIRE – Come detto, ci sono subito 5,5 milioni di euro da restituire ai pensionati per via dell’indicizzazione perduta nel biennio 2012-2013 (quando il tasso variò tra il 2,6% e l’1,9%). Un impatto a regime che può salire fine a 10-12 miliardi, per superare integralmente il blocco della perequazione per le pensioni fino a tre volte il minimo Inps.
I recuperi potranno andare dai 4.700 euro circa per pensionati con assegni che valgono fino a quattro volte il minimo a più di 10mila euro per pensionati con assegni che valgono dieci volte il trattamento minimo.
Inoltre, la sentenza della Consulta dovrebbe far rivivere (questa, almeno, è l’ipotesi che si assume nelle simulazioni riportate in questa pagina) le modalità perequative previste dalla precedente normativa.
RISCHIO CLAUSOLE DI SALVAGUARDIA– Il governo, nei prossimi giorni, si riunirà per decidere come affrontare l’emergenza. Che potrebbe far scattare nuovamente le clausole di salvaguardia previste dall’ultima legge di Stabilità: manovra che, lo si ricorderà facilmente per la forte polemica provocata, aveva previsto la possibilità di un aumento progressivo dell’IVA dal 2016 fino al 2018, partendo da un innalzamento (per l’IVA ordinaria) dal 22 al 24% fino a toccare quota 25,5%. Oltre a ciò, nelle clausole di salvaguardia è contemplato l’aumento delle accise sulla benzina già a partire da questa estate. Insomma, il rischio di un aumento generalizzato dei prezzi, scongiurato solo poche settimane fa con l’approvazione dell’ultimo DEF, sembra ora tornare con un’urgenza ancora più preoccupante.
SI POTREBBE RIVEDERE IL DEFICIT– Il Governo potrebbe decidere di rivedere le stime del proprio indebitamento, portando il deficit dal 2,5% al 2,8% (previo accordo con i vertici europei). Sempre meno di quel 3% imposto dall’UE, ma comunque riportandolo di nuovo in “zona cesarini”. La misura, peraltro, potrebbe non essere sufficiente perché riuscirebbe a coprire solo i primi 4,8 miliardi a cui l’erario dovrà fare fronte nel breve.
POSSIBILE MANOVRA BIS IN ESTATE– Al momento, questa ipotesi sembra essere stata scartata, ma di certo dal 2016 sarà necessaria una nuova copertura a regime da inserire nella prossima legge di stabilità (quella del 2017), attraverso nuove tasse o ulteriori riduzioni della spesa pubblica.
Ora ripartiranno i contatti con Bruxelles, a cui il Governo dovrà chiedere il nulla osta per un nuovo sforamento del debito. L’esito della trattativa non è scontato, poiché con il Def appena inviato a Bruxelles il governo si era impegnato a ridurre il deficit dal 3% del 2014 al 2,6% e a garantire almeno 10 miliardi di risparmi con la spending review.
POSSIBILI FUTURE RIFORME – Diversi disegni di legge sono già stati depositati, e moltissime sono le idee di una nuova riforma: dal collocamento a riposo con minimo 62 anni d’età e 35 di contributi, dall’assegno per tutti gli over 55 disoccupati, sino all’età per il trattamento di vecchiaia, alla pensione anticipata con penalizzazioni, al ‘prestito pensionistico’. La capacità di trovare soluzioni non manca, bisognerà poi vedere quanto queste soluzioni saranno apprezzate dalla Ragioneria dello Stato, che promuove soltanto le normative atte a far soldi nell’immediato.
L’aspetto positivo, ad ogni modo, è che ci si sia resi conto, a livello istituzionale, non solo di non poter più ‘girare la faccia dall’altra parte’ e far finta che l’emergenza sociale non esista, ma soprattutto che, in nome del ‘far cassa subito’, non si possa agire in spregio della Costituzione.
(Fonte: Qui finanza)