Milan, chi è davvero Yonghong Li: l’inchiesta “choc” di Milena Gabanelli

Gli esempi più grossi sono ovviamente quelli di Inter e Milan, ma non mancano anche squadre di livello inferiore. Ma quanto ne sappiamo davvero di loro? Quello che ci dicono i giornali e le trasmissioni televisive, ovviamente. Per fortuna però, c’è ancora chi in questo Paese fa giornalismo d’inchiesta con la “g” maiuscola. Come Milena Gabanelli, la quale ha detto stop a Report, trasmissione su Raitre che curava e conduceva; che tante querele si è beccata, risultando però sempre dalla parte della ragione.

Ora la Gabanelli cura per il Corriere della sera delle mini-inchieste, con video che durano meno di 3 minuti corredate di articolo di approfondimento. Si è occupata anche di Milan, precisamente di Yonghong Li. L’imprenditore che ha pagato 740 milioni alla Fininvest per comprarsi il Milan. A quanto pare però, sui fondi di Yonghong Li non mancano ombre e solite scatole cinesi. In tutti i sensi. Ecco chi è davvero Yonghong Li.

Yonghong Li, il cinese che ha comprato il Milan è in realtà fallito per bancarotta?

berlusconi li milan

L’inchiesta della Gabanelli parte a mo’ di favola: Siamo a Shenzhen nel sud della Cina, 10 milioni di abitanti a ridosso di Hong Kong. Ci sono un imprenditore, due banche e un tribunale: il cinese è titolare di una holding insolvente, le banche creditrici gli hanno fatto causa e il tribunale ha stabilito che, per saldare i debiti, il patrimonio della holding vada all’asta. Una storiella orientale apparentemente insignificante se il cinese con il patrimonio all’asta su Taobao (eBay cinese) non fosse Yonghong Li, l’imprenditore che ha pagato 740 milioni alla Fininvest per comprarsi il Milan.

L’ordine è arrivato dal tribunale del distretto di Futian: «Vendete all’asta il 2 febbraio» (data poi rinviata) la partecipazione (11,39%) che la cassaforte di Li possiede nella società di packaging Zhuhai Zhongfu, quotata alla Borsa di Shenzhen. Valore circa 60 milioni, ma il ricavato andrà a risarcire le banche.

Di recente, inoltre, la China Securities Regulatory Commission, la Consob di Pechino, ha comunicato l’avvio di indagini per presunti illeciti sul mercato commessi dalla holding che si chiama «Shenzhen Jie Ande»: ha tenuto nascoste per mesi la sentenza e l’insolvenza.

In sostanza, mentre era inseguito dai creditori in patria, il 48enne finanziere residente dal ’94 a Hong Kong chiudeva in Italia, sotto i riflettori di mezzo mondo, una delle più costose acquisizioni calcistiche della storia, accreditandosi (e accreditato) come un grande e ricchissimo imprenditore dai mille interessi. Ma molto riservato. La sua credibilità, storia e consistenza patrimoniale l’ha riassunta in un documento consegnato alle parti nella trattativa e fatto circolare dagli uomini di Li, anche di recente, senza modifiche. Tra gli asset fondamentali, oltre alle famose e fantomatiche miniere di fosfato, c’è anche l’11,39% di Zhuhai Zhongfu, detenuto tramite la cassaforte Jie Ande.

Occhio alle date: quella partecipazione era dal 2015 in pegno, cioè in garanzia, alla Jiangsu Bank a fronte di un prestito. Soldi mai più rimborsati tant’è che nel maggio 2016 la banca fa causa alla holding di Li, a quel punto già insolvente, e il 7 febbraio 2017 il tribunale del popolo di Futian ordina che il pacchetto in pegno vada all’asta. Parte immediato il ricorso della holding Jie Ande. Intanto a Milano, il 13 aprile 2017, il cinese di Hong Kong chiude con Fininvest (600 milioni di plusvalenza consolidata) l’acquisto da 740 milioni del Milan, dopo aver fatto «girare» centinaia di milioni off-shore e con un prestito da 300 milioni (a tassi fino all’11% con scadenza 15 ottobre prossimo) del fondo americano Elliott.

Yonghong Li acquista il Milan nonostante tutto

A metà maggio, dall’altra parte del mondo, il tribunale respinge il ricorso della holding di Li (gestita da un prestanome) confermando la vendita coattiva a favore della Banca Jiangsu. A default conclamato a Shenzhen, il nuovo proprietario del Milan presenta a giugno in Lega Calcio le credenziali su onorabilità e solidità. Tutto a posto. Il Milan è iscritto al campionato, e parte una faraonica campagna acquisti da 200 milioni.

Sotto Natale, l’amministratore delegato del Milan, Marco Fassone, è a caccia di 3-400 milioni per rifinanziare il prestito da 300 milioni del fondo Elliott, quando il tribunale cinese fissa al 2 febbraio l’asta di giudiziale. Senonché l’8 gennaio arriva un’altra tegola per il povero Li: a inseguirlo è la Banca di Canton, a cui non ha pagato i debiti, e che chiede la liquidazione per bancarotta della holding Jie Ande. Nel frattempo dall’Italia lo avvisano delle notizie di presunte inchieste per riciclaggio, poi smentite, sulla compravendita del Milan. Li rompe il silenzio e garantisce che tutto si è svolto «con la massima trasparenza, regolarità e correttezza». A Shenzhen l’asta su Taobao del 2 febbraio viene rinviata, perché c’è la richiesta di liquidazione per bancarotta della Banca di Canton che si accavalla alle pretese risarcitorie della Banca di Jiangsu. A Milano è tutto tranquillo, perché in ogni caso «i soldi sono arrivati» e Li «ha rispettato tutti gli impegni».

Yonghong Li non poteva acquistare il Milan?

chi è cinese milan

«Non abbiamo riscontrato nulla di pregiudizievole a carico di mister Li Yonghong che dispone di adeguate risorse finanziarie per realizzare l’operazione», scriveva a Fininvest il suo advisor finanziario, Marco Samaja, capo di Lazard Italia. Oggi sappiamo che mister Li ha esibito sul tavolo della trattativa le credenziali di una sua società-cassaforte che era già da tempo insolvente. Ha barato? E può un oscuro finanziere, sconosciuto in Cina e altrove, che mai si è occupato di calcio neppure a livello amatoriale e che presenta tra i suoi “gioielli” una holding quasi fallita per pochi milioni non restituiti, impegnarsi da solo in un’operazione da un miliardo (campagna acquisti e aumenti di capitali compresi)? Non bisogna essere un banchiere della Rothschild per rispondere che non e’ possibile.

Eppure lui ce l’ha fatta, con la Rothschild come consulente. E da Rothschild, dove è vicepresidente della controllata inglese, viene il consigliere di amministrazione del Milan Paolo Scaroni, ex numero uno di Eni ed Enel e buon amico di Berlusconi.

Chi è il cinese che ha comprato il Milan, Yonghong Li

Yonghong Li

Chi è allora davvero Yonghong Li? L’inchiesta della Gabanelli si chiude con 3 ipotesi:

1) Li è realmente molto ricco, finora ha tenuto nascosto il suo vero tesoro che forse non può far emergere, e non paga i debiti perché è distratto

2) Ha fregato tutti ed è un mitomane

3) Si è prestato a interpretare la parte in un gioco più grande di lui nel quale i soldi e le garanzie non sono suoi

4) l’importante è che il Milan non finisca su Taobao

La Jie Ande commissariata

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Come riporta Il Corriere della sera, è proprio notizia di queste ore che il tribunale del popolo di Shenzhen ha ufficialmente dichiarato fallita la Jie Ande sulla quale fino a ieri pendeva una richiesta di liquidazione per bancarotta da parte della Banca di Canton. La sentenza, secondo quanto emerso nelle ultime ore, ha spazzato via la gestione targata mister Li, responsabile del dissesto, e nominato con pieni poteri un avvocato dello studio legale Jindu di Pechino.

«La situazione relativa a tutte le mie risorse personali è completamente sana», diceva appena un mese fa l’uomo d’affari. La Jie Ande è il principale azionista con l’11,4% di un’azienda quotata alla Borsa di Shenzhen ed era accreditata come la società più importante e più liquida tra quelle indicate nel curriculum ufficiale del finanziere cinese residente a Hong Kong che, meno di un anno fa, acquistò il Milan dalla Fininvest per 740 milioni. All’epoca la Jie Ande era già insolvente ma nessuno, tra banche, consulenti e controparte, lo verificò.

Procura apre fascicolo su fallimento società Li

berlusconi li

Intanto Il fatto quotidiano riporta che la Procura di Milano indaga sulla vendita del Milan. Il dipartimento guidato dal procuratore aggiunto Fabio De Pasquale ha aperto un fascicolo ‘modello 45‘, dove ha raccolto il rapporto della Guardia di Finanza che contiene tre ‘sos’. Al momento, secondo quanto risulta all’Ansa, non sarebbero state effettuate rogatorie o altre attività d’indagine. Le ‘sos’ sono segnalazioni che banche, intermediari finanziari o altri operatori del settore, anche professionisti, sono tenuti ad inviare all’Uif di Bankitalia quando, come prevedono le norme, “sanno, sospettano o hanno ragionevoli motivi per sospettare che siano in corso o che siano state compiute o tentate operazioni di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo“. Sulla base di questi atti ricevuti dalle Fiamme Gialle gli inquirenti stanno valutando come procedere nelle indagini (ad esempio, si potrebbe attivare una rogatoria in Cina) che potrebbero portare all’iscrizione di un fascicolo con ipotesi di reato. Per vicende di questo tipo, aveva precisato due mesi fa il procuratore Francesco Greco, “così fumose e complicate, dove non si sa quali siano le parti in causa, non si procede subito alle iscrizioni“. Sempre a gennaio, il capo dei pm di Milano aveva sottolineato che “allo stato non esistono procedimenti penali sulla compravendita dell’A.C. Milan”.

Oggi, invece, è trapelata la notizia dell’indagine, che di certo non è stata avviata dopo gli sviluppi odierni, con la notizia del fallimento della holding del presunto magnate cinese Yonghong Li pubblicata dal Corriere della Sera.

Fallimento Li, quali ripercussioni per il Milan

Dal commissariamento non ci sono effetti diretti sul club rossonero ma solidità patrimoniale e credibilità del suo presidente, già traballanti, subiscono un ulteriore colpo. Gli effetti indiretti dipendono dagli spazi di manovra del commissario e dalle norme cinesi: cioè fino a che punto e a che livello può essere eventualmente «aggredito» il patrimonio di mister Li per soddisfare i creditori. Però è evidente che con un crac sulle spalle, la sentenza di un tribunale e altre banche «inchiodate» che pretendono risarcimenti, anche il più spregiudicato uomo d’affari faticherebbe ad accreditarsi su quel mercato.

Eppure per il club è fondamentale fare business in Cina e farlo presto. Essenziale, in particolare, per chiudere il bilancio al 30 giugno e dare continuità all’azienda Milan. Se è pacifico che i debiti (gli oltre 300 milioni di Elliott) vadano rifinanziati , d’altra parte senza un adeguato fatturato la costosa macchina si inceppa. Le misure tampone possono arrivare dallo stesso fondo americano che non avrebbe problemi a prestare altri 30-40 milioni destinati al club se servissero a garantire tra un mese l’Uefa e un futuro nelle coppe al Milan. Non è generosità ma calcolo: eventuali sanzioni inciderebbero sul valore della società che è a garanzia dei prestiti. Yonghong Li mantiene gli impegni, sostengono al Milan elencando i bonifici per gli aumenti di capitale.

Ma è un continuo arrancare tra ritardi e tassi che sembrano una condanna di inaffidabilità: per pochi milioni non restituiti alla scadenza a una finanziaria di Cayman (che ha in pegno una delle holding del Milan con sede alle Isole Vergini) , Li ha accettato di pagare un interesse del 24% in cambio della proroga del finanziamento e facendosi garantire dalla moglie. Insomma se la squadra con Rino Gattuso è riemersa e viaggia a buon ritmo, la società vive alla giornata e da mesi è alla caccia di un rifinanziamento che sia accettabile in termini di tassi e di commissioni.

L’intera operazione Milan-Li, oggi che i nodi del passato vengono al pettine, appare dunque come un enorme azzardo (se non messinscena) finanziario con scarsissimi contenuti e visione imprenditoriali. E il commissariamento della Jie Ande conferma quanto fosse «drogato» quel patrimonio dichiarato dal cinese, comprensivo di miniere e altre proprietà difficilmente individuabili o quantificabili o attribuibili. L’avvocato dello studio di Pechino nominato dai giudici potrà ora certificare se davvero quel piccolo tesoro detenuto dalla cassaforte Jie Ande, cioè la partecipazione dell’11,4% nella quotata Zhuhai Zhongfu, fosse davvero di mister Li come da lui dichiarato. O non, invece, di un certo Jinzhong Liu, come dichiarato nei bilanci.

Durante la sua missione a Londra, l’ad Marco Fassone ha avuto ampie rassicurazioni sul fatto che il fondo statunitense Elliott non ha intenzione né di abbandonare né di cannibalizzare il Milan. Se gli americani volessero farlo – hanno spiegato fonti rossonere all’Ansa – potrebbero stare alla finestra ed aspettare il mancato pagamento della prima tranche di un aumento di capitale a più rilasci, cioè non con un versamento unico. Invece no: Elliott – è la versione fornita da ambienti rossoneri alle agenzie di stampa – è disposta ad affiancare i dirigenti rossoneri all’Uefa per ‘garantire le garanzie’ e, nel caso, anche ad aumentare il prestito qualora ce ne fosse bisogno per portare a termine l’attuale stagione.

Non solo. A quanto pare, Elliott sta già pianificando con i dirigenti rossoneri quello che potrà essere il prossimo mercato estivo in termini di dismissioni e di investimenti. Ma anche di rinnovi contrattuali importanti, come quello di Rino Gattuso che ha ormai abbandonato il ruolo di traghettatore. Dettagli che in teoria dovrebbero appianare le turbolenze degli ultimi giorni, malgrado prosegua la ricerca di un altri finanziatori e prendano sempre più corpo le ipotesi di un compratore di matrice araba o russa: nel primo caso di vocifera di Seed Al-Falasi, membro di una famiglia degli Emirati, nel secondo caso del miliardario di origine uzbeka Alisher Usmanov. Per quanto riguarda mister Li, invece, è certo che il commissariamento da parte del tribunale di Shenzhen della Jie Ande, dichiarata fallita, ha intaccato la cassaforte del magnate cinese. Jie Ande, infatti, è stata presentata come la più importante tra le società offerte come biglietto da visita dal finanziere. “Solo rumors” fanno sapere dall’entourage del presunto magnate cinese.

Perché, sottolineano, Jie Ande apparteneva a un vecchio asset di Mister Li “che nel frattempo ha rivolto i propri interessi ad altre attività con società diverse”. Nonostante il fallimento della Jil Ande, del resto, Yonghong Li finora ha proceduto a versare i fondi per la ricapitalizzazione della squadra, anche se con qualche ritardo. E ora si attende il versamento di altri 10 milioni di euro entro fine mese. Elliott è esposto per 303 milioni di euro nei confronti del Milan: per 180 milioni con la Rossoneri Sport Investment Luxembourg e per altri 123 milioni con il Milan.

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