Il 9 maggio si è tenuta una doppia commemorazione. Ed immagino che, per cultura personale o bombardamento mediatico, sappiate a quali mi riferisco. Una relativa alla morte del Presidente della Democrazia cristiana Aldo Moro, ucciso dalle Br ma condannato di fatto a morte dai suoi stessi compagni di partito (in primis Andreotti e Cossiga) nonché dalla CIA. I quali non volevano quel “compromesso storico” (per dirla alla Berlinguer) o quelle convergenze parallele (per dirla con lo stesso Moro) tra Dc e Pci che si stavano vedendo all’orizzonte. E delle quali i due leader dei propri rispettivi partiti parlavano da tempo.
L’altra relativa alla morte di Peppino Impastato, anch’egli ucciso il 9 maggio 1978 per mano della Mafia. Per il suo impegno sociale in quel di Cinisi e Terrasini con la sola forza di una piccola emittente radiofonica locale: Radio Aut e e di inchieste giornalistiche. Eppure così fastidiose per Gaetano Badalamenti (che lui ironicamente chiamava Tano Seduto). La morte di Impastato passò inizialmente come “suicidio di un terrorista” (proprio come avvenne per Pinelli quasi vent’anni prima o Feltrinelli qualche anno prima). Ed ebbe anche poca ridondanza mediatica in quanto ebbe l’ulteriore sfortuna di consumarsi nello stesso giorno dell’omicidio Moro.
Se però la Rai, dopo aver parlato del quarantennale dell’omicidio Moro per settimane (Blob per 3 mesi gli ha regalato uno spazio), ha poi spostato la serata commemorativa di un giorno in quanto il 9 maggio si doveva disputare la finale di Coppa Italia (ormai l’unico evento degno di nota rimasto alla rete pubblica per quanto concerne il calcio), con la stessa ipocrisia media e politica di sinistra si sono affannati nel ricordare Impastato. Ergendolo ad eroe anti-mafia da prendere ad esempio.
Dimenticando però come il Pci lo trattò da vivo, quando aveva bisogno del suo sostegno.
Peppino Impastato avversato dal Pci
Come riporta Contropiano, Il Partito Comunista Italiano aveva deriso, ignorato ed avversato da vivo Peppino, i suoi compagni e l’attività di Radio Aut nel contesto di una feroce attività di criminalizzazione di tutto ciò che si muoveva alla sua sinistra, portata avanti di concerto con la polizia politica ed avvalendosi dell’azione organica di ampi settori della magistratura. Mentre accusava gran parte del movimento di non schierarsi con lo Stato e di fiancheggiare così, “oggettivamente”, il “terrorismo”, il PCI non si faceva scrupoli ad offrire il proprio appoggio “esterno” al governo di Giulio Andreotti, potentissimo capocorrente dello stesso partito di Aldo Moro – la Democrazia Cristiana – che in Sicilia aveva come suoi esponenti di punta Don Vito Ciancimino, Salvo Lima ed i famigerati cugini Ignazio e Nino Salvo.
Erigere Peppino Impastato – da morto – ad “eroe della legalità”, così come ha fatto il PCI e come continuano a fare i suoi eredi (ma non solo), è una delle più grandi mistificazioni sulla storia di quel partito che, tuttavia, trova ancora larghissimo spazio nella vulgata “antimafiosa” corrente. In quel tempo, in Italia si stava consumando un aspro, lungo e durissimo conflitto sociale e Peppino, da partigiano, era schierato da una parte, mentre Aldo Moro, fino al giorno del suo rapimento, era stato saldamente alla guida della parte opposta.
Peppino Impastato fu attivista di Democrazia Proletaria, movimento a sinistra del Pci. Partito che a partire dalla seconda metà degli anni ‘70 iniziò il suo graduale imborghesimento, sfociato nell’attuale Partito democratico.