Il piano Stellantis è stato accolto in modo entusiastico dal governo e dai media mainstream. Ecco un’analisi dettagliata.
In queste ore i media mainstream stanno diffondendo, con taglio trionfale, la notizia che il gruppo Stellantis (gruppo FCA, già ex Fiat, più gruppo Peugeot) abbia rilanciato il proprio piano industriale in Italia, soprattutto al Sud. Distribuendo qua e là la produzione di nuovi modelli.
In particolare, stando al famigerato piano presentato da Jean Philippe Imparato, si tratterebbe di 2 miliardi di investimenti e 6 miliardi di acquisto dall’indotto. Per quanto concerne i modelli, parliamo di auto ibride e alcune piattaforme per produrre vetture elettriche.
Il piano è stato accolto in modo entusiastico dal governo, in particolare, dal Ministero delle Imprese e del Made in Italy, Alfonso Urso. Come se Stellantis stesse pure facendo un favore al nostro Paese, che per anni ha erogato fondi pubblici alla FIAT affinché non andasse via.
Ma davvero questo piano è così miracoloso?
In cosa consiste davvero il piano di Stellantis
A smorzare gli entusiasmi ci pensa un’analisi del sindacalista Giorgio Cremaschi. Il quale parte proprio dai modelli, ritenendo che le vetture ibride arrivino con 15 anni di ritardo rispetto alla concorrenza. Mentre, per quanto concerne le auto elettriche, la costosissima Cinquecento abbia già fatto disastri. Ma, come raccontiamo spesso, a soffrire è tutto il mercato delle auto elettriche.
Si passa poi all’analisi dei numeri e a quei famosi 2 miliardi. Le grandi aziende automobilistiche concorrenti stanno programmando decine e decine di miliardi di investimenti, senza poi considerare che un solo modello integralmente nuovo di autovettura richiede almeno 3/4 miliardi di investimenti. Inoltre, la percentuale di investimenti destinati all’Italia è davvero residuale rispetto agli altri paesi in cui opera il gruppo automobilistico. L’impegno di una grande fabbrica di batterie e impianti elettrici che doveva farsi a Termoli si farà in Spagna.
Veniamo alle promesse del passato. Cremaschi cita quella del 2010 da parte di Sergio Marchionne. il quale, dopo aver imposto ai lavoratori dì Pomigliano di rinunciare al contratto nazionale con il ricatto della delocalizzazione della produzione, annunciò il programma Fabbrica Italia con 20 miliardi di investimenti. Per poi dichiarare, appena 2 anni dopo, che la situazione era cambiata e che il progetto Fabbrica Italia non c’era più.
I media mainstream, che avevano portato in trionfo Marchionne poco prima, non fecero alcun cenno a quel colpo di spugna.
Cinque anni dopo, John Elkann – dopo la fusione tra Fiat e Chrysler che diede origine alla FCA – addirittura promise 55 miliardi di investimenti per 80 nuovi modelli di auto. Ma anche in quel caso non se ne fece più nulla. E anche qui, agli osanna di governanti e media, non fecero seguito le critiche per le promesse non corrisposte.
Certo, i 2 miliardi promessi oggi sono cifre piuttosto limitate rispetto a quanto promesso in passato. Eppure, la fanfara suonata è sempre la stessa. Per ora, gli operai dovranno campare con una cassa integrazione di 5 euro l’ora per quasi tutto il 2025.