A tre anni di distanza da Mondovisione, Luciano Ligabue pubblica il suo undicesimo album di inediti: Made in Italy. Diciannovesimo della sua carriera, comprendendo raccolte e live. Uscito il 18 novembre, ma dalla sera prima già disponibile su iTunes, Made in Italy è il primo concept album del rocker di Correggio. Vale a dire, un disco le cui canzoni sono legate da un filo comune. Come se raccontassero una storia. Un qualcosa che ormai si usa fare poco ma che era molto in voga nei tempi d’oro della musica: negli anni ’60 e ’70. Da vecchio fan “del Liga”, ho già detto come la penso su di lui in occasione dell’uscita del precedente disco di inediti. Pertanto, qui vado direttamente al sodo e propongo una recensione di Made in Italy.
Made in Italy, Ligabue fa il suo album impegnato alla Guccini e De Gregori
Che il buon Luciano sia un fan di cantautori nostrani come Guccini e De Gregori, è un fatto noto. Peraltro, in uno dei suoi dischi forse più brutto, Arrivederci Mostro!, gli ha dedicato anche un brano: Caro il mio Francesco. E in Made in Italy riprende un po’ il loro modo di scrivere canzoni e fare musica. Ossia, con più di un occhio nel sociale e sui temi dell’attualità. I cosiddetti “album politici” insomma, roba da anni ’70. Nei suoi lavori discografici, Ligabue non si è mai esposto, ritenendo che la musica dovesse fare altro. Ma saranno i cinquant’anni superati, ha cominciato a farlo con sempre maggiore vigore.
E così, dopo Buona notte all’Italia, è stata la volta di brani come Nel tempo, Non ho che te, Il muro del suono e Il sale della terra. Un crescendo che è naufragato in Made in Italy, un album praticamente tutto o quasi trattante temi che inquietano il nostro tempo. Tanto la sfera privata che quella sociale. Su tutti, la crisi del mercato del lavoro. L’idea di Ligabue è stata quella di accompagnare, nel booklet, ogni testo con una lettera che un personaggio immaginario, Riko, invia a un suo amico di vecchia data di nome Carnevale. Riko, come ha spiegato nelle varie interviste Ligabue, sarebbe il suo alterego. Ciò che sarebbe forse stato lui se non avesse fatto il cantante. Dunque, il concept album si basa sulla storia di Riko. Personaggio di fantasia il cui nome deriva da Riccardo, secondo nome di Ligabue.
Recensione Made in Italy: le prime cinque tracce
Veniamo ora alla recensione di Made in Italy. Che consta di 14 tracce, una scelta che non vedevamo fare al Liga dagli anni ’90. Andando a memoria. Iniziamo la recensione di Made in Italy con la prima traccia, La vita facile. La quale è il classico pezzo svelto alla Liga che apre un disco, e che fa presagire che ci troveremo dinanzi alla solita solfa. Il secondo brano ci presenta subito questo Riko: Mi chiamano tutti Riko; personaggio tipico dei nostri tempi, tra crisi familiare e una posizione economica precaria. Ma l’arrangiamento ricorda in modo imbarazzante un pezzo dei Led Zeppelin: Trampled Under Foot. Il terzo brano è E’ venerdì non rompetemi i coglioni, una sorta di Certe notti più scanzonata, ma il cui arrangiamento somiglia a Sunday Morning dei Velvet Underground. Sebbene più rockeggiante. Il quarto brano Vittime e complici, che tratta della crisi famigliare di Riko, ma la cui intro somiglia troppo al brano “Da Marzia”, facente parte della colonna sonora del film Radiofreccia. La quinta traccia, Meno male, è invece una classica ballata, breve e amara sui licenziamenti. Impreziosita dalla tromba di Massimo Greco.
Recensione Made in Italy: dalla sesta alla decima traccia
Proseguendo in questa recensione di Made in Italy, passiamo al sesto brano: G come Giungla. Che già conosciamo bene perché singolo di lancio del disco, in rotazione radiofonica da settembre. Il brano è un corollario dei mali del nostro tempo dal ritmo incalzante. E’ comunque il pezzo più gradevole e orecchiabile. Un buon compromesso tra impegno sociale ed esigenze radiofoniche. La tastiera del produttore Luciano Luisi scandiscono il settimo brano: Ho fatto in tempo ad avere un futuro. Ma stilisticamente pure sa di già sentito. L’ottava traccia è L’occhio del ciclone, che tratta l’aria elettrica che si respira in questo periodo nel quale tira un vento di protesta. Il nono brano è Quasi uscito, solo voce e chitarra dalla durata di 1:40 minuti. Un intervallo che dà respiro all’ascoltatore. Ma che lo tiene concentrato sulla severità degli argomenti trattati. Il decimo brano è Dottoressa, in cui Ligabue si concede un pezzo ironico e scanzonato, che alleggerisce un po’ la pesantezza del disco.
Recensione Made in Italy: i quattro brani che chiudono il disco
Chiudiamo la recensione di Made in Italy con gli ultimi quattro brani. I miei quindici minuti parla di Riko finito in ospedale per una manganellata di un giovane poliziotto durante una manifestazione. Qui Liga sceglie un arrangiamento Reggae nonostante il tema sociale trattato. In Apperò invece tira una breve frecciatina alla superficialità dei media, anche se l’arrangiamento somiglia al remake di Over the rainbow proposto da Israel Kamakawiwo’ole nel 1993. Il tredicesimo brano è l’omonimo Made in Italy, in rotazione radiofonica in questi giorni come secondo singolo. Un viaggio del Liga tra i pregi e difetti dell’Italia, già proposto in Buona notte all’Italia, ma questa volta più ritmato ed esplicito. Con tanto di nomi delle città. Chiude il disco Un’altra realtà, che, come il primo brano, chiude in modo tipico il disco del Liga. Ossia con un pezzo in sordina, che vuole comunque lanciare una speranza dopo tanta amarezza. Spiazzano qui i cori di bambini.
Insomma, tra già sentito, impegno sociale e qualche novità sonora, Ligabue ha provato a fare il suo primo Concept album. A me personalmente è risultato pesante. Sarà anche che in questo periodo non sono predisposto psicologicamente ad ascoltarlo. Se non altro non ha presentato proprio la solita solfa, anche se superati i trenta, si diventa meno tolleranti. Da Fuori come va in poi non è più il Liga anni ’90. Se non altro con Made in Italy si è esposto di più, patinato e attento al look come ormai è diventato da un po’.
Ciao Luca,
Secondo me c’è bisogno di ascoltarlo meglio questo disco. Anche se basta un ascolto per capire che “l’occhio del ciclone” parla del g8 di Genova e non di “aria elettrica che si respira in questo periodo nel quale tira un vento di protesta”…
Sì ci sono un paio di passaggi che si riferiscono a quello, tipo:
“Il ministro da casa formalizza le scuse che chissà salverà la pensione” (Fini) e “Il poliziotto ragazzo sta tremando da un pezzo ma lo sa che qualcosa va fatto” (Placanica).
Ma come sai Liga tende comunque a generalizzare i suoi pezzi, per far sì che l’ascoltatore li filtri come vuole
copio tale e quale la mia umile recensione che ho pubblicato su FB dopo 5-6 ascolti completi.
“Prima di tutto, doverosa ammenda su “G come giungla” che al primo ascolto, in una domenica d’estate di ritorno dalla spiaggia, mi aveva fatto saltare sul sedile. non è O come orrenda ma almeno O come orecchiabile.
Secondariamente, la premessa è che i tempi del compleanno di Elvis e di Nome e Cognome si sa, non torneranno. quindi nessuno oserà tirar fuori la parola capolavoro.
Detto questo, solite sonorità a parte (anche se qualcosa di nuovo c’è) la bella novità è vedere che un artista dopo oltre 25 anni carriera ha ancora qualcosa da dire e lo sa dire molto molto bene. Nella scrittura, nel filo conduttore e nella storia così attuale su questo nostro disgraziato paese questo album è una piccola perla. grazie #liga “
Tutto sommato, mi trovo d’accordo. Escludendo i dischi anni ’90, è il meno commerciale che ha fatto da Fuori come va? in poi. Forse ha anche di più le spalle coperte, commercialmente parlando, per esporsi.
Grazie per il tuo punto di vista 🙂
Non ne ha azzeccata una!!!
Secondo me sei tu che somigli un po’ troppo a un imbecille..
Un conto è somigliarci, un conto è esserlo 😉
Ciao Luca, per la prima volta entro in questo tipo di forum, curioso solo di leggere i commenti sul nuovo album di Luciano.
Anche io fan di vecchia data. Praticamente da quando si esibiva nei campi sportivi di paesi sperduti (come in Val di Susa).
Allora vado al sodo: francamente non mi piace l’idea di aver paragonato alcuni pezzi del nuovo album a canzoni già scritte da alcuni grandi artisti. Per qualche nota di somiglianza subito a dire ” è uguale a quella canzone”. Chi conosce Luciano, sa che non ha proprio bisogno di copiare nessuna canzone. E’ un creativo e sa fare il suo lavoro.
Poi, i fan datati ormai rimpiangono il “vecchio Liga”….ma scusate….noi non siamo cresciuti?
Direi che questa storia di “non è più come una volta” dovrebbe finire non soltanto per lui ma per tutti.
Crescendo si diventa più “saggi”, più responsabili e meno tolleranti davanti a certe persone e problematiche.
Concludo per non dilungarmi troppo nei discorsi ma, ti dico che a me l’album piace molto. Lo trovo molto interessante nei testi e nelle canzoni. Ha tematiche di carattere sociale, ma anche personale.
La cosa che condivido con te è sul fatto che, commercialmente parlado, Luciano sia diventato un prodotto delle case discografiche. Questo è il bello ed il cattivo tempo di essere un artista di fama come lui.
Ma ricorda…dietro un artista c’è un uomo. Ecco, impariamo ad apprezzare l’immagine riflessa negli occhiali a specchio di Ligabue nell’ultima pagina del CD. Quello è Luciano…
Augurandomi un giorno di vederci tra noi fan “datati” davanti una birra e qualche manciata di pop corn, ti auguro buona giornata.
Dario
Ciao Dario. Grazie per il tuo commento. E’ sempre bello confrontarsi coi vecchi fan, perchè i nuovi giustamente sono nati già con le ultime cose da lui prodotte.
Volevo precisare che questo non è un forum ma un blog. Ma sono dettagli. In fondo, funge anche da quello, visto che commentando ci si può confrontare. Quanto al discorso sui cambiamenti, ti rimando al commento lasciato a Michele. Lì cito Vasco, ma potrei citare anche ad esempio Guccini e De Gregori, a cui il Liga si ispira.
Infine, ti faccio un appunto finale: invece di birra dovevi dire Lambrusco, non ti pare? 😉
Ciao Luca,
emh….il vino non mi scende….e poi l’Emilia è anche famosa (in questi ultimi anni) per alcuni microbirrifici presenti nel territorio…es: Birrificio del Ducato a Parma
Leggo sempre con piacere le recensioni sul Liga in quanto, fan da 20 anni come te. L’album probabilmente a primo impatto non colpisce, ma poi associato alla storia, fa la sua bella figura. Sappiamo (anche se sognare non costa nulla) che il Liga degli anni ’90 non tornerà, e credo sia anche giusto così. Come disse lui “canzoni come sogni di rock and roll non riesco più a scriverle perché è finito il tempo in qui provavo certe serate, certe emozioni”, e adesso sarebbe quasi fuori luogo. Un album che, per me, merita un 6,5/7 sia per il coraggio che per i testi. Alla prossima recensione, sei un grande!!!
Ciao Michele. In effetti cambiano gli artisti e cambiamo noi. Ora forse sente un altro tipo di rabbia, più disillusa. E’ naturale che un cantautore cambi a 50 anni e scriva diversamente rispetto a quanto ne aveva 30. Anche se devo dire che ad esempio Vasco, sebbene non faccia più i pezzi degli anni ’80, abbia conservato una certa coerenza come personaggio. Liga, come scrivo anche nell’articolo, è diventato troppo patinato e spremuto commercialmente. Tra singoli, concerti, libri e dischi.
Grazie per il commento. Spero di ritrovarci al prossimo album 🙂
Scusa…ma che disco hai ascoltato??? Un esempio su tutti…come fa un pezzo rock come É VENERDI…ad ad avere un arrangiamento simile ad un pezzo “lento” come Sunday Morning ???? Resto perplesso
Io mi riferisco alla intro, dove nel pezzo dei Velvet viene suonato la Celesta, suono molto simile allo Xilofono che presumo sia stato utilizzato nel brano del Liga. Poi so bene anche io che quello di Luciano è più rockeggiante mentre il primo è più melodico.