Un gruppo di biologi sfrutta la molecola pC-HSL come meccanismo di segnalazione di pericoli tra piante e batteri geneticamente modificati
A guardarle dal nostro punto di vista di abitanti sulla superficie terrestre, le piante possono sembrarci non particolarmente attive, ma la musica cambia completamente se assumiamo una prospettiva diversa, indirizzando lo sguardo sottoterra.
Lì avviene, infatti, un turbinio di attività microscopica tra il sistema radicale, funghi e batteri, che si scambiano in continuazione informazioni, sotto forma di vari segnali chimici, per combattere insetti nocivi, procurarsi nutrienti o reagire a cambiamenti ambientali.
Pur trattandosi di un sistema di comunicazione fondamentale per la salute dei soggetti interessati (e delle piante in particolare), l’identità e le funzioni precise di questi “messaggeri chimici” non è sempre ben chiara.
Il biologo sintetico Christopher Voigt e colleghi del Massachusetts Institute of Technology (MIT) hanno escogitato, allora, un sistema diverso per aggirare il problema: creare e studiare un nuovo canale di comunicazione tra piante e microbi nel sottosuolo.
Invio e ricezione modulari
A tal fine i ricercatori hanno modificato geneticamente un paio di batteri (Pseudomonas putida e Klebsiella pneumoniae) per far sì che producessero una piccola molecola, chiamata p-coumaroyl-homoserine lactone (pC-HSL), in risposta a vari stimoli chimici, così da agire come meccanismo di segnalazione.
Quindi hanno rivolto la loro attenzione alle piante, prima la Arabidopsis thaliana, poi la comune patata, modificandole in modo che fossero in grado di generare una fluorescenza al ricevimento del suddetto segnale.
Con entrambe le parti del canale di comunicazione in piedi, Voigt e collaboratori hanno potuto dimostrare la modularità del sistema, che rende possibile scambiare i batteri “sensori” con altri che rispondono a stimoli diversi e accoppiarli alla pianta “ricevente”.
I batteri possono persino essere modificati così da riuscire a effettuare semplici manipolazioni del segnale prima di inviarlo alla pianta, ad esempio combinando le informazioni derivanti da due diversi tipi di sensori.
Consorzi artificiali contro i pesticidi
Ma lo scopo del progetto è ben più ampio della produzione di un segnale fluorescente: i ricercatori, infatti, mirano alla creazione di una collaborazione tra regno vegetale e microbico flessibile ed efficace nella risposta a situazioni di stress e agenti patogeni.
In particolare, in alcuni casi le piante potrebbero demandare ai batteri la soluzione di un problema, mentre in altri sarebbero questi ultimi a segnalare alle prime una minaccia che richiede la loro attenzione.
Insomma, l’obbiettivo finale di Voigt e colleghi è mettere in piedi una serie di canali di comunicazione programmabili, in modo da fornire i mattoni base per la costruzione di “consorzi artificiali” tra batteri e piante.
Lo studio è stato già ben ricevuto dal mondo scientifico, con ad esempio la biologa sintetica Eriko Takano del Manchester Institute of Biotechnology, non coinvolta nella ricerca, che lo considera un importante passo avanti nel tentativo di ridurre la dipendenza da pesticidi, erbicidi e fungicidi.
(Originariamente pubblicato su Storie Semplici. Il titolo dell’autore potrebbe essere modificato dalla redazione)