Ieri 22 maggio è ricorso il 150° anniversario dalla morte del grande Alessandro Manzoni, avvenuta nel 1873. Tra i vari incontri, conferenze e pubblicazioni sull’autore, manco a dirlo, la sua opera più rappresentativa: I Promessi sposi, pubblicata nella sua versione definitiva nel 1840. Ma che fu frutto di un grande lavoro di ricerca per l’autore milanese, nonché sperimentazione e ricostruzione.
I promessi sposi sono un omaggio dell’amore che vince su tutto: i signorotti locali, il potere ecclesiastico, le diffidenze umane.
In pochi però sanno che Alessandro Manzoni abbia incontrato un altro grande autore italiano dell’800: Giacomo Leopardi. Ecco i dettagli di quell’incontro.
Dove e quando si incontrarono Manzoni e Leopardi
I due grandi autori, uno lombardo, l’altro marchigiano, si incontrarono in quel di Firenze, in occasione di un ricevimento tenutosi presso Palazzo Buondelmonti. Ad organizzarlo Giampietro Vieusseux, fondatore dell’omonimo circolo letterario, proprio in onore di Alessandro Manzoni. Era un lunedì, il 3 settembre 1827, dalle 19 alle 21.
Cosa si dissero Alessandro Manzoni e Giacomo Leopardi? Ecco le varie indiscrezioni.
L’incontro tra Manzoni e Leopardi
Come racconta a Il Fatto quotidiano il critico letterario Gino Tellini, che una quarantina di anni fa ha pubblicato un saggio su quell’incontro, Manzoni, nonostante la sua timidezza in pubblico, si mostrava disinvolto se non espansivo, pur soffrendo di balbuzie. Oltre a Giacomo Leopardi, era presenti Gaetano Cioni, Terenzio Mamiani, Mario Pieri, Giovanni Battista Niccolini, Pietro Giordani.
A quell’epoca, Manzoni aveva pubblicato la seconda edizione de I promessi sposi (la prima fu pubblicata nel 1821 con il titolo Fermo e Lucia, dal nome iniziale dei due protagonisti), mentre Leopardi a giugno aveva pubblicato le sue Operette morali. Per arrivare alle due opere, Manzoni si era “sliricato”, cioè aveva abbandonato la centralità dell’io, mentre Leopardi con le Operette è rimasto un sommo lirico.
Quali sono le differenze tra Manzoni e Leopardi?
I due sono in antitesi sul concetto di bello: Manzoni proclama il vero come bello, contestando la mitologia; Leopardi difende la mitologia come fonte di poesia, su posizioni duramente antiromantiche, e identifica il bello con il “finto”, con l’illusione, con l’immaginazione.
Cosa hanno in comune Manzoni e Leopardi?
Manzoni e Leopardi, come scritto da alcuni analisti, avevano in comune l’impegno di liberare la letteratura italiana dalla “spazzatura” della vacua magniloquenza e dal “cancro della retorica” e del servilismo.
Entrambi non aderirono all’invito rivoltogli da Vieusseux di collaborare all’Antologia, prendendo così le distanze dalla cultura della modernità che all’epoca imperava a Firenze. Queste le loro rispettive motivazioni:
- per Manzoni, Firenze era troppo incline al compromesso con la tradizione classicistica e quindi troppo formalistica;
- per Leopardi, Firenze era invece troppo legata a una modernità oltranzista per egli inaccettabile. Una modernità utilitaristica, attenta a una letteratura di strumentale didascalismo.
Quindi, cosa significa ciò? Sempre a detta di Gino Tellini, per entrambi la letteratura non doveva essere espressione del culto della forma (quindi diremmo auto-referenziale, un esercizio stilistico), ma una forza conoscitiva in modo autentico. Pertanto, per Leopardi e Manzoni la Letteratura è intesa come un modo di intendere la vita e quindi di lottare. Una letteratura che diventi uno strumento con un fine quasi storico e sociale e non un semplice esercizio di stile auto-referenziale e fine a se stesso.