Il calcio, come sappiamo, ormai è un business. Una macchina che produce soldi senza sosta, senza pietà, senza più sentimenti. Le novità introdotte negli anni hanno sempre più aggirato la purezza di questo sport. L’hanno svilita, perfino umiliata. Si parla di milioni, capitalisti che approdano da terre lontane col solo scopo di fare soldi, calciatori palestrati e tatuati che si muovono come moderni mercenari da una squadra all’altra. Non ci sono più bandiere, non c’è più alcuna considerazione se questo o quel trasferimento possa essere considerato un tradimento da parte dei sempre meno considerati tifosi.
In questo calcio malato e difficile da raddrizzare, dove solo gli oratori e i campetti di periferia ne custodiscono ormai la natura primitiva, c’è però ancora spazio per qualche storia che commuove. Che fa battere il cuore. Storie che non a caso, giungono sovente da Paesi distrutti dalla guerra. Dove la povertà non è un fatto di cui vergognarsi, un problema statistico da affrontare, bensì la regola.
Come il caso di Murtaza Ahmadi, bambino afghano che oggi ha 7 anni, ma che un paio di anni fa commosse il mondo in quanto un video lo ritraeva tirare eccellenti punizioni con addosso una maglia dell’Argentina di Lionel Messi fatta con una busta di plastica tra le macerie del suo villaggio. Situato nella provincia sudorientale di Ghazni. Video che fece il giro del web e arrivò fino agli occhi del suo idolo. Che riuscì ad incontrare pochi mesi dopo in Qatar. Con Messi che gli regalò due maglie inviategli tramite Onu: della nazionale argentina e del Barcellona.
Sembra una favola a lieto fine. Ma non lo è. Quelle magliette hanno provocato a Murtaza nuovi guai.
Nuovi guai per il piccolo fan di Messi, Murtaza Ahmadi
Come riporta l’Ansa, la sua famiglia ha raccontato alla Bbc di aver ricevuto nuove minacce dai talebani e di aver dovuto lasciare il loro villaggio nella provincia sudorientale di Ghazni per fuggire a Kabul.
“Uomini armati sono venuti e ci hanno detto: ‘Siete diventati ricchi, dateci i soldi che vi ha dato Messi o prenderemo tuo figlio”, ha raccontato la madre Shafiqa. Murtaza Ahmadi, oggi sette anni, aveva commosso il mondo e pochi mesi dopo era riuscito a realizzare il suo sogno di incontrare Lionel Messi in Qatar. Il campione argentino tramite l’Unicef gli aveva anche inviato un completo del Barcellona e una sua maglia della nazionale Albiceleste autografata. Nella fretta di fuggire, ha detto la madre, non sono riusciti a prendere nessun oggetto personale, compresa la celebre maglia della Pulce.
La storia ripone sotto i riflettori anche quanto sta succedendo in Afghanistan, paese che gli Usa hanno invaso nel 2001 con la scusa di cacciare i talebani e scovare i terroristi autori dell’11 settembre. Che secondo l’intelligence americana erano nascosti lì. In realtà, i talebani non avevano nulla a che fare con quella strage, visto che fu architettata ed eseguita materialmente proprio da uomini dell’Arabia Saudita. Il principale alleato americano in Medio Oriente.
Ma occorrerebbe aprire un altro capitolo, quello delle guerre assurde. Proprio una settimana fa è morto Bush senior, padre del Bush che decise quella operazione militare. Tale padre, tale figlio. Visto che Bush padre ha compiuto una carneficina in Iraq tra il 1990 e il ‘91, innescando l’odio degli arabi nei confronti degli occidentali ad oggi mai sopito.
Speriamo che il piccolo Murtaza conosca la pace, essendo nato e vissuto nella guerra.