ORRORE IN ECUADOR: NEL VILLAGGIO DI CHUNCHI BAMBINI SOLI SI SUICIDANO PERCHE’ I GENITORI LAVORANO LONTANO
ASPETTANO I SOLDI CHE LE MADRI E I PADRI COSTRETTI AD EMIGRARE MANDANO LORO, MA TROPPO SPESSO LA SOLITUDINE HA IL SOPRAVVENTO E DECIDONO DI FARLA FINITA PRIMA DI AVER COMPIUTO DICIOTT’ANNI
Storie raccapriccianti, in terre a noi lontane. Bambini lasciati soli dai genitori costretti ad emigrare per lavorare, e quando la solitudine prende il sopravvento decidono di farla finita, malgrado la tenera età. A raccontarlo un reportage cruento di Filippo Fiorini per La Stampa. Accade in un villaggio a Chunchi, sulle Ande dell’Ecuador, all’ombra del vulcano Chimborazo. Dal 2012 sono già 60 i bambini che hanno deciso di porre fine alla propria vita. Ma quello dei suicidi è un male che affligge tutto il popolo ecuadoregno, visto che la media nazionale è di 360 casi in due anni. Un ritmo che stabilisce uno dei primati (tristi) mondiali, comunque calato solo a partire da quest’anno, grazie al fatto che le autorità hanno attivato delle misure contenitive. Leggiamo qualche triste storia.
STORIE TRISTI – Fiorini racconta su La Stampa che a Chunchi i posti più frequentati dai giovani sono la piazza e i bar. Poi, viene la sala computer con la banda larga e Skype. Cristian Calle, che la gestisce come parte del Centro d’ Assistenza al Migrante, spiega che i circa 300 ragazzi che segue, vengono per videochiamare i genitori e sentirsi dire: “Ti voglio bene”, “fai il bravo” e “l’ anno prossimo potrai venire qui anche tu”. Tuttavia, quel 10% dei 13 mila abitanti di Chunchi che è partito per l’America, l’Europa o altri paesi emergenti, lavora oggi senza permesso di soggiorno, non pianifica alcun rientro in patria, e nemmeno può permettersi di far viaggiare i figli. E così il 51% dei suoi bambini cresce senza madre e padre, se va bene nei campi coi nonni, altrimenti, da soli. E da soli cercano di farcela, lavorando e convivendo con la morte.
Come quella di Maria, nove anni, che l’ha fatta finita con la polvere da sparo. Come quella di José, che si è fermato a sei, bevendo con l’ acqua ragia. La storia di Lourdes Vizñay è una delle più note perché quando l’hanno trovata con una corda al collo e il suo compagno di classe Fernando Flores l’ha raccontata in un libro. “Tempi Disperati” narra che il giorno del suo 17° compleanno, Lourdes ha tentato di farsi un regalo, perché si era resa conto che nemmeno quella volta sua madre sarebbe tornata per farle gli auguri di persona, come invece aveva promesso. Così, quando il bottegaio l’ ha beccata a rubare il vestito dalla vetrina e l’ ha chiamata “scarto”, come si dice in paese ai figli lasciati lì dagli emigrati, si è vergognata tanto che è andata a casa e si è uccisa.
(Fonte: Libero)