LEO LONGANESI, GENIO DIMENTICATO

GIORNALISTA, EDITORE, DISEGNATORE, SCENEGGIATORE, UMORISTA E CARICATURISTA, HA DESCRITTO CON DISTACCO E LUNGIMIRANZA LA SOCIETA’ E LA CULTURA ITALIANA DEL ‘900
«L’italiano […] lo conosciamo ben poco; è ateo, pensa soltanto alle donne e ai quattrini, sogna di non lavorare, disprezza qualunque ordine sociale, non ama la natura; sa difendersi soltanto dallo Stato, dal dolore, dalla fame. Siamo animali feroci e casalinghi».
Con queste parole Leo Longanesi descriveva il popolo italiano nel 1947, in una pubblicazione dal titolo: Parliamo dell’elefante. Frammenti di un diario. E’ passato più di mezzo secolo da allora e le cose sono cambiate ben poco. Longanesi è stato un geniale giornalista, editore, disegnatore, umorista e caricaturista, vissuto nella prima metà del secolo scorso, lasciandoci un inestimabile patrimonio culturale che l’Italia ha dimenticato, archiviato nel suo solito imperdonabile oblio. Quasi censurato. Ma forse lo stesso Longanesi se lo aspettava; aveva capito com’era il popolo italiano fin subito la fine del Fascismo, di cui era stato distaccato e disilluso sostenitore, nonché arguto propagandista della prima ora: «C’è chi si crede antifascista solo perché il fascismo non si accorse di lui»; soprattutto tra gli ex fascisti: «Una domanda che non dobbiamo mai rivolgere a nessuno: ‘Ma dove ci siamo già incontrati?’».

Ancora, così parlava del cristianesimo prestato alla politica, che lui aveva intuito essere la futura dittatura post-fascista: «La finzione cattolica si accoppia a quella democratica: il democratico si finge cristiano e il cristiano democratico»; e del cattolicesimo politico: «Il conformismo cattolico è il più pericoloso di tutti, perché pesa nella famiglia, e lega la fede alla viltà, la quiete al timore, la virtù alla finzione, i titoli di rendita ai sacramenti, la villeggiatura alla canonica, la pelliccia di visone alle opere pie». Anche con la Dc mantenne un rapporto distaccato e ambiguo. Ne criticava e ironizzava l’essenza, ma non disdegnò come con il Fascismo una collaborazione come propagandista.
Ripercorriamo la sua biografia e le sue principali opere, delle quali è rimasto ben poco; tanto in forma cartacea quanto digitale. Un patrimonio culturale lapidato.

NASCITA E FORMAZIONE – Leo Longanesi è nato a Bagnacavallo, in provincia di Ravenna, il 30 agosto 1905. Il padre Paolo proveniva da una famiglia di agiati coltivatori e dirigeva una fabbrica di esplosivi; la madre Angela era discendente dei Marangoni, ricchi proprietari terrieri. Nel 1918, quando Leo ha tredici anni, la famiglia si trasferisce a Bologna; città che più di tutte quelle in cui ha vissuto – Napoli, Roma e Milano – ha amato per la verve creativa e la libertà culturale che ad inizio ‘900 ivi si respirava.
Dopo il liceo frequenta la Facoltà di Giurisprudenza, ma non conclude gli studi. Nel contempo avvia le prime collaborazioni giornalistiche. Fonda perfino già alcuni periodici: È permesso…?, Il Toro, Il Dominio, dove rivela le sue doti intellettuali, tecniche e artistiche.
IL RAPPORTO AMBIGUO COL FASCISMO– Con l’arrivo del Fascismo, frequenta i gerarchi emiliani Leandro Arpinati e Dino Grandi; con Italo Balbo stringe una duratura amicizia. Nel 1924 è a Roma, dove scrive con Mino Maccari la commedia Due servi. Nel 1925, a soli vent’anni, ottiene la sua prima direzione, del giornale L’Assalto, organo della federazione fascista di Bologna, ma vi è estromesso l’anno seguente a causa di un articolo contro il senatore Giuseppe Tanari, finanziatore dello squadrismo bolognese.
Dal 1926 collabora alla rivista Il Selvaggio di Mino Maccari e il 14 gennaio fonda un suo giornale, L’Italiano, settimanale di polemica artistico-letteraria, con cui il suo nome si diffonde tra l’Italia colta. Vi collaborano, tra gli altri, Vincenzo Cardarelli, Giovanni Comisso e lo stesso Mino Maccari. Con L’Italiano Longanesi inizia anche la sua attività di editore, pubblicando opere di Riccardo Bacchelli, Curzio Malaparte, Telesio Interlandi (Pane bigio, 1927), Vincenzo Cardarelli e Antonio Baldini (La dolce calamita ovvero La donna di nessuno, 1929); ma soprattutto parteggia per il movimento “Strapaese”, fondato da Mino Maccari, a carattere tradizionalista, antiliberale, antimodernista e antiesterofilo, convinto difensore della genuinità paesana. Il movimento rivale è “Stracittà”, che invece propugna l’inarrestabile progresso verso la civiltà moderna.
L’Italiano nasce in un momento di intenso dibattito circa il rapporto tra arte e fascismo, e si caratterizza per una presa di posizione nettamente contraria all’esistenza di un’arte fascista. Per lui infatti “Uno stile non s’inventa dalla sera alla mattina. Lo stile fascista non deve esistere. Il nostro stile è quello italiano che è sempre esistito”.
Il Vade-mecum del perfetto fascista, che Longanesi pubblica nel 1927 con straordinario successo, è un compendio del suo stile frondista: il famoso motto Mussolini ha sempre ragione, coniato da Longanesi e presente nel Vade-mecum, si presta con voluta ambiguità sia al fanatismo sia alla satira. Questa sottile duplicità permette a Longanesi da un lato di collaborare con la rivista Cinema di Vittorio Mussolini, di partecipare all’organizzazione della Mostra della Rivoluzione Fascista (inaugurata il 28 ottobre 1932, decennale della marcia su Roma), e di curare la propaganda per la Guerra d’Etiopia (1935); dall’altro di satireggiare su «ogni campagna del regime: così per la battaglia del grano [1925], come per la bonifica culturale, per la mitizzazione dell’Antica Roma, come per le mire imperiali della guerra d’Africa».
La fronda per Longanesi è una questione estetica: «I regimi totalitari non consentono la battuta di spirito ma essi hanno il merito, involontario, di suscitarla. Nelle grandi pause liberali, lo spirito, il gusto del comico, l’ironia languono. La satira è tanto più efficace quanto più è rivolta contro regimi intolleranti»; ma è anche una questione antropologica: «Fanfare, bandiere, parate. Uno stupido è uno stupido, due stupidi sono due stupidi, ma diecimila stupidi sono una forza storica»; una questione editoriale: «Il Fascismo non ha tolta la libertà di stampa ma ha introdotto la responsabilità di stampa; e i giornali d’oggi sono monotoni, uguali, zelanti, cortigiani, leccapiatti appunto perché nessuno ha il coraggio d’assumere questa responsabilità, a costo di perdere onori e cariche. Non è dunque la libertà di stampa che fa difetto, ma è la stampa, che per vivere in pace, si taglia la testa e la mette nel sacco dei luoghi comuni»; e una questione politica, perché il fascismo ha deluso le sue aspettative strapaesane: «Gerarchi: la grande attività di chi non ha nulla di serio a cui pensare».
Il 14 maggio 1931, presso il Teatro Comunale di Bologna, si rende protagonista dell’aggressione squadrista al maestro Arturo Toscanini, reo di non aver voluto dirigere prima del concerto Giovinezza. Annullato il concerto, il maestro non dirigerà più in Italia fino alla caduta del fascismo.
LA FONDAZIONE DI OMNIBUS E L’IRONIA SULLA II GUERRA MONDIALE – Nel 1933 Longanesi chiede a Benito Mussolini il permesso di pubblicare un settimanale.
L’autorizzazione gli viene accordata nel 1935, sebbene la censura non risparmi L’Italiano. Due anni dopo nasce Omnibus, settimanale di attualità politica e letteraria che anticipò la grande stagione del rotocalco, che è il fenomeno più peculiare nella storia della nostra stampa. Longanesi così descrive la sua linea editoriale: «E’ l’ora dell’attualità. E’ l’ora delle immagini. Il nostro nuovo Plutarco è l’obiettivo Kodak, che uccide la realtà con un processo ottico e la fissa come lo spillo fissa la farfalla sul cartoncino. Oggetti e persone, fuori del tempo, dello spazio e delle leggi di casualità divengono una visione. La fotografia coglie il mondo in flagrante. Diamo tante immagini accanto a testi ben fatti: ecco un nuovo genere di giornalismo». Edito da Angelo Rizzoli e Arnoldo Mondadori, arricchito dalle firme di Alberto Moravia, Vitaliano Brancati, Ennio Flaiano, Mario Soldati, Mario Pannunzio, Arrigo Benedetti e Alberto Savinio, il periodico ottiene un immediato successo, ma per la spregiudicatezza di Longanesi viene sospeso dalla censura nel 1939.
Tramite Vincenzo Cardarelli diviene amico del pittore Armando Spadini e ne sposa la figlia Maria nel 1939. Dall’unione nascono tre figli: Virginia, Caterina e Paolo.
Nel 1940 l’Italia entra nella seconda guerra mondiale e bastano due anni a Longanesi per capire l’antifona: «Si ha molta fiducia nella nostra incapacità; e dicono «La nostra cara patria, la nostra Italia» con una commozione turistica, familiare e ipocrita che non lascia più speranza». Ma con la sua tipica duplicità, su richiesta di Mussolini, si dedica alla propaganda bellica e conia i famosi slogan: «Taci! Il nemico ti ascolta», «La patria si serve anche facendo la sentinella ad un bidone di benzina», «Una pistola puntata contro l’Italia»
FINE DEL FASCISMO – Dopo l’8 settembre 1943 Longanesi non rimane per molto a Roma. Agli inizi del 1944 si reca a Napoli insieme a Mario Soldati. Nel capoluogo campano occupato dagli americani, Longanesi, insieme a Steno e a Mario Soldati, si dedica alla propaganda antifascista, alla radio, con la rubrica Stella bianca. Ben presto affiora però la sua scontentezza verso il nuovo clima: «Tutti si agitano, si affannano, si intrufolano, in mille modi nei luoghi più impensati. Chi studia l’inglese, chi spinge la moglie nelle anticamere dei comandi, chi passa da un partito all’altro nell’incerto pensiero di non saper chi trionfi; chi raccoglie testimonianze false sulla propria onestà politica per accusare l’antico compagno. Tutti i partiti si rubano di tasca i programmi, e tutti vogliono fondare nuovi partiti».
Annota sul suo diario: «Perdere una guerra è una cosa disastrosa, ma non è un fatto irrimediabile. Sotto certi aspetti, è bene anche perderne qualcuna di guerre, ma è un errore lamentarsene e dimenticarsene. Il vero guaio è che non abbiamo perduto abbastanza: ci sentiamo quasi vincitori».
Cosicché in luglio fa ritorno nella capitale: «Ritorno a Roma. Nulla è cambiato, tutto è intatto. Il fascismo è eterno; quel che accadde ieri si ripete nello stesso modo. Nell’Avanti! di oggi leggo questo brano a firma Leto: ‘Operai sono quelli che hanno il viso più chiaro, le spalle più erette, la camminatura più forte e scandita in questi giorni di convalescenza politica e morale’. Una nuova retorica comincia; bisogna aggiornarsi». Alla fine del 1945 Longanesi si trasferisce a Milano, dove prosegue il resto della sua carriera. Attirato dall’allettante offerta dell’industriale Giovanni Monti, fonda la casa editrice Longanesi & C., il cui bollettino mensile di informazione sulle novità editoriali, Il Libraio, uscito dal 1946 al 1950, si avvale della collaborazione di Giovanni Ansaldo.
Longanesi non è entusiasta della nuova democrazia italiana che ha sostituito il fascismo: «L’Italia è una democrazia in cui un terzo dei cittadini rimpiange la passata dittatura, l’altro attende quella sovietica e l’ultimo è disposto ad adattarsi alla prossima dei democristiani».
Come per il Fascismo, anche con la Democrazia cristiana mantiene un rapporto ambiguo. Da un lato ne critica le fondamenta, la natura e le intenzioni, ma dall’altro vi collabora attivamente. Si occupò infatti della propaganda della Democrazia cristiana per le elezioni politiche del 1948.
LA NASCITA DE IL BORGHESE E LA DISILLUSIONE VERSO IL BOOM ECONOMICO – Nel 1950 Longanesi fonda Il Borghese, periodico satirico-polemico di cultura e costume, soprattutto dell’Italia intellettuale, a cui collaborano Giovanni Ansaldo, Indro Montanelli, Giuseppe Prezzolini, Giovanni Spadolini, Mario Tedeschi, Alberto Savinio, Ennio Flaiano, Colette Rosselli, Irene Brin, Goffredo Parise e Mario Missiroli.
Con Il Borghese e con il movimento politico che gli affianca, la Lega dei Fratelli d’Italia, organizzato in una serie di circoli cittadini, Longanesi continua la sua militanza strapaesana, convinto che il disordinato sviluppo industriale degli anni ’50, il boom economico, la cultura di massa e il consumismo, con le loro ricadute sociali, stiano snaturando l’identità degli italiani, che per lui rimane quella contadina: «La miseria è ancora l’unica forza vitale del Paese e quel poco o molto che ancora regge è soltanto frutto della povertà. Bellezze dei luoghi, patrimoni artistici, antiche parlate, cucina paesana, virtù civiche e specialità artigiane sono custodite soltanto dalla miseria. […] Perché il povero è di antica tradizione e vive in una miseria che ha antiche radici in secolari luoghi, mentre il ricco è di fresca data, improvvisato […] La sua ricchezza è stata facile, di solito nata dall’imbroglio, da facili traffici, sempre o quasi, imitando qualcosa che è nato fuori di qui. Perciò quando l’Italia sarà sopraffatta dalla finta ricchezza che già dilaga, noi ci troveremo a vivere in un paese di cui non conosceremo più né il volto né l’anima».
La politica, che dovrebbe governare la trasformazione dell’Italia da paese agricolo a potenza industriale, gli appare inetta a conservare un equilibrio tra tradizione e modernità: «Chi rompe, non paga e siede al governo»; «Quando suona il campanello della loro coscienza, fingono di non essere in casa»; «Alla manutenzione, l’Italia preferisce l’inaugurazione». Longanesi ha forti riserve sulla stessa democrazia: «Il pericolo delle democrazie è il suffragio universale, cioè le masse. Lasciare libertà alle masse significa perdere libertà». Nel 1955, al teatro Odeon di Milano, interviene sul tema: Che cos’è la destra in Italia.
IL LONGANESI DISEGNATORE E ILLUSTRATORE – Di Longanesi è notevole, anche se frammentaria, la produzione come disegnatore e illustratore, culminata con la partecipazione alla XIX Biennale di Venezia del 1934 e con la sua mostra personale presso la Galleria Barbaroux di Milano nel ’41. Nel 1938 disegna la nuova testata del Popolo di Roma e dal 1941 le copertine della rivista Primato, diretta da Giuseppe Bottai. Nello stesso anno Il Selvaggio raccoglie in un suo numero numerosi suoi disegni. Nel 1955 cura la grafica della campagna pubblicitaria per la Vespa.
IL RAPPORTO CON IL CINEMA – Longanesi vanta anche incursioni nel cinema, collaborando alla sceneggiatura dei film Batticuore (regia di Mario Camerini, 1939), La sposa dei Re (regia di Duilio Coletti, 1939) e Quartieri alti (regia di Mario Soldati, 1945). Nel 1943 inizia a girare come regista le riprese di Dieci minuti di vita in cinque episodi, il cui soggetto ha scritto insieme a Steno e a Ennio Flaiano, ma che è costretto a interrompere a causa dell’occupazione tedesca di Roma.
Longanesi intuisce per il cinema il ruolo che successivamente sarà svolto dalla televisione: «Il cinematografo ha fatto luce su molti misteri e la fantasia plebea ha perduto vigore, sedotta dall’immagine di un benessere facilmente raggiungibile. Il film ha prodotto una rivoluzione più profonda di quella di Lenin: ha ucciso persino gli ideali ribelli del romanticismo operaio».
LA MORTE – Il 27 settembre 1957, nel suo ufficio a Milano, è colto da un infarto cardiaco. Fu lungimirante anche in questo. Il 16 settembre aveva infatti scritto: «È un peccato vivere, quando tanti elogi funebri ci attendono». Prima di perdere conoscenza, ha appena il tempo di mormorare: «Ecco, proprio come avevo sempre sperato: alla svelta, e fra i miei aggeggi». Trasportato in clinica, vi muore poco dopo.
Insomma, Leo Longanesi è stato un intellettuale dalla schiena dritta, con idee e posizioni ben precise e non modificabili a seconda delle convenienze del periodo. Ha criticato il Fascismo, pur contribuendo alla sua produzione culturale; la nascente democrazia; il boom economico. Di ogni fase storica aveva intuito le debolezze e le contraddizioni, alle quali l’uomo qualunque è solo arrivato a posteriori. Un personaggio che nel corso dei decenni nessuno ha avuto in cuore di ricordare e riproporre. Eccetto uno, Indro Montanelli, che invece lo fece subito, avendone già colto la personalità straordinaria. Due giorni dopo la sua morte gli dedicò infatti un articolo commemorativo sul Corriere della Sera, scrivendogli ciò che non riuscì mai a dirgli di persona (per quel pudore che egli stesso gli aveva insegnato). E’ possibile trovarlo qui.


(Fonte: Wikipedia)
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Pubblicato da Vito Andolini

Appassionato di geopolitica e politica nazionale.

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