RENZI E ALFANO HANNO LA STESSA RICETTA PER RILANCIARE IL LAVORO: RENDERLO ANCORA PIU’ PRECARIO

DATA ULTIMO AGGIORNAMENTO: 20 Dicembre 2020

ENTRAMBI PARTONO DAL PRESUPPOSTO CHE SONO LE TROPPE TUTELE CONTRATTUALI A DISINCENTIVARE LE AZIENDE AD ASSUMERE. MA DIMENTICANO CHE IL VERO PROBLEMA SONO TASSE E BUROCRAZIA
Di tanto in tanto si torna a parlare di Articolo 18 e della necessità di rivederlo al fine di incentivare le aziende ad assumere. Ma difensori e accusatori di questa sudata (a colpi di scioperi e manifestazioni) fonte di diritti è ormai elusa da anni, poiché la temuta “reintegra” del licenziato viene ammessa ormai solo nel caso di evidente “discriminazione”, come quella di delegati o iscritti ai sindacati “scomodi”. Le assunzioni avvengono quasi esclusivamente attraverso formule contrattuali ultra-precarie, introdotte dal “pacchetto Treu” nel 1997 e potenziate poi dalla “legge 30” di Berlusconi-Sacconi; leggi che consentono di eliminare la manodopera “eccedente” senza alcun problema né indennizzo economico. Eppure la disoccupazione aumenta e i nostri rampanti e “giovani” politici in ascesa, quali Matteo Renzi e Angelino Alfano, ritengono che bisogna ulteriormente precarizzare il lavoro al fine di creare occupazione. Perfino un tecnocrate come il Ministro del welfare Giovannini, si è sentito in obbligo di precisare che non sono le norme a creare lavoro. Lor signori non capiscono (o fingono di non capire) che il vero male del nostro Paese sono le tasse sul lavoro e la burocrazia eccessiva.

LE PROPOSTE DI ALFANO – Il primo presenta un “piano” in cinque punti:
– tre anni a “burocrazia zero” per chi voglia investire; l’impresa può partire senza aspettare autorizzazioni, ma “nel rispetto delle normative vigenti” (i tagli alla spesa pubblica provvederanno a ridurre a zero gli eventuali controlli di legalità);
– eliminazione dei contratti nazionali di categoria; si dovrebbe regolare tutto con contratti aziendali o individuali; non serve uno scienziato per capire che così ogni imprenditore può far pesare un personalissimo squilibrio di forze rispetto ai dipendenti, obbligandoli ad accettare qualsiasi condizione di lavoro (e di salario);
– trasformare i sussidio di disoccupazione in “incentivi all’assunzione” (ovvero dando i soldi all’azienda invece che la disoccupato!), azzerando le tasse che l’imprenditore deve pagare sulle retribuzioni (in questo modo crolla anche il bilancio dell’Inps, chiaramente);
– ogni euro di taglio alla “spesa pubblica improduttiva” deve essere impegnato a tagliare le tasse sul lavoro (il cosiddetto “cuneo fiscale”, tagliando quindi le entrate per il sistema pensionistico);
– un “voucher” da assegnare al disoccupato, ma che verrà incassato dall’azienda che lo assume; il voucher-opportunità che potrà essere speso nei centri di formazione e collocamento pubblici, privati e no-profit (quindi incamerato da questi altri enti). Il voucher sarà incassabile solo se il disoccupato – nonostante tutti i tentativi – troverà lavoro.
QUELLE DI RENZI – In casa Pd la musica non cambia. Si rispolvera l’antica proposta di Pietro Ichino spacciandola ovviamente per “novità”:
– un contratto di lavoro per i neoassunti che non prevede, per un periodo di almeno tre anni, la tutela dell’articolo 18 (depotenziato), quindi licenziabili “al cenno”. L’idea è stata avanzata da Yoram Gutgeld, ex senior partner e direttore di McKinsey & Company fino al Marzo 2013, quando è stato “nominato” deputato nel Parlamento italiano per conto del Pd. Anche il “nuovo e giovane” responsabile economico del partito, Filippo Taddei, appena nominato da Renzi in questo ruolo, ha appoggiato pienamente quanto suggerito da così potente partner di partito.
Bisogna aggiungere che la proposta renziana è per il momento assolutamente generica sul lato “propositivo”, ma assolutamente chiara su quello “distruttivo”. Per esempio: abolire la cassa integrazione, sostituendola con un meno protettivo “assegno di disoccupazione” (è da ricordare che la cig “conserva” il posto di lavoro fino a scadenza, scommetendo che l’azienda possa riprendersi e rimettere in produzione i cassintegrati; l’assegna di disoccupazione, al contrario, presuppone il licenziamento).
Qui la retorica neoliberista si scatena sul “riequilibrio tra garantiti e non”, con proposte che eliminano le garanzie per tutti. È come combattere le disuguaglianze rendendo tutti poveri.

(Fonte: Contropiano)
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Pubblicato da Vito Andolini

Appassionato di geopolitica e politica nazionale.

0 Risposte a “RENZI E ALFANO HANNO LA STESSA RICETTA PER RILANCIARE IL LAVORO: RENDERLO ANCORA PIU’ PRECARIO”

  1. E pensare che qualche milione di italiani ha dato pure 2 euro per eleggere renzi…. Se li davano ai canili facevano un'opera migliore e più umana.

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