QUARANT’ANNI FA LA STRAGE DI PIAZZA FONTANA, UNA DELLE TANTE DIMENTICATE

Quarant’anni fa nella “Banca dell’Agricoltura”, in Piazza Fontana a Milano, un venerdì alle ore 16:37, esplose una bomba, provocando 17 morti e 88 feriti.
Il giorno non fu scelto a caso, essendo il venerdì per gli agricoltori giorno di mercato, quindi di abituali incontri e contrattazioni. Vieppiù, nello stesso giorno a Roma, un’altra bomba esplose nella Banca Nazionale del Lavoro, provocando il ferimento di 16 persone, e un’altra bomba esplose alla tomba del “Milite Ignoto”, ferendo 4 persone.

L’attentato di Piazza Fontana rientra, anzi, dà proprio il via, a quella strategia diabolica ed assassina messa in piedi da terroristi, criminali e settori deviati dello Stato, definita “strategia della tensione” poiché un coarcevo di forze di natura diversa e in taluni casi anche opposta (Servizi segreti italiani ed internazionali, strutture armate occulte, gruppi di estrema destra con ispirazioni golpiste, lobby segrete, centrali economiche preoccupate dal cambiamento, organizzazioni criminali di diversa origine) ha tessuto una trama di morte dai contorni ancora oggi non del tutto chiariti, con l’obiettivo di creare uno stato di disordine sociale, che così giustificasse l’intervento delle forze dell’ordine; con l’intento, anziché di destabilizzare le istituzioni, di rafforzare un potere statale contro ogni forma di cambiamento. Occorre ricordare infatti, il fermento socio-culturale in atto in Italia, come in molte altre parti del Mondo a partire proprio dalla fine degli anni ’60 e per tutta la prima metà degli anni ’70.
Per quanto riguarda il fenomeno della “Strategia della tensione” nel suo complesso, la Commissione parlamentare d’inchiesta sulle stragi in Italia, ha individuato quattro fattori che hanno agito già nel corso degli anni ’60, ma che furono attivi soprattutto nella prima metà del decennio successivo:
a)Reti clandestine composte da militari e civili, di ampiezza ben superiore al livello ufficializzato di Gladio, ancora oggi sconosciute, che avevano come finalità quella di opporsi ad una probabile
occupazione da Est del territorio, quindi in un’ottica anticomunista.
b)Gruppi clandestini di estrema destra aventi l’obiettivo di determinare un’involuzione autoritaria dello Stato.
c)Rapporti di contiguità e connessione tra settori istituzionali dello Stato e i suddetti gruppi.
d)Strategia di contrasto al pericolo comunista basata su una guerra “non convenzionale” (appunto rivoluzionaria), che ormai aveva raggiunto anche l’Occidente.
Per cui, secondo la Commissione, eversione di destra ed eversione di sinistra vanno visti nel loro insieme, in quanto la prima fondava la paura di “un pericolo rosso”, sull’acuirsi della protesta sociale di sinistra, attuando, come detto, tentativi di involuzione autoritaria; mentre la seconda giustificava il proprio agire sulla percezione di tendenze golpiste presenti anche in apparati istituzionali, trasformando la propria protesta in forme sempre più eversive e rivoluzionarie.
Sempre secondo la Commissione, la Strategia della Tensione ha subito un mutamento a piè pari con i cambiamenti politici sia nazionali che internazionali; in tale ottica, il 1974 può essere considerato lo spartiacque nel cambiamento di strategia da parte della destra eversiva; ciò, sia per un cambiamento interno al nostro Paese sia per un cambiamento dello scenario Internazionale. In particolare il mutamento della strategia della politica estera degli Stati Uniti, avviata nel 1967, che raggiunse il suo apice nel ’69 e si concluse appunto nel 1974. Tale strategia, voluta dalla CIA, si basava su un’operazione definita in codice “CHAOS” e consisteva nell’infiltrare a scopo di provocazione propri elementi in gruppi, partiti e associazioni della sinistra extra-parlamentare,
anarchici, marxisti leninisti, operaisti e castristi, in Italia, Francia, Gran Bretagna, Spagna e Repubblica Federale Tedesca. Tale strategia fu voluta dal Presidente Nixon di concerto con Henry Kissinger, direttore del National Council e dal settembre 1973 Segretario di Stato. Obiettivo della CIA era quello di creare un’azione a vasto raggio, tesa a contrastare con ogni mezzo l’espandersi, a livello europeo, di movimenti e gruppi di sinistra.
Nel 1974 lo scenario internazionale mutava per alcune vicende: lo scandalo Watergate negli Stati Uniti, che provocò un indebolimento dell’asse Nixon-Kissinger, e il crollo, in Europa, dei regimi
portoghese e greco appoggiati dagli stessi USA.
A ciò seguì la sostituzione da parte dell’allora Ministro della Difesa, Andreotti, del capo del SID, Miceli e la richiesta fatta agli Ufficiali del SID di raccogliere documentazione sul tentato Golpe Borghese, nella notte dell’8 dicembre 1970. Queste vicende interne al SID lasciano sospettare, che le stesse istituzioni italiane avessero avvertito “la nuova aria” che si stava respirando a livello internazionale. Del resto, a testimonianza di una possibile implicazione degli Stati Uniti nelle
vicende italiane interne, è anche la dichiarazione resa da Kissinger al Congresso degli Stati Uniti, circa l’operato della CIA in Cile, affermando che, se la CIA ha subito dei rimproveri per il suo
intervento in Cile, avrebbe subito critiche ancor più feroci se non avesse fatto nulla per scongiurare l’ascesa dei comunisti in Italia. E ciò getta inquietanti ombre, sul sequestro e l’assassinio di Moro.
Ciò nonostante sarebbe riduttivo ricondurre il mutamento di contesto solo a cause di politica internazionale. Bisogna sottolineare come, nonostante i rischi di un’involuzione autoritaria fossero alti, il nostro sistema politico-istituzionale abbia retto. A ciò va aggiunto che anche le inchieste giudiziarie proprio nel ’74 cominciarono a seguire piste nuove e concrete, anche se l’illusione durò pochi mesi in quanto la Corte di Cassazione sottrasse le istruttorie ai loro giudici iniziali,
frantumando come un castello di carta, quanto di buono era stato iniziato.
Ma ritorniamo alla strage di Piazza Fontana, della quale si occupò la Procura di Milano. Per l’attentato a Piazza Fontana, sarà arrestato il ferroviere anarchico, Giuseppe Pinelli; ma il 15 dicembre, durante l’interrogatorio sottoposto dal Commissario Calabresi alla Questura di Milano, egli precipiterà dal quarto piano e le cause della sua morte restano tutt’oggi misteriose. Tuttavia, dopo sei anni dalla sua morte, il tribunale stabilì che Pinelli non era mai stato coinvolto in quel delitto.
Il giorno dopo, accusato dal tassista Cornelio Rolandi, venne arrestato per la stessa strage Pietro Valpreda, che sotto pressione dell’opinione pubblica, sarebbe stato liberato tre anni dopo. Egli sarebbe risultato del tutto innocente. I media accusarono Valpreda della strage, additandolo come un mostro, in particolare alcuni giornali di area politica conservatrice, nonché il media di massa per eccellenza, la televisione (per quanto riguarda i giornali, i più feroci contro Valpreda furono il Corriere della Sera, che definì “sbagliata” la sua vita, definendolo “ex ballerino, rapinatore e anarchico”, mentre non meno pesanti furono le definizioni della Nazione che lo definirà come un “mostro umano” e il Tempo come “pazzo sanguinario; altresì Bruno Vespa, fu uno dei primi a dare per certa la colpevolezza di Valpreda al telegiornale delle 20:00 su Raiuno).
Altri sospettati esecutori della strage, come Delle Chiaie, Freda e Ventura, sono stati tutti assolti. Quindi, gli attentati del 12 dicembre sono restati sostanzialmente impuniti.
Ma all’onor del vero, vale la pena richiamare alcuni intrecci tra gli appartenenti ai gruppi di estrema destra e il SID (i Servizi segreti italini). Le indagini milanesi indicano nel leader di A.N., Stefano Delle Chiaie, un uomo non solo fortemente legato al SID, ma anche alla struttura internazionale “Aginter Press”, facente capo a Guerin Serac, con sedi in Spagna, Portogallo e Francia. Orbene, è documentalmente accertato, che una fonte ignota del SID avrebbe attribuito quattro giorni dopo la strage, la responsabilità, all’anarchico Merlino Mario mandato da Delle Chiaie e la mente organizzatrice a un tale Guerin Serac. In realtà i documenti del SID erano due: il primo, datato 16 dicembre, in cui erano citati l’uso di congegni ad orologeria negli ordigni usati e l’infiltrazione del probabile responsabile Merlino, nel gruppo di estrema sinistra “22 Marzo”, con l’obiettivo di far seguire alle indagini un’improbabile “pista rossa”. Citazioni che il secondo documento, datato 17 dicembre, consegnato a Polizia e Carabinieri, non conteneva.
L’insabbiatura delle inchieste da parte dei Servizi Segreti fu palese, quando le indagini soffermarono la loro attenzione su una cellula neofascista padovana facente capo a Franco Freda. Il più importante, ma di certo non unico, elemento di prova contro Freda come autore della strage di Piazza Fontana, fu un suo acquisto di 50 timers della stessa marca e tipo di quelli utilizzati negli attentati del 12 dicembre ‘69, ma che egli dichiarò di aver venduto, già nella prima metà dello stesso anno, ad un fantomatico Ufficiale dei Servizi Segreti algerini, il capitano Hamid e ciò lo scagionerebbe da ogni sospetto come responsabile negli attentati.
Le recenti acquisizioni dell’indagine milanese sono utili a smantellare quest’alibi di Freda, come ad esempio le dichiarazioni di altri estremisti di destra che oggi sono collaboratori di giustizia (come
Bonazzi, Calore e Izzo), che hanno confermato l’utilizzo dello stesso tipo di esplosivo, acquistato da Freda, anche per il tentato attentato al treno Torino-Roma del ’73; quindi Freda non avrebbe venduto tali esplosivi al capitano Hamid ma ne era ancora in possesso.
Comunque la lista dei depistaggi è ancora più lunga:
a) La distruzione dell’esplosivo ritrovato in possesso di Giovanni Ventura e suo fratello, senza che la Magistratura ne avesse dato l’ordine e ne fosse stata avvisata.
b) Il caso del bidello Marco Pozzan, che aveva parlato durante i processi del ’72 della riunione di Freda con altri esponenti della destra eversiva (tra cui Rauti), avvenuta il 18 aprile ’69 a Padova; e che pochi giorni dopo, dichiarò di aver parlato in stato d’innegabile confusione mentale. Qualche giorno dopo egli fu ospitato per diversi giorni dal SID a Roma, che poi gli fornì un passaporto con dati falsi; così fu accompagnato in Spagna, dove fece perdere le sue tracce. Responsabile dell’operazione furono il generale Maletti e il suo collaboratore, il capitano Labruna. La loro versione dei fatti non fu mai convincente per l’inchiesta giudiziaria.
c) Il caso di Giannettini: Ventura aveva confessato di essersi infiltrato nel gruppo di Freda per conto del SID, che lo teneva in contatto, tramite appunto Giannettini, che gli trasmetteva rapporti informativi segreti. La copertura durò fino al giugno 1974, quando il Ministro della Difesa, Giulio Andreotti ammise in una clamorosa intervista, che Giannettini era un informatore del SID e che la decisione di coprirlo dall’alto sarebbe stato un grave errore. Ma l’operato del SID andò ben
oltre, perché, quando Ventura cominciò la confessione e l’inquirente milanese stava concentrando la sua attenzione su Giannettini, gli stessi Ufficiali, implicati nel “caso Pozzan”, cioè Maletti e Labruna, fecero lo stesso con Giannettini: lo mandarono in un appartamento del SID e poi lo fecero espatriare in Francia nell’aprile 1973.
Dopo una tale panoramica, sui diversi episodi di copertura da parte dei Servizi Segreti, la Commissione parlamentare d’inchiesta non ritenne opportuno definire la strage di Piazza Fontana, come “strage di Stato” o come strage ideata dalla mente di un singolo folle, bensì una strage eseguita da un gruppo eversivo organizzato. A ciò si aggiunse una probabile incentivazione da parte d’infiltrazioni di singoli appartenenti a settori istituzionali, anche esteri e le successive coperture istituzionali, che pure ci sono state; con l’obiettivo, quest’ultimo, di stralciare ogni prova di legame tra i gruppi eversivi e i settori istituzionali dello Stato.
Sono passati quarant’anni da quella strage, ma i familiari delle vittime e i sopravvissuti alla stessa, non hanno ancora ottenuto la giustizia che gli spetta di diritto; o quantomeno, sapere con certezza chi architettò quella diabolica strage che ha privato molte persone dei propri cari o ha lasciato una ferita impossibile da rimarginare nei sopravvissuti. La recente stretta di mano tra la vedova Pinelli e la vedova Calabresi è un buon inizio, almeno per una pacificazione della memoria. Ma il passaggio fondamentale spetta alle istituzioni, in tutti questi anni volutamente silenziose sulla Strategia della tensione, forse proprio perché ben sanno che quegli eventi tragici non furono solo opera di un manipolo di terroristi e criminali, ma anche di alcuni settori deviati dello Stato, ovvero i Servizi segreti italiani e americani, che in taluni casi hanno permesso la fuga all’estero degli esecutori materiali degli attentati, in altri hanno provveduto al depistaggio delle prove, in altri ancora hanno fornito loro le armi necessarie; il tutto, per uno stravolgimento in chiave autoritaria del nostro sistema politico democratico.

In favore di un definitivo disvelamento della verità, reso sempre più difficile dall’incedere del tempo, vuoi per la scomparsa dei testimoni chiave, vuoi per l’affievolimento della loro memoria, è stato proposto un appello per la gestione degli archivi di Stato, intitolato proprio “Aprire gli armadi”, e sarà proposto alle alte cariche dello Stato. Infatti, sebbene dal 2007 il segreto di Stato sia stato limitato a un massimo di trent’anni, ciò non ha risolto il problema: molti armadi in teoria sono aperti, ma non per questo sono accessibili. L’accesso ai documenti necessari alle ricostruzioni storiche resta in moltissimi casi assai difficoltoso.

Tra i primi firmatari figurano: l’Associazione Piazza Fontana 12 Dicembre 69; il Centro Studi e iniziativa sulle stragi politiche degli anni 70; Licia, Claudia e Silvia Pinelli; l’Associazione familiari dei caduti di piazza della Loggia e “Casa della memoria” di Brescia; Fondazione Roberto Franceschi di Milano; Benedetta Tobagi; Daniele Biacchessi, scrittore e interprete di teatro civile.
Tra i firmatari, molte Associazioni, Unioni, partiti e singoli politici, giornalisti, scrittori, e cittadini; tutti mostratisi sensibili alla causa.
L’appello consta di 4 punti essenziali:
1) NORMATIVA SUL SEGRETO DI STATO. Piena attuazione della Legge 3 agosto 2007, n. 124 “Sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica e nuova disciplina del segreto di Stato” ed elaborazione dei decreti attuativi, affinché faciliti davvero e normalizzi l’accesso alla documentazione degli archivi storici degli apparati di sicurezza italiani. Il Freedom of Information Act statunitense ci pare un modello a cui è possibile ispirarsi;
2) COMMISSIONI PARLAMENTARI D’INCHIESTA. Piena accessibilità agli studiosi e ai cittadini della documentazione governativa e delle carte acquisite dalle Commissioni d’inchiesta parlamentari. In particolare, si richiede la tempestiva pubblicazione di tutti gli atti delle Commissioni parlamentari in attuazione delle relative delibere;
3) ATTI GIUDIZIARI DI RILEVANZA STORICO-SOCIALE. Attuazione di tutti quegli accorgimenti atti a garantire la conservazione dei procedimenti di particolare rilevanza storico–sociale e agevolarne la consultazione; ad esempio, si caldeggia un proseguimento e ampliamento dei progetti di digitalizzazione in corso;
4) ARCHIVI DI STATO. Assicurare che si applichi con regolarità e tempestività il versamento delle carte dagli archivi correnti agli archivi storici (art. 41 del codice dei Beni Culturali) e garantire agli archivi storici, che sono una colonna portante della nostra democrazia (ma spesso vengono trascurati come fossero una “Cenerentola” della cultura) risorse, personale e spazi fisici per tutelare al meglio quel patrimonio che può aiutarci a conoscere ed elaborare le pagine più difficili e tormentate della storia dell’Italia repubblicana.

Lascio per ultimo il nome delle vittime. Non perché tale elenco sia meno importante di tutto il resto; ma, al contrario perché ai loro nomi voglio affidare la conclusione di questo post affinché restino impressi il più possibile nella mente del lettore. Nell’attesa che prima o poi per loro sia fatta giustizia, cerchiamo almeno di renderli vivi nella nostra memoria.

GIOVANNI ARNOLDI, GIULIO CHINA, EUGENIO CORSINI, PIETRO DENDENA, CARLO GAIANI, CALOGERO GALATIOTO, CARLO GARAVAGLIA, PAOLO GERLI, LUIGI MELONI. VITTORIO MOCCHI, GEROLAMO PAPETTI,  MARIO PASI, CARLO PEREGO, GIUSEPPE PINELLI, ORESTE SANGALLI, ANGELO SCAGLIA, CARLO SILVA, ATTILIO VALLE’.

A chi volesse approfondire il tema della Strategia della tensione, segnalo il libro “Le stragi dimenticate”, nel quale è descritto il contesto storico entro cui avvenne la Strategia della tensione, partendo dal “fermento sociale” degli anni ’60; le stragi e i singoli omicidi per opera dell’estrema destra, con i conseguenti depistaggi che in molti casi vi sono stati e i processi spesso inefficienti nell’individuazione dei responsabili; le relazioni sul tema della Strategia della tensione, della Commissione parlamentare d’inchiesta sul terrorismo in Italia presieduta dal senatore diessino Giovanni Pellegrino; infine, è dedicato un capitolo (l’ultimo) ad una strage in particolare, quella riguardante il treno “RAPIDO 904”:

Questo è il link per poterla consultare ed eventualmente acquistare:
5,0 / 5
Grazie per aver votato!

Pubblicato da Vito Andolini

Appassionato di geopolitica e politica nazionale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.