Ripercorriamo la storia di Marlene Dietrich, attrice tedesca naturalizzata americana che visse una vita da donna libera.
Marlene Dietrich, è stata un’attrice e cantante tedesca naturalizzata statunitense, fra le più note icone del mondo cinematografico della prima metà del Novecento. Figura innovatrice, oltre all’immagine di femme fatale cucitagli addosso dallo show business, fu anche la prima a inscenare un bacio saffico sul grande schermo. Peraltro vestita da uomo.
Negli anni ’30 la sua fama era tale da potersi permettere, probabilmente unica allora e tra le poche in tutta la storia del cinema, di poter scegliere il regista con cui lavorare. In quegli anni si rifiutò anche di aderire al Nazismo, per quanto il regime cercasse di trasformarla in uno strumento di persuasione. Si narra addirittura che gli USA volessero utilizzarla per sedurre Adolf Hitler per poi provare ad avvelenarlo. Pare infatti che il Fuhrer avesse un debole per lei, che guardasse i suoi film in privato e avesse chiesto più volte di incontrarla.
Maniacale sul set, è passata alla storia col soprannome di Angelo azzurro, dal titolo del film che nel 1930 la portò alla ribalta. Donna libera, ebbe anche una vita piuttosto stravagante e anticonformista.
In questo video vogliamo omaggiare la sua storia.
La biografia di Marlene Dietrich
All’anagrafe Marie Magdalene Dietrich, nasce a Schöneberg, oggi quartiere di Berlino, il 27 dicembre 1901 (sebbene ella dichiarasse che fosse del 1904), da un ufficiale di polizia e una figlia di un gioielliere.
A soli 4 anni iniziò a studiare il francese, l’inglese, il violino e il pianoforte. Tuttavia, complice uno strappo ai legamenti di un dito della mano, fu costretta a interrompere lo studio della musica strumentale, ripiegando così sullo studio come cantante, riuscendo a diplomarsi all’Accademia di Berlino.
Nel 1922 iniziò a calcare i palcoscenici dei teatri di Berlino e di Vienna. E poco dopo, iniziò anche col mondo del cinema, lavorando con il regista Max Reinhardt, in piccole parti in alcuni film muti. In quegli anni ebbe anche una figlia con Rudolf Sieber, un aiuto regista. Mentre alla fine del decennio, arrivò la sua prima interpretazione da protagonista.
Perché Marlene Dietrich veniva chiamata l’Angelo Azzurro
Sempre nel 1929 firmò il contratto per interpretare il film che le diede la fama, L’angelo azzurro, con la regia di Josef von Sternberg, tratto da un romanzo di Heinrich Mann, fratello del più famoso Thomas.
In questo film, che è anche il primo film sonoro del cinema tedesco, epocale è la scena in cui canta la famosa canzone Lola Lola. Le pellicola venne girata in versione multipla, in tedesco e in inglese. I costumi furono disegnati da lei stessa (in seguito saranno disegnati dal sarto Travis Banton). È in questo periodo che il regista Sternberg la convinse a farsi togliere quattro molari e la mise a dieta ferrea per darle un aspetto più drammatico.
L’America si accorse subito di lei, proponendogli un contratto di sei anni nel 1930. Tra le clausole, quella di poter scegliere il regista dei suoi film.
Sul viaggio in transatlantico incontrò Travis Banton, il costumista con il quale collaborò sempre, con il quale aveva in comune l’ammirazione per Sternberg e una straordinaria resistenza fisica alla fatica. Fu in questo periodo che Sternberg le scattò la famosa foto vestita da yachtman, che venne diffusa dalla Paramount con la frase di lancio dell’immagine divistica di Marlene: “La donna che perfino le donne possono adorare“. Inoltre, la Paramount la mise in contrapposizione a Greta Garbo, la star scandinava della emme gi emme.
La Diva di Hollywood
Il primo film statunitense fu Marocco, girato nell’ottobre 1930, nel quale cantava due canzoni e che le valse la candidatura all’Oscar come migliore attrice. Marocco uscì negli Stati Uniti d’America prima de L’angelo azzurro (dicembre 1930) e nel marzo 1931 arrivava già nelle sale Disonorata: in pochi mesi era già diventata una star cinematografica mondiale.
In Marocco restò famosa la sua performance canora vestita da uomo e il bacio con una donna del pubblico, una scena che resta una delle prime rappresentazioni di un bacio omosessuale della storia del cinema. Per Shanghai Express (1932) venne accuratamente studiato il suo look: vestiti neri che la snellissero e piume nere di gallo da combattimento. L’anno dopo Sternberg si rifiutò di dirigerla ne Il cantico dei cantici (1933), ma le suggerì comunque di chiedere che la regia venisse affidata a Rouben Mamoulian.
I film successivi più celebri sono tutti declinazioni su sfondo fantasiosamente esotico della sua immagine di diva. Si ricorderanno L’imperatrice Caterina (1934) e Capriccio spagnolo (1935), che fu l’ultimo film nel quale collaborò con Sternberg.
La professionalità e la determinazione della Dietrich sul set erano proverbiali. Con la disciplina pretendeva da sé stessa un’interpretazione perfetta, che coprisse eventuali pecche sul profilo dell’interpretazione drammatica.
In Capriccio spagnolo, ad esempio, Sternberg aveva ideato la scena di presentazione di un personaggio, con il primo piano di un palloncino che scoppia e mostra il volto della diva. Le venne richiesto di restare impassibile allo scoppio del palloncino, evitando il riflesso naturale di sbattere almeno le palpebre: essa si sottopose a prove estenuanti, ma alla fine riuscì a eseguire la corretta performance. In Marocco cercò di scurirsi gli occhi con metodi rudimentali, cosa che poi riuscì al regista con un effetto luce.
Nel 1941 ottenne anche la cittadinanza americana, non volendone più sapere di quella Germania diventata nazista. Negli anni della seconda guerra mondiale, collaborò con l’esercito per portare spettacoli alle truppe impegnate sul fronte.
Interrotta la collaborazione con Sternberg, in quel decennio figurò in film meno importanti, mentre nel 1954 diede vita a una tournée teatrale in cui cantava le canzoni dei suoi film e intratteneva il pubblico con monologhi estemporanei.
Quando la sua carriera cinematografica sembrava ormai giunta al termine, diede ancora grandi prove in Testimone d’accusa (1957) di Billy Wilder; L’infernale Quinlan (1958) di Orson Welles e Vincitori e vinti (1961) capolavoro di Stanley Kramer con un cast stellare. Per quest’ultimo film ottenne il David di Donatello Speciale.
Marlene Dietrich come è morta
Le apparizioni sul grande schermo si diradarano sempre più, complici anche i crescenti problemi di salute. Fu infatti vittima di tre cadute, pare anche preda i fumi dell’alcol, e alla fine degli anni 70 decise di ritirarsi dalle scene definitivamente. L’ultima apparizione risulterà in Gigolò, del 1978, accanto a David Bowie (a proposito del grande artista, qui abbiamo parlato del motivo dei suoi occhi di colore diverso).
Sei anni dopo, l’attore Maximilian Schell le dedicò un film-documentario, Marlene, che l’attrice accettò di fare solo per denaro. Ma ottenne di non apparire nelle sue condizioni di allora, di certo lontana dalla donna che si era vista al cinema 50 anni prima, costretta come era su una sedia a rotelle.
Marlene Dietrich morì dopo circa otto anni di immobilizzazione a letto, il 6 maggio 1992, nel suo appartamento parigino di Avenue Montaigne 12. La lunga degenza era stata accompagnata da fasi depressive acute. Il decesso fu attribuito ufficialmente a un infarto che la colpì nel sonno, sebbene fossero ventilate anche altre ipotesi, come il suicidio.
Fu sepolta il 16 maggio nel cimitero di Friedenau a Berlino, accanto alla madre, con l’epitaffio:
Quando sono vicino alla mamma, non mi può accadere nulla
Contestualmente, fu anche dichiarata cittadina onoraria di Berlino, una sorta di riconciliazione con la sua città di origine dalla quale si tenne sempre lontana. Sebbene resterà memorabile una foto che la vede camminare tra le macerie della città, rasa al suolo durante la guerra. Triste testimonianza di questo difficile rapporto col suo paese, il fatto che la tomba sarà spesso oggetto di vandalismi da parte di gruppi neonazisti.