Sfruttando la differenza di potenziale elettrico nei noduli, l’elettrolisi scinde le molecole d’acqua: è così che si è originata la vita?
La vita aerobica sulla Terra richiede la presenza di ossigeno, la cui fonte naturale di gran lunga più abbondante è la fotosintesi (di cui ho parlato qui, inclusi i recenti sviluppi nel campo della biologia quantistica).
Di conseguenza, è logico pensare che le prime forme di vita in grado di sfruttarla (e che si crede siano comparse sul nostro pianeta circa 3,7 miliardi di anni fa) dimorassero in superficie e/o a basse profondità marine, dove la luce solare è maggiormente disponibile.
In anni recenti, però, tali certezze hanno iniziato a vacillare, prima con la scoperta che alcuni antichi batteri, gli Archaea, sono in grado di produrre ossigeno (seppur in quantità ridotte) tramite ossidazione di ammoniaca, poi con il ritrovamento di “ossigeno oscuro” generato tramite dismutazione da alcuni batteri presenti in falde acquifere sotterranee (ne ho scritto in dettaglio qui).
Ed è proprio la scoperta di una nuova fonte di ossigeno oscuro che ha il potenziale per infierire un duro colpo alle teorie di cui sopra: esso, infatti, viene prodotto anche nelle profondità marine, in assenza sia di luce che di organismi viventi.
Noduli e ossigeno nella CCZ
La zona di Clarion-Clipperton (CCZ) è un’area del fondale dell’Oceano Pacifico con una profondità compresa tra i 3000 e i 6000 metri e un’estensione di circa 4,5 milioni di chilometri quadrati, situata tra le Hawaii e il Messico e amministrata dall’Autorità internazionale dei fondali marini (ISA).
Una delle sue caratteristiche peculiari è quella di essere ricca di noduli polimetallici, cioè agglomerati tipicamente grandi quanto una patata che contengono principalmente ossidi di ferro e manganese, ma anche metalli quali cobalto, nickel, litio e persino terre rare come il cerio, tutti componenti essenziali per dispositivi elettronici e tecnologie a basso uso di carbonio come i pannelli solari.
Non stupisce quindi che varie compagnie minerarie siano interessate alla loro estrazione ed è così che il professor Andrew Sweetman, direttore del gruppo di ricerca per l’ecologia e la biogeochimica dei fondali marini presso la Scottish Association for Marine Science (SAMS), riceve l’incarico di studiare i possibili impatti dell’attività estrattiva sull’ecosistema della CCZ.
Parte della ricerca consiste nel misurare cambiamenti nella concentrazione di ossigeno, che i ricercatori effettuano impiegando delle speciali camere per esperimenti in vari punti della zona.
Solitamente il livello dell’ossigeno diminuisce a mano a mano che si scende in profondità, a causa della minore disponibilità di luce e quindi della ridotta presenza di organismi in grado di generarlo come prodotto di scarto della fotosintesi.
In questo caso, invece, i dati mostrano tutt’altro: invece del previsto dominio del consumo di ossigeno, essi raccontano un’apparentemente inspiegabile, continua emissione dello stesso, proveniente dal fondale marino.
Noduli + elettrolisi = ossigeno oscuro
Sweetman e colleghi ovviamente pensano subito che si tratti di un problema coi sensori, ma quando gli strumenti persistono nel fornire gli stessi risultati, devono arrendersi all’evidenza e provare a dare una spiegazione a questa scoperta unica nel suo genere.
Alla fine, constatata la mancanza di microbi produttori di ossigeno nella zona, la risposta viene trovata proprio nei noduli di cui sopra e nel processo dell’elettrolisi.
In presenza di una carica elettrica sufficiente, infatti, l’acqua salata dell’oceano viene scissa nelle sue componenti di idrogeno e ossigeno e secondo i ricercatori tale carica proviene dalla differenza di potenziale elettrico tra i diversi ioni dei metalli all’interno dei noduli, che determina una redistribuzione degli elettroni.
Il gruppo passa quindi alla misurazione del voltaggio di singoli noduli, che raggiunge fino a 0,95 volt, inferiore agli 1,5 volt necessari perché si verifichi l’elettrolisi; se però più noduli si uniscono tra di loro, ecco che il processo può iniziare.
Le conseguenze della scoperta
La straordinaria scoperta di questo ossigeno oscuro, generato al buio e senza l’apporto di organismi viventi, ha profonde ripercussioni, sia teoriche che pratiche.
Riguardo queste ultime, è chiaro che adesso bisognerà rivalutare l’opportunità di proseguire con le attività estrattive, che potrebbero mettere a repentaglio l’esistenza di interi ecosistemi che fanno affidamento sull’ossigeno derivante dai noduli.
Quelle teoriche sono, se possibile, ancora più importanti: come se non bastasse quanto già detto in merito alle teorie sull’emergere della vita aerobica sulla Terra, è facile prevedere enormi impatti in merito alla ricerca di vita al di fuori di essa.
Basti pensare alle lune nel Sistema Solare con oceani ricoperti di ghiaccio quali Europa ed Encelado, per non parlare di possibili altri mondi e lune oceaniche intorno ad altre stelle, dove potrebbero abbondare queste “batterie nella roccia” rappresentate dai noduli polimetallici.
(Originariamente pubblicato su Storie Semplici. Il titolo dell’autore potrebbe essere modificato dalla redazione)