MAREA NERA, LA PESTE CHE STA UCCIDENDO GLI ECO-SISTEMI MARINI DI TUTTOIL MONDO

ULTIMO DISASTRO ECOLOGICO IN NUOVA ZELANDA. MA IL SENTORE E’ CHE CE NE SARANNO ANCORA MOLTI

I disastri ecologici legati alle fuoriuscite di petrolio, che sotto l’inquietante nome di “marea nera” stanno distruggendo gli ecosistemi di mari e oceani in ogni angolo della Terra, ormai non si contano più. Nessuna area geografica del Globo è stata risparmiata. Ogni Continente è stato ed è interessato da una catastrofe ambientale che ha causato l’estinzione di specie animali e vegetali, o quantomeno la loro decimazione. Nonché danni economici per chi trova nella natura la propria fonte di sostentamento.
L’ultimo caso, in ordine di tempo, che ha suscitato un certo clamore mediatico e lo shock di mezzo Mondo, è quello che si sta consumando un anno e mezzo fa nel Golfo del Messico. Ma negli ultimi mesi sono stati altri i disastri, taciuti e non. Come quelli in Cina e Nuova Zelanda. Mentre un altro potrebbe presto giungere anche dal mar Caspio…


IL DISASTRO IN NUOVA ZELANDA – L’ultimo incidente che vede protagonista in negativo l’Oro nero e, ovviamente, l’incuria umana, si sta verificando in Nuova Zelanda. Dalla scorsa settimana infatti, la nave Rena, battente bandiera liberiana, si è incagliata sulla barriera corallina a 12 miglia nautiche da Tauranga, sulla costa orientale di North Island. Il petrolio fuoriuscito è ormai arrivato su una delle più popolari spiagge del paese, in quello che è sicuramente il peggiore disastro ambientale da decenni per l’area.
A rendere problematiche le operazioni di limitazione del disastro, ci si mettono anche le difficili condizioni del mare. Si parla di onde alte 5 metri e venti a 25 nodi, e secondo le autorità ci sarebbe il rischio che la nave si spezzi. La nave pesa ben 47.230 tonnellate di stazza, e a quanto pare, 300 delle 1700 tonnellate di greggio presente nelle stive sarebbero già fuoriuscite.
Per quanto concerne i soccorsi, 250 specialisti sono accorsi da diverse parti del mondo; mentre 300 militari sono pronti ad entrare in azione per ripulire le spiagge minacciate dall’arrivo delle bolle di petrolio.
Nonostante ciò, i danni alla fauna già si stanno purtroppo verificando. Sinora sono morti circa 50 uccelli marini e ne sono stati curati altri 20 per la contaminazione dal greggio: «Le prossime 24-48 ore saranno decisive per evitare una catastrofe ambientale», ha detto Rebecca Bird, della sezione Marina del Wwf.

CINA, LA MAREA NERA CENSURATA – Sarà che i disastri ambientali che avvengono in Asia non interessano i media internazionali, visto come tacciono sugli effetti devastanti che in questi giorni uragani ed esondazioni stanno avendo su Giappone, Cina e paesi limitrofi. O ancora, visto come tacciono sugli oltre 700 incidenti che hanno dannosi per l’ambiente avvenuti in Cina dal 1998 ad oggi. O forse sarà che nel Paese della Lunga Marcia vige ancora una dittatura anacronistica, che blocca o rallenta la fuoriuscita di notizie scomode al di fuori dei confini nazionali.
Fatto sta che la Cina sta vivendo il peggiore disastro ecologico della sua storia e nessuno ne parla. Un disastro ecologico iniziato lo scorso 4 giugno 2011 nella Baia di Bohai, nella parte nord-orientale del Paese. Il giacimento è gestito dalla società texana ConocoPhillips ma ne è proprietario lo stato cinese, essendo controllato al 51% della China National Offshore Oil Corporation (CNOOC). E ‘molto difficile sapere con esattezza quale sia l’entità della fuoriuscita. Tra l’altro, il petrolio non arriva del tutto in superficie poiché trattenuto dal cosiddetto “fango di perforazione“, una miscela di sostanze chimiche, argilla e acqua estremamente dannosa per l’ambiente e anch’essa rilasciata in maniera massiccia.
L’epicentro della catastrofe si trova a 80 Km al largo della costa, dunque non è di facile accesso. E questa lontananza gioca a favore di Cina e ConocoPhillips, rendendo difficili i sopralluoghi da parte di enti indipendenti e imparziali.
Stando ai dati ufficiali diffusi dalla società texana, ad oggi i barili dispersi in mare sono 3.200, equivalenti a una chiazza larga ben 512 mc. A questi vanno aggiunti 700 barili di petrolio grezzo e 2.500 contenenti fanghi per la perforazione petrolifera. Anch’essi, come detto, altamente inquinanti.
Stime che non corrispondono a quella della National Oceanic Administration cinese, per la quale il tratto di mare inquinato è vasto quasi 5.500 km2, ovvero il 7% del Mare di Bohai.
Al di là del solito balletto di cifre con annesso rimpallo di responsabilità, è indubbio che la costa circostante è stata ampiamente colpita dall’inquinamento petrolifero. Anche le spiagge della grande città portuale di Qingdao sono “colorate di nero”, usando le parole del Quotidiano del Popolo.
Per quanto riguarda gli esseri umani, ad essere principalmente danneggiati da questo disastro sono ovviamente i pescatori, seguono a ruota gli agricoltori. Eppure, per ora, secondo fonti ufficiali “solo” 200 famiglie appartenenti a due contee di Hebei si sono unite per fare una stima delle perdite e chiedere i danni.
Secondo l’agenzia di stampa Xinhua, gli allevatori di pesce della zona hanno perso quasi il 70% della loro produzione. Il restante 30% è costituito da specie marine molto piccole, che interessano poco i consumatori.
Ma come è potuto accadere? Come per le stime dei danni, anche qui i pareri sono discordanti.
Per la società texana responsabile delle trivellazioni il problema è che il giacimento si trova su una faglia sismica, che si è aperta improvvisamente. Un incidente che la società ritiene “estremamente raro” e imprevedibile. Ma per la maggior parte degli esperti, si tratta di un errore umano. Le perdite sarebbero state causate da un carotaggio sbagliato che avrebbe rovinato la stabilità degli strati geologici.
Il 4 settembre (dunque ben 3 mesi dopo l’incidente!), la National Oceanic Administration ha seguito il consiglio degli esperti e ha ordinato di fermare lo sfruttamento di questo pozzo. E meno male, aggiungiamo noi!
Ma oltre a questo ritardo nel fermare i lavori malgrado la perdita, per la ConocoPhillips c’è anche l’aggravante di averlo reso pubblico solo il primo luglio, dunque 26 giorni dopo.
La National Oceanic Administration ha annunciato di voler avviare un procedimento legale contro la ConocoPhillips per ottenere il risarcimento dei danni ambientali causati dalla marea. Nell’Hebei, le succitate 200 famiglie di agricoltori hanno chiesto l’aiuto di un pool di 30 avvocati, che hanno accettato di rappresentarli gratuitamente. Tutto dipende dall’esito di una causa che richiederà molto tempo, anche se saranno aiutate da organizzazioni non governative locali. Al loro fianco vuole esserci ovviamente anche Greenpeace.
Gli esperti ritengono che questo sia il più grave tra i 718 incidenti verificatisi tra il 1998 e il 2008, come riportato dal rapporto governativo sulla situazione ambientale degli oceani, pubblicato nel 2010. In totale in questo periodo quasi 12.000 tonnellate di petrolio si sono riversate nei mari della Cina, se ci si vuole fermare alle stime del governo cinese. E dal momento che lì vige ancora la censura, è facile ipotizzare che il danno arrecato all’ambiente sia ancora più grosso.

IL GIACIMENTO PETROLIFERO IN CANTIERE NEL MAR CASPIO – E’ uno dei giacimenti petroliferi classificati come “giant”, giganti. La maggior scoperta petrolifera degli ultimi 40 anni, e l’italiana Eni – che ne possiede il 18,6% ed è in società con altri 6 partner – lo metterà in produzione da fine 2012. Dopo dodici anni dal suo ritrovamento, la prima goccia di petrolio di Kashagan (questo il suo nome) arriverà sui mercati mondiali. Per estrarla, e per giungere nel giro di qualche mese a 370 mila barili al giorno, si sono dovute superare difficoltà che tutte insieme non si trovano in nessun’altra parte del mondo. Nel mar Caspio settentrionale, a sud del delta del Volga e dell’Ural, d’inverno le temperature raggiungono meno 40 (si lavora solo nella stagione da marzo a ottobre-novembre) e il mare, che è profondo solo quattro metri, diventa di ghiaccio. Chi perfora deve badare bene alle emissioni di acido solfidrico, che possono risultare letali e vengono immediatamente segnalate con un sistema di sicurezza assai stringente.
Per ora il progetto è rallentato da problemi tecnici e retaggi burocratici. Ma per gli investitori ne vale la pena: ad oggi per il progetto Kashagan sono stati spesi circa 30 miliardi di dollari, e secondo alcune stime del recente passato si potrebbe arrivare alla fine tra i 120 e i 130 miliardi di dollari. Una montagna di denaro per un mare di petrolio: le riserve stimate sono intorno ai 12 miliardi di barili. A 50 dollari al barile, che è il prezzo di pareggio per il petrolio di Kashagan, fanno 600 miliardi di dollari. Alle quotazioni attuali a 85 dollari si superano i mille miliardi. Per le compagnie petrolifere e il governo del padre-padrone Nursultan Nazarbayev (al potere ininterrottamente dal dissolvimento dell’Unione Sovietica) il gioco può valere la candela.
Non resta che sperare che i barili non finiscano in mare.

LA SITUAZIONE NEL GOLFO DEL MESSICO – Del Golfo del Messico pure non si parla più. Eppure secondo gli esperti, si sono verificati una vasta gamma di problemi di salute. Principalmente reazioni cutanee, come l’eczema. Ma molto diffusi sono anche mal di testa, confusione, problemi di memoria, problemi respiratori, asma, tosse persistente, bronchiti, disturbi di sintomi gastro-intestinali, diarrea episodica. Si sono verificati anche casi di tumori, seppur pochi, e dunque non c’è ancora un allarme pubblico. Poi ci sono i problemi psicologici legati all’insicurezza economica, poiché quasi tutti vivevano di pesca e oggi ovviamente la loro attività si è arrestata in tronco. Poi c’è il problema dell’assistenza sanitaria, perché essendo questa una zona povera, essa non è mai stata molto diffusa. Dunque molti vivono in ansia e patiscono la depressione per il timore di non potersi curare.
Che il disastro provocato dalla Bp abbia colpito comunità già povere e ai margini del sistema economico-sociale lo dimostra anche il fatto che essi sono tagliati fuori dal sistema sanitario. Nel Golfo del Messico ci sono pochi specialisti, qualcuno solo a New Orleans. Ci sono zone molto isolate dove non ci sono medici adeguati per visitare le persone, come nella zona di Bayou. Solo nell’immediato sono state istituite cliniche temporanee, operative soprattutto in estate. Poi man mano sono state smantellate, perché riducendosi la macchia nera nel mare e i fumi nell’aria, si è pensato erroneamente che il peggio fosse passato. Invece gli effetti arrivano col tempo e la gente della zona va monitorata ora come in futuro.

Se le conseguenze ambientali per tali disastri sono ingenti, di poco conto sono invece quelle di natura legale.. Quasi mai, o forse mai, qualcuno ha pagato per quanto causato. O tutt’al più i responsabili hanno pagato in modo irrilevante rispetto all’apocalisse provocata.

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Pubblicato da Vito Andolini

Appassionato di geopolitica e politica nazionale.

0 Risposte a “MAREA NERA, LA PESTE CHE STA UCCIDENDO GLI ECO-SISTEMI MARINI DI TUTTOIL MONDO”

  1. ovviamente ai tg passa come una "notiziola" se si ha un pò di spazio tra politica, gossip e cronaca nerapaolo

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