Anche quest’anno, ci sono stati gli attesissimi Oscar. Tra glamour, sistema “da oliare”, stravaganza, politically correct. Quest’anno però, per restare in tema di citazioni cinematografiche, occorre dire che…qualcosa è cambiato. Infatti, per la prima volta ad aggiudicarsi la statuetta come miglior film in assoluto, è stato un film straniero non americano: il sudcoreano Parasite.
Parasite ha scalzato così perfino una pellicola che ha sbaragliato i botteghini come Joker. Sebbene l’attore protagonista Joacquine Phoenix si sia comunque meritato la statuina come migliore attore protagonista. Joker ha vinto anche l’Oscar per la colonna sonora.
Un riconoscimento anche per C’era una volta a Hollywood, di Quentin Tarantino. Visto che Brad Pitt ha vinto la statuina come migliore attore non protagonista. Il film si è anche aggiudicato l’Oscar per la migliore sceneggiatura.
Riguardo le donne, l’Oscar come Attrice non protagonista è andato a Laura Dern, per Storia di un matrimonio. Mentre quello per l’attrice protagonista è andato a Renee Zellweger, interprete nel film biopic Judy.
Parasite si è aggiudicato anche l’Oscar per la migliore sceneggiatura, la Regia e come migliore pellicola internazionale.
Qualche statuina anche per Le Mans 66 – La grande sfida e 1917. Deludente invece The Irishman, benché veda lo schieramento di un quartetto collaudato come Martin Scorsese, Robert De Niro, Al Pacino e Joe Pesci.
Parasite, dunque, stravolge gli Oscar. Dopo aver vinto già la Palma d’oro a Cannes.
Vediamo di seguito trama e recensione di [sta_anchor id=”parasite”]Parasite[/sta_anchor].
Parasite, trama del film che ha vinto l’Oscar
Nel sottoscala di un sobborgo della contemporanea Corea del sud, vive di espedienti una famiglia composta da genitori, un figlio ed una figlia.
“Rubano” il Wi-Fi degli inquilini dei piani di sopra, approfittano della disinfestazione stradale per uccidere gli scarafaggi in casa propria, svolgono lavoretti per sbarcare il lunario.
Eppure, non sono inferiori agli altri. Il signor Ki-taek si dà da fare con molti lavori, seppur poco pagati. La signora Chung-sook è una brava casalinga, malgrado la casa squallida in cui vivono. I due figli sono bravi in inglese, Ki-Woo, e in informatica, Ki-jung. Ma purtroppo la società non offre loro le opportunità che meriterebbero.
Un giorno però, la loro vita prende una svolta. Un amico di Ki-Woo gli propone di sostituirlo nel dare lezioni di inglese ad una giovane figlia di una famiglia ricca. Con il capofamiglia che è il dirigente di una multinazionale informatica, mentre la moglie una casalinga annoiata e poco incline alle faccende domestiche.
Dice che potrebbe spacciarsi per un laureato, falsificando il documento sfruttando le doti grafiche della sorella.
E così, Ki-Woo viene assunto nel ruolo. Ma approfitta del fatto che all’altro figlio della ricca coppia serva qualcuno che lo segua, essendo iperattivo e turbato da un trauma quando aveva 6 anni. E così si inventa di conoscere una ragazza brava in disegno e anch’essa laureata. Proponendo così la sorella.
A poco a poco, tra una bugia e l’altra, la famiglia si insedia nell’abitazione: il padre sostituisce l’autista, licenziato grazie all’astuzia di Ki-jung, e la madre prende il posto della vecchia governante, che viene fatta passare per una malata di Tubercolosi.
Finalmente la loro vita sembra aver preso una strada diversa. Quando la governante torna dal marito nascosto in una sorta di bunker della villa e da lì si scatena una guerra senza esclusioni di colpi tra quei “parasites” della borghesia sudcoreana.
Parasite, recensione del film che ha vinto l’Oscar
Bong Joo-ho mette in pratica tutto il proprio talento narrativo per importare una tragedia dei giorni nostri. Quando la povertà e l’esclusione sociale scatena una tragica guerra tra poveri. Ma aguzza anche un diabolico ingegno.
Colpi di scena continui, alternati a momenti di riflessione, ci regalano uno spaccato della società contemporanea. Ma non solo. Della vita in generale, che attraversa i secoli. Dove anche la pioggia può assumere significati diversi per ricchi e poveri. Dove può trasformarsi ora in una tragedia e un imprevisto che rovina un weekend, ora in una grande occasione per ritrovarsi.
In effetti, per le due famiglie, così socialmente lontane, i due significati finiscono per invertirsi, provocando estreme conseguenze.
La pellicola si spinge forse troppo oltre nel finale, sfociando anche in scene tarantiniane. Ma alla fine tutto è funzionale al messaggio che vuole inviare il regista. In un Mondo che doveva ridurre le distanze economiche e spazio-temporali – del resto le due Coree sono ancora divise – ed invece ha finito solo per dilatarle.
Eppure, nella tragedia estrema, gli ultimi troveranno anche un momento di solidarietà, seppur violenta. Dinanzi all’atteggiamento dispregiativo e superficiale di chi vive nei piani alti della società.
Una critica neanche troppo sottile al cinismo capitalista abbracciato dalla Corea del sud, opposto alla privazione delle libertà dell’altra sponda del Paese. Forse un giorno questo paese troverà l’unità persa da oltre settant’anni e una via di mezzo socio-economica.
E c’è anche un pò d’Italia in Parasite. Infatti, in una scena si sente il popolarissimo brano di Gianni Morandi “Non son degno di te“. E non è certo la prima volta che accade. Per esempio, in The wolf of Wall Street di Martin Scorsese con Leonardo Di Caprio, nello yacht di quest’ultimo si ascolta Gloria di Umberto Tozzi.