Grazie a un design innovativo, un nuovo prototipo di MFC mostra un’efficienza senza pari nell’alimentazione di sensori agricoli
In anni recenti si sta diffondendo sempre più il cosiddetto Internet delle Cose (Internet of Things, in inglese), cioè quell’insieme di dispositivi, veicoli, elettrodomestici e simili forniti di sensori, programmi e connessione alla rete, che sono quindi in grado di raccogliere e condividere dati.
Immaginando un futuro prossimo con miliardi e miliardi di questi dispositivi in giro, è impensabile costruirli tutti usando litio, elementi pesanti e sostanze tossiche pericolose per l’ambiente; di conseguenza, è indispensabile trovare delle alternative più ecologiche in grado di generare piccoli quantitativi di energia per alimentarli.
Una delle possibilità è la pila a combustibile microbiologica (MFC, dall’inglese microbial fuel cell), che opera come una normale batteria, ma con la differenza che l’energia viene ricavata da microbi “donatori” di elettroni: quando questi ultimi passano dall’anodo al catodo (cioè, da un polo all’altro della pila), si crea un circuito elettrico.
Il problema delle MFC è che, per funzionare in maniera affidabile, esse devono restare idratate e ossigenate, il che non è banale quando sono sepolte sotto terreno arido; di conseguenza, anche se il concetto è vecchio di oltre un secolo, tali pile non hanno mai avuto molto successo.
Non fino ad oggi almeno, quando un gruppo di ricercatori della Northwestern University ha sviluppato un nuovo, ultra-efficiente prototipo di MFC.

Problemi di batterie e pannelli solari
Negli ultimi tempi, agricoltori in ogni parte del mondo hanno iniziato sempre più a usare strumenti di precisione per migliorare la resa dei raccolti, in particolare quelli per misurare i livelli di umidità, nutrienti e contaminanti nel suolo.
Ciò richiede un’ampia rete di dispositivi elettronici per raccogliere continuamente dati dall’ambiente, il che presenta numerosi problemi, sia che si usino batterie o pannelli solari per alimentarli.
Nel caso delle batterie, esse:
- vanno periodicamente sostituite;
- contengono componenti chimici tossici e infiammabili che percolano nel terreno;
- contribuiscono al crescente problema dei rifiuti elettronici;
- provengono da catene di approvvigionamento piene di conflitti e sfruttamento.
D’altro canto, i pannelli solari:
- non sono efficienti in ambienti sporchi e polverosi, in quanto finiscono per essere ricoperti di fango e polvere e richiedere pulizie continue;
- non funzionano in assenza di sole;
- occupano parecchio spazio.
Ecco quindi che entrano in gioco le suddette MFC, come illustrato (con tanto di schemi di progetto, tutorial e simulatori) in un recente studio pubblicato da un team diretto dall’ingegnere elettrico Bill Yen.
Una MFC dal design innovativo
Delle dimensioni di un libro e perfezionata nel corso di due anni, la pila dei ricercatori ha un peculiare design perpendicolare per quanto riguarda la posizione dell’anodo e del catodo, che invece solitamente sono disposti in maniera parallela.
Più precisamente, l’anodo è in feltro di carbonio (un conduttore economico e abbondante sul mercato) ed è posizionato orizzontalmente alla superficie del terreno, mentre il catodo, fatto di un metallo inerte e conduttivo, è piazzato verticalmente sopra l’anodo.
Sebbene la MFC sia completamente interrata, la sua struttura verticale fa sì che l’estremità superiore si trovi allo stesso livello della superficie del terreno, mentre un coperchio stampato in 3D impedisce che ci cadano dentro detriti; infine, un foro sopra una camera d’aria vuota lungo il catodo fa sì che ci sia un flusso d’aria costante.
Il vantaggio di tale disposizione è che l’estremità inferiore del catodo si trova piuttosto in profondità, dove rimane costantemente idratata dal terreno più umido, anche quando la superficie viene essiccata dal Sole; inoltre, in caso di inondazione, la posizione verticale assicura che il catodo (che già è parzialmente ricoperto da materiale impermeabile) si asciughi in maniera graduale.
Microbi e pila alla prova dei fatti
A questo punto entrano in gioco le abbondanti comunità di microbi di stanza nel terreno, che scompongono il carbonio organico in esso presente, fornendo in questo modo un piccolo quantitativo di energia alla MFC, sotto forma di elettroni.
Tale meccanismo ha un’implicazione pratica estremamente importante: finché c’è carbonio organico a disposizione (e microbi per scomporlo), la pila può funzionare in eterno.
Per metterlo alla prova, Yen e colleghi hanno usato la MFC per fornire energia a sensori deputati alla misurazione dell’umidità nel terreno e alla rilevazione di contatti (attività utile, ad esempio, per monitorare il passaggio di animali); per di più, tali sensori erano anche muniti di una piccola antenna wi-fi per inviare i dati raccolti a una stazione radio nelle vicinanze.
I risultati sono stati molto promettenti: non solo la pila ha generato in media 68 volte più energia di quella richiesta, ma è durata il 120% in più di tecnologie simili e ha continuato a funzionare a livelli di umidità del terreno molto differenti, da piuttosto arido (41% di acqua per volume) a completamente inondato.
Il tutto usando componenti reperibili in un qualsiasi negozio di ferramenta, ma con l’obbiettivo futuro di costruire la pila con materiali completamente biodegradabili; in entrambi i casi, comunque, si riescono fortunatamente a evitare catene di approvvigionamento problematiche e minerali estratti in zone di guerra.
(Originariamente pubblicato su Storie Semplici. Il titolo dell’autore potrebbe essere modificato dalla redazione)