Con Gheddafi non si è parlato solo di Islam ma soprattutto di affari, il vero filo che lega il nostro Paese con quello libico. Alla cena di lunedì sera tenutasi alla caserma dei Carabinieri “Salvo D’Acquisto di Tor di Quinto” erano presenti banchieri, politici, imprenditori, gran parte del Governo: Renato Brunetta, Bobo Maroni, Stefania Prestigiacomo, Ignazio La Russa, Maria Stella Gelmini, Franco Frattini. In rappresentanza del mondo della finanzia italiana c’erano Alessandro Profumo e Paolo Scaroni, Fulvio Conti e Piero Gnudi, Pierfrancesco Guarguaglini, Massimo Ponzellini, Gabriele Galateri, Jonella Ligresti, nonché il socio in affari del premier e di Gheddafi, Tarak Ben Ammar.
Alla cena in onore del Muhammar c’era chi gli accordi li aveva già fatti, chi spera di farli, e chi alla propria azienda conta di garantirne sempre di più. In tempi difficili, con l’aiuto della Banca centrale e della Libyan Investment Authority (che in realtà sono la stessa cosa), Alessandro Profumo ha ridato fiato al capitale di Unicredit (fra le proteste della Lega) e di Cariverona. Eni ed Enel attendono sviluppi da un Paese nel quale la crescita delle città procede più veloce del petrolio che i libici riescono ad estrarre dalle proprie sabbie. Impregilo, e con lei la Cmc di Ravenna, Condotte, Salini e Pizzarotti attendono di sapere che ne sarà della loro manifestazione di interesse per la costruzione della grande autostrada che attraverserà il Paese da est a ovest. Lo scorso 5 agosto infatti per il bando messo a punto dalla commissione paritetica Italia-Libia si sono presentate venti aziende riunite in 12 consorzi: ci sono anche Astaldi, Carlo Toto e Ghella, ma il favorito è il gruppo capeggiato dal plurindagato e sempre presente Impregilo.
Molto bene vanno gli affari per le controllate Ansaldo Sts, Agusta e Selex, che si sono garantite commesse per più di un miliardo di euro tramite la costruzione di nuove reti ferroviarie, elicotteri, sistemi integrati. Ora l’azienda, con la mediazione di La Russa e del sottosegretario Crosetto, sta trattando un nuovo accordo che coinvolgerà il settore Difesa di Finmeccanica, Alenia e Selex comunicazioni in primis. In ballo ci suono nuovi elicotteri, aerei e sistemi satellitari. Nuovi affari potrebbero arrivare anche per le piccole e piccolissime imprese italiane, che potrebbero trovare terra fertile a 200 chilometri a est di Tripoli, dove per loro è pronta una zona franca senza dazi e tasse per cinque anni.
Ma Gheddafi non è disposto a trasformare la sua Libia in una nuova colonia per l’Italia; ha anche richieste da fare, e che richieste: ben cinque miliardi di euro per fermare l’immigrazione africana e impedire, a suo dire, che l’Europa un domani potrebbe non essere più europea e diventare addirittura nera perché in milioni vogliono venire nel “vecchio Continente”. E come risolverebbe lui questo flusso? Rinchiudendo gli immigrati in carceri o magari condannandoli a morte?! D’altronde l’immigrazione africana non parte solo dalla Libia ma da tutti gli Stati nordafricani. Dunque tale cifra non può essere indirizzata, eventualmente, solo allo Stato libico.
Ad una mostra fotografica organizzata sempre nella capitale, Gheddafi si è commosso alla vista di alcune foto della Libia coloniale, affermando che questa è un’altra Italia, che ha saputo liberarsi da sola dal Fascismo. Forse qualcuno dovrebbe dirgli come si svolsero davvero le cose e come stanno adesso nel nostro Paese.
Tra le altre notizie folkloristiche, vanno annoverate l’acquisto di 20 anelli da un vucumprà tunisino e il rilascio di una mancia di 100 euro ad un cameriere di un bar di Roma dove domenica sera ha preso una limonata.
L’amicizia tra Berlusconi e Gheddafi si è concretizzata due anni fa, quando il nostro Governo e quello libico siglarono un trattato di 25 miliardi, per investimenti in un’autostrada costiera che attraverserà tutta la Libia, dall’Egitto alla Tunisia; la costruzione di alloggi; borse di studio per studenti libici e pensioni di invalidità per quei mutilati vittime delle mine anti-uomo poste dall’Italia sul territorio libico durante il periodo coloniale. Il rapporto conflittuale tra Italia e Libia iniziò nel 1911, anno in cui il Governo Giolitti decise di invadere il Paese nordafricano, sottratto così all’Impero ottomano, per la solita mania italiana di volersi creare imperi invadendo Paesi geograficamente piccoli e militarmente di potenza inferiore. Colonizzazione che durò fino al 1951, quando la Libia si dichiarò indipendente, complice anche un’Italia logorata dalla Guerra Mondiale.
Nel 1956 fu siglato un accordo bilaterale, che prevedeva tra i punti più importanti, garanzie per gli italiani stabilitisi lì. Tuttavia, il rapporto tra i due Paesi si inasprì quando al potere arrivò proprio il colonnello Gheddafi, nel 1969, che non riconobbe tale trattato, finendo nell’anno successivo, per confiscare i beni agli italiani prima e ordinare la loro espulsione poi (tant’è che il 7 ottobre divenne la festa nazionale della vendetta verso gli italiani).
Negli anni successivi il rapporto è stato sostanzialmente caratterizzato da alti e bassi, soprattutto perché l’Italia imputa alla Libia il mancato controllo delle coste che provoca quindi lo sbarco di migliaia di clandestini, e di contro, la Libia critica l’Italia per non aver ancora concretizzato il risarcimento per i danni subiti dal colonialismo. Ecco però che il Cavaliere ha pensato di risolvere anche questo problema: ha siglato così quell’accordo di cui sopra. Con la speranza di avere come controparte un maggiore controllo delle proprie coste da parte del Paese libico (per fronteggiare lo sbarco continuo di clandestini a Lampedusa), e di avere relazioni di favore per quanto concerne il petrolio.
Si sono però detti indignati ed increduli gli italiani membri dell’AIRL (Associazione italiani rimpatriati dalla Libia), poiché aspettano da 40 anni un risarcimento per i beni sottratti dallo Stato libico, oltre alla cacciata dallo stesso. Se dovessimo seguire la logica del rimborso per danni compiuti ad altri Stati in passato, allora dovremmo anche risarcire Romania, Slovenia, Grecia, Albania, Etiopia e chi sa chi altri, per le sofferenze fattegli patire tramite le invasioni durante il regime fascista. Infondo, orde di clandestini arrivano anche da altri Paesi africani e quindi investimenti sarebbero graditi anche in quei Paesi, sicuramente molto meno ricchi di quello di Gheddafi. E poi, la Libia ha il dovere di controllare le proprie coste per scongiurare l’arrivo di clandestini, e non devono certo essere pagati per farlo. Oltretutto, non mi pare che lo Stato italiano durante tutto il corso del suo famigerato colonialismo abbia compiuto barbarie in quello Stato, anzi, se non ricordo male, i libici, come del resto gli etiopi (salvo dopo l’arrivo delle leggi razziali anche lì dopo il ’38), hanno anche un buon ricordo dell’Italia, anche per le opere compiute soprattutto durante il Fascismo.
In conclusione, l’Italia stringe accordi economici (tra l’altro in favore di imprese indagate quali Impregilo e Ansaldo) con un dittatore di uno Stato nordafricano avente quasi 6 milioni di abitanti, il quale viola sistematicamente i diritti umani tanto quanto le vituperate (giustamente) Cina, Nord Korea, Iran, Cuba. Un dittatore trattato come un’ospite d’onore, che ha svolto come detto anche lezioni di religione e di vita, tra le critiche non solo delle opposizioni, ma anche di una parte della maggioranza (i fininiani e il Ministro Giorgia Meloni), nonché della Cei mediante le pagine del proprio organo di stampa l’Avvenire. Accordi che prevedono, come visto, anche la fornitura di armamentari ad uno Stato checché se ne dica sotto regime dittatoriale e fondamentalista islamico. Strano, proprio l’Italia che da quasi 9 anni è impegnata in due guerre contro il terrorismo islamico e che ha contribuito alla rapida impiccagione di un altro dittatore molto simile a Gheddafi: Saddam Hussein.
Giusto stringere accordi finanziari e sul tema dell’immigrazione con gli Stati africani, poiché l’Italia, per la sua posizione geografica è un ponte naturale tra Europa e Africa, e pertanto è fondamentale che lo diventi anche dal punto di vista politico e commerciale (come già aveva intuito trent’anni fa il lungimirante Craxi, che di fatto ha scelto quei luoghi per la sua dipartita). Ma di certo non bisogna concentrare gli sforzi con un solo Stato, forse anche il più fondamentalista e meno libero tra quelli nordafricani, visto altresì di cattiv’occhio dagli altri Stati europei e occidentali (non dimentichiamoci che sul caso Ustica ci sono anche sospetti di un possibile mancato attentato proprio a Gheddafi da parte di americani e francesi)
Insomma, abbiamo offerto il fianco per nuove ridicolizzazioni, critiche e scetticismi nei nostri confronti da parte degli altri Stati europei. Come se già non bastasse il declassamento che ci stiamo meritando quotidianamente con la nostra politica economica ed estera.
(Fonti: La Stampa1, La Stampa2, Le voci di dentro)