Vediamo come diventare Mediatore culturale, i requisiti, lo stipendio, quali sono gli sbocchi lavorativi principali, se serve la Partita Iva.
In una società ormai da tempo globalizzata, dove le culture si fondono e si confondono, nella quale gli spostamenti sono rapidi, è diventata sempre più centrale la figura del Mediatore culturale. In quanto mette in connessione due “mondi” diversi tra loro, assicurandosi che entrambe le parti si comprendano e raggiungano un obiettivo comune. Un’interazione molto simile a quella di uno psicologo col proprio paziente.
Che si tratti di una pratica burocratica, un’assistenza sanitaria, un semplice scambio culturale o qualsivoglia altra condizione che vede due o più individui legati a un background socioculturale diverso incontrarsi. Proprio per questo, la professione di Mediatore culturale è diventata anche un’interessante opportunità lavorativa.
Ed è per questo che abbiamo realizzato questa guida, dove vedremo come diventare Mediatore culturale, quali sono i requisiti richiesti, quale titolo di studio serve, qual è il suo stipendio, quali sono gli sbocchi lavorativi principali, se serve la Partita Iva. Infine, come sempre, tireremo le somme e vedremo se conviene davvero fare il Mediatore culturale.
Cosa fa un Mediatore culturale
L’immagine plastica che viene sempre chiamata in causa quando si descrive la professione di Mediatore culturale è quella di un ponte. Proprio perché mette in relazione due sponde diverse, costituite, nella fattispecie, da provenienze linguistiche, culturali, religiose, etniche, sociali diverse.
I suoi principali compiti sono:
- fornisce informazioni dettagliate a immigrati giunti in un altro paese, su come accedere a servizi fondamentali quali sanità, istruzione e assistenza sociale;
- aiuta le persone straniere a trovare un lavoro e una casa, al fine di integrarsi al meglio in una società partendo dagli aspetti basilari;
- aiuta la comprensione delle Leggi vigenti nel paese che accoglie la persona straniera.
Dove lavora un Mediatore culturale: gli sbocchi lavorativi
Quali sono gli sbocchi lavorativi per un Mediatore culturale? Egli lavora in diversi ambiti, soprattutto pubblici, come
- enti locali (soprattutto Ufficio per gli stranieri)
- ambasciate
- tribunali
- ospedali
- scuole
- strutture adibite ai servizi sociali e all’accoglienza (in primis le case famiglia)
- centri di prima accoglienza per gli immigrati
- carceri
- sindacati e associazioni di categoria.
Requisiti per fare il Mediatore culturale
Come si evince dall’elenco precedente, il Mediatore culturale non è un semplice traduttore, ma deve avere, in base al settore in cui opera, una infarinatura giuridica, educativa, sanitaria o amministrativa.
Non devono poi mancare Soft Skills, come capacità comunicative, Problem Solving, gestione dello stress, empatia e adattabilità. Del resto, ogni giorno si avrà a che fare con tante persone diverse, non solo linguisticamente e culturalmente parlando, ma anche caratterialmente. Non tutti sono disposti a comunicare e collaborare, spesso servirà anche tanta pazienza per ottenere collaborazione (si pensi a detenuti, madri alle quali hanno sottratto figli per inadempienze, persone sotto choc che hanno vissuto la tragedia della guerra, ecc.).
Fondamentale, inutile dirlo, la conoscenza delle lingue. L’inglese è ormai un “Must to have“, ma dato che da diversi anni solitamente in Italia arrivano persone dall’Africa e dal Medioriente, quasi sicuramente servirà il Francese o l’Arabo. Inoltre, non mancano varianti tra paesi diversi, in termini di accenti e dialetti locali.
L’arabo, in particolare, prevede 2 “livelli”:
- la lingua colta, comune a tutto il mondo arabo, usata nelle occasioni ufficiali (stampa, discorsi pubblici, cinema);
- i dialetti, le lingue neoarabe, diversissime tra loro, usate nella vita di tutti i giorni (tunisino, algerino, ecc.).
Pertanto, potrebbero servire anche dei corsi ad hoc per approfondire la conoscenza delle lingue con cui si andrà ad operare.
Altra lingua molto diffusa tra gli immigrati che giungono in Italia è quella dei paesi dell’Est Europa.
Oltre alla lingua, servirà anche conoscere la cultura e il contesto sociopolitico del paese di provenienza della persona o del gruppo con cui si ha a che fare, per migliorare l’interazione.
Per fare il mediatore culturale serve la laurea?
No. Infatti, basta anche seguire, dopo aver conseguito il Diploma di scuola media superiore, un corso di specializzazione presso enti accreditati dalla regione territorialmente competente. Corsi spesso gratuiti, rivolti a persone disoccupate, o a pagamento, che durano in genere 600 ore. Al cui termine prevedono il rilascio di un attestato.
Tuttavia, per avere maggiori occasioni di lavoro (anche perché potrebbe essere richiesta tra i requisiti preferenziali), si potrebbe anche conseguire una Laurea. Come il corso di laurea in Scienze della Mediazione Linguistica. Ma possono andare bene altri percorsi accademici come Giurisprudenza, Scienze Politiche, Sociologia, Psicologia, Lingue e Culture straniere, Scienze dell’educazione o Traduzione e Interpretariato.
Anche titoli conseguiti all’estero possono andare bene, così come esperienze sul campo nei paesi d’origine degli immigrati. Sebbene poi servirà una conoscenza anche del contesto italiano in cui si lavorerà, per bene indirizzare le persone straniere.
Non mancano poi Master di I e II livello in studi interculturali e mediazione culturale.
Esiste un albo per mediatori culturali?
No sebbene questa figura sia stata introdotta nell’ordinamento giuridico italiano tra il 1998 e il 1999, non è stato ancora istituito un vero e proprio Albo.
Per fare il Mediatore culturale serve la Partita Iva?
Dipende. Può occorrere aprire la Partita Iva se svolgiamo questa attività come prevalente e se operiamo come liberi professionisti. Il Codice Ateco è 88.99.00.
Se invece veniamo assunti come lavoratori dipendenti presso strutture o enti locali, oppure svolgiamo questa attività in modo gratuito (c’è anche tanto volontariato in questo ambito) o a pagamento ma marginalmente (si parla di attività accessoria), allora non sarà necessaria. Purché poi i pagamenti siano sempre riportati nella propria dichiarazione dei redditi operando tramite ritenuta d’acconto.
Il limite da non valicare è di 5mila euro lordi all’anno. Comunque, consigliamo sempre di chiedere supporto e consulenza a uno studio commercialista per risposte più chiare, certe e aggiornate.
Differenze Mediatore culturale e Mediatore interculturale
Sebbene le due figure possano essere confuse e assimilate, in realtà esiste qualche sottile differenza.
- Il mediatore culturale è inteso come figura che fa da tramite tra un immigrato e il paese di accoglienza al fine di guidarlo nel suo percorso di integrazione. Dunque è più visto come raccordo tra l’immigrato e le istituzioni, in un’accezione dunque soprattutto giuridica e legislativa (oltre che chiaramente linguistica e culturale).
- Il mediatore interculturale, invece, è generalmente egli stesso un immigrato ma già ben integrato sotto tutti i punti di vista nel paese di accoglienza, che aiuta i suoi compaesani ad integrarsi a loro volta. Dunque parliamo di una figura che parte da una matrice più sociale per poi arrivare a quella giuridico-legislativa. E in un’ultima istanza linguistica e culturale.
Quanto guadagna un Mediatore culturale: lo stipendio
Come per tutti i lavori, dipende in quale ambito si opera. Secondo una stima dell’Agenzia di lavoro interinale Adecco, tra le più longeve e importanti d’Italia, lo stipendio di un mediatore culturale sia aggira in media tra i 14.000 e i 20.000 € l’anno.
Conviene fare il Mediatore culturale: vantaggi e svantaggi
Vediamo ora quali sono i Pro e i Contro di fare il Mediatore culturale.
Vantaggi
- Si lavora a contatto con tante persone, di culture e provenienze diverse;
- Lavoro appassionante ed emotivamente coinvolgente;
- Professione sempre più richiesta e professionalizzata.
Svantaggi
- Spesso è un lavoro svolto sotto forma di volontariato, dunque non si viene pagati;
- Lavoro emotivamente molto coinvolgente, e se questo può essere un vantaggio, ascoltare storie spesso tragiche, può anche arrecare disagi alle persone particolarmente sensibili;
- Spesso si lavora in situazione di stress, condizioni precarie. Si pensi ai Pronto soccorso, ai centri di prima accoglienza, alle zone di guerra, ecc.
Qui abbiamo parlato di come diventare interprete e traduttore.