Puff Diddy e il precedente di Michael Jackson: dietro le solite lobby sioniste

Puff Diddy e il precedente di Michael Jackson: dietro le solite lobby sioniste

Ecco il caso Puff Diddy che fa tremare politici, attori e musicisti. E che riporta in auge quanto accadde a Michael Jackson.

Il mondo della musica, del cinema e della politica sono stati scossi fin sotto le fondamenta dal nuovo, ennesimo, scandalo legato allo Showbiz. A quel mondo grigio, sporco, dove si traffica di tutto (dagli esseri umani alla droga fino alle armi) e dove girano milioni di dollari come fosse acqua fresca. Parliamo, ovviamente, del caso Sean John Love Combs, meglio noto con gli pseudonimi Puff Diddy, Puff Daddy o Love. Potente e, in fondo talentuoso, rapper afroamericano che da anni tiene i suoi famosi White Party. Ai quali partecipavano tanti Vip e di più ambiti.

Ora l’FBI – mosso forse da una pulizia interna che ne sta modificando l’operato, rendendolo meno fazioso e di parte – ha deciso di fare irruzione in quelle feste e scoprire un vaso di Pandora che poi tale non era.

Il caso Puff Diddy: cosa è successo

Come ricostruisce bene Cesare Sacchetti, ex giornalista de L’Antidiplomatico, Il Fatto Quotidiano e Libero Quotidiano, sul suo interessante blog La cruna dell’ago, i White Party di Puff Diddy somigliavano tanto ad antichi riti ancestrali, dove si sacrificavano bambini e vergini da portare in dono a un dio. Qui il dio è profano, o meglio, anche sacro, ma legato ai miliardi. In pieno stile lobby sionista.

Si parla, per esempio, del più grande gruppo discografico al mondo della Universal Music Group, presieduto da Lucian Grainge, imprenditore britannico di origini ebraiche, e Sherry Lansing, americana anch’ella di origini ebraiche e vedova del noto regista americano, sempre di origini askenazite: William Friedkin (autore di film come “L’esorcista” o “Il braccio violento della legge”).

Il personaggio di Lucian Grainge, in particolare, ben sintetizza chi sono davvero i signori della musica in America e nel mondo. Il patron della Universal Music è infatti uno dei principali finanziatori del gruppo sionista “Amici delle forze armate israeliane” e sua moglie, Caroline Grange, finanzia a sua volta la federazione sionista.

Un altro grande colosso della musica, la Warner Music Group, è anch’esso presieduto da un altro imprenditore inglese di origini ebraiche, Michael Lynton, anch’egli fervido sostenitore dello stato di Israele e molto intimo della intelligence dello stato ebraico e dell’attuale primo ministro Netanyhau. Lo stesso che, dopo i palestinesi a Gaza, sta massacrando i libanesi. Giustificato dai fatti dell’8 ottobre 2023, che noi abbiamo già definito molto simili all’11 settembre 2001.

Ora, a rischio sembra essere perfino la candidatura di Kamala Harris, la quale vanta un significativo sostegno da questi personaggi del mondo della musica e del cinema. Gli stessi del finto sottobosco ipocrita dei pacifisti e dei benefattori.

Il caso Michael Jackson

Quanto accaduto a Michael Jackson spiega bene quale sia il potere delle lobby sioniste anche nel mondo della Musica.

Come ricorda sempre Sacchetti, il Re del Pop all’apice della sua carriera, ebbe la sfortuna di incappare nella rete di un sordido personaggio: Evan Chandler. Quest’ultimo è stato il dentista di molti Vip ed era piuttosto arrivista: voleva essere uno sceneggiatore e aveva iniziato a scrivere dei soggetti per Hollywood ma nessuno di questi aveva mai avuto particolare fortuna, salvo il film diretto da Mel Brooks (guarda caso, altro noto regista di origini ebraiche) “Robin Hood: un uomo in calzamaglia” uscito nel 1993, parodia del film uscito l’anno precedente “Robin Hood: principe dei ladri”, con Kevin Costner panni (calzamaglia compresa) del mitico eroe di Sherwood.

Chandler, approfittando del fatto che suo figlio Jordan fosse stato ospite a Neverland, chiese così aiuto di Michael Jackson per partecipare a qualche grossa produzione. Ma quest’ultimo respinse le sue richieste e fu così che Chandler iniziò a minacciarlo, dicendo che gli avrebbe rovinato la carriera.

Inizia così una massiccia campagna di fango contro l’artista a mezzo stampa, accusandolo insistentemente di pedofilia. Ancor prima che la macchina giudiziaria avesse iniziato a mettersi in moto. Cosa che farà, assolvendo Michael Jackson. Papà Evan cerca anche aiuto nel figlio Jordan per spingerlo a false dichiarazioni contro il vate del Moonwalker; ma quest’ultimo, oltre a rifiutarsi, arrivò prima a chiedere l’annullamento della potestà genitoriale nel 1995, per poi, chiedere nel 2000 perfino un ordine restrittivo contro Chandler.

Michael Jackson si difende come meglio sa fare, ovvero tramite la musica. Nel 1995 rilascia una canzone, “They don’t care about us” che in italiano si traduce “A loro non importa di noi” nella quale manda messaggi molto espliciti. Il cantante nella strofa di questa canzone recita queste parole

Non potrai mai uccidermi, truffami, fammi causa

nella quale però il verbo “truffami” è scritto in inglese con “Jew me” e la parola Jew in inglese significa ebreo.

Negli Stati Uniti, c’è uno slang per dire di essere stati raggirati da una persona di origine ebraiche ed è proprio il verbo “to Jew someone (qualcuno)”, il che fa capire molto bene a chi si riferisse il famoso artista.

Inizia la ritorsione e la stampa lo aggredisce in maniera ancora più selvaggia di quanto già non avesse fatto prima.

Arriva la scure della solita Anti-Defamation League, la famigerata associazione ebraica e sionista americana, che immediatamente gli riserva il marchio di “antisemita” e Jackson, ormai accerchiato, è costretto a scusarsi. Non solo. Avendo rilevato il catalogo della AVN, che comprendeva anche le canzoni di John Lennon e Paul McCartney, era diventato una minaccia per il monopolio sionista che voleva continuare a dominare indisturbato l’industria musicale.

Per cercare di placare la campagna sionista, Michael Jackson frequentò il rabbino di Chabad, Jacob Shmuel Boteach, ma l’amicizia durò solo 2 anni e così la guerra contro le case discografiche proseguì senza esclusione di colpi.

Almeno fino al 25 giugno 2009, quando il suo medico, Conrad Connor, non gli somministra una overdose di propofol che lo uccide. Sarà condannato a soli 4 anni di carcere, senza però che fu mai chiarito se si fosse trattato di un errore o di una esecuzione per ordine di qualcuno.

Guarda caso, alcune settimane dopo muore suicida (?) anche il suo diffamatore: Evan Chandler. Diventato forse scomodo e ormai non più utile a chi lo aveva manipolato e fomentato per anni.

Ora, gli uomini che distrussero la carriera e la vita di Michael Jackson sono gli stessi che hanno protetto per decenni il trafficante Puff Diddy. Vedremo se avrà la stessa sorte…

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Pubblicato da Vito Andolini

Appassionato di geopolitica e politica nazionale.

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