LA SVOLTA ISLAMISTA IN TUNISIA, MAROCCO ED EGITTO
I RISULTATI ELETTORALI IN QUESTI PAESI DECRETA UNA PRIMAVERA ARABA ALL’INSEGNA DELL’INTEGRALISMO ISLAMICO
A poco a poco, la democrazia, o presunta tale, si sta insediando nei Paesi dell’Africa settentrionale per effetto della tanto apprezzata “primavera araba”. I dittatori sono stati spodestati, o come è successo in Marocco, il Re è stato costretto a indire nuove elezioni onde evitare di finire come gli altri Capi di Stato dei Paesi vicini. Solo il tempo ci dirà se i popoli nordafricani hanno migliorato la qualità della propria vita o, di contro, l’hanno peggiorata. Ad oggi due sono le sicure conseguenze: l’emigrazione dei nordafricani verso le nostre coste è aumentata vertiginosamente e a vincere le elezioni sono stati ovunque i partiti a vocazione islamica; i quali si sono comunque presentati come moderati e disposti al dialogo coi Paesi occidentali.
Gli esempi nel passato di integralisti islamici andati al potere dopo la fine di dittature militari o monarchiche, sono già vari: in Iran, Afghanistan e in Iraq ad esempio. Ora, aspettando le elezioni che si terranno in Libia tra qualche mese, vediamo com’è andata in Marocco, Tunisia ed Egitto. Sperando che la loro primavera non si trasformi in un nostro autunno.
IL PRIMO CAMPANELLO DALL’ARME IN TUNISIA – Le elezioni dell’Assemblea costituente tunisina del 23-24 ottobre scorso, dopo 24 anni di dittatura di Ben Ali (aiutato nell’andare al potere dalle ingerenze dell’allora Governo Craxi) hanno visto la vittoria del partito Ennahdha, in parte previsto da molti osservatori, ma di cui si era forse sottostimata la potenziale ampiezza. Il partito islamista tunisino ha certamente raccolto più del 40% dei suffragi, e ad ora, può contare con certezza su 72 dei 217 seggi messi in palio alla Costituente.
Diventato primo partito nazionale e ormai il pivot della politica nazionale tunisina, Ennahdha sarà chiamato alla grande responsabilità di scrivere la costituzione tunisina, assieme agli altri partiti in Assemblea, e a esprimere un nuovo governo in attesa che la costituzione venga approvata. Ha ottenuto il 40% e più di consensi nel paese.
Da parte sua, la leadership tunisina di Ennahdha rifiuta la stigmatizzazione che va sotto la formula del ‘pericolo islamista’. Intisar Ghannouchi, una delle portavoce del partito e figlia di Rachid Ghannouchi, il settantenne fondatore del movimento il cui nome significa ‘Rinascita’, ha caratterizzato il partito islamista come non dissimile da altri fenomeni partitici europei: “Non siamo un partito religioso. … Siamo un partito politico, che agisce in una cornice democratica, non dissimile ai Cristiani Democratici in Europa”.
IN MAROCCO HANNO VINTO GLI ISLAMISTI MODERATI – Il partito Giustizia e Sviluppo (Pjd), da trent’anni all’opposizione, ha vinto le consultazioni del 25 novembre scorso in Marocco, conquistando 107 seggi su 395. Proprio in virtù di un risultato senza maggioranza, il re Mohammed VI dovrà scegliere in seno al Pjd – che nel Parlamento uscente contava 47 deputati – un premier incaricato, che avrà il compiuto di formare un governo di coalizione, anche con un partito laico.
Il leader del partito, Benkirane, ha voluto rassicurare l’Europa e il mondo occidentale sulla natura del suo partito. Che sì, è islamico, ma che ha partecipato a una corsa elettorale democratica. Per Benkirane “La democrazia è democrazia, con l’Islam o senza”. Per il numero uno del Pjd, la “ragione essenziale” della sua vittoria è il malcontento della popolazione per una classe politica che da 30 anni è sempre la stessa. E’ un “voto di rottura”, quindi, come dice l’analista locale Driss Aissaoui, ma non per forza con l’effetto di un'”onda islamica” sulla regione. Chissà.
I LUNGHI SCRUTINI IN EGITTO, MA I RISULTATI SONO SCONTATI– L’Egitto non è “semplice” come la Tunisia e il Marocco, dove in pochi giorni hanno scrutinato tutto e proclamato il vincitore. Qui gli elettori sono più di 50 milioni; e i militari hanno dettato regole elettorali complicate per controllare le cose. Anche in Egitto i Fratelli musulmani e il loro partito, Giustizia e libertà, hanno speso più di metà della loro campagna elettorale a tranquillizzare gli avversari interni e le ambasciate occidentali che contano al Cairo: lo slogan iniziale “Dio è la soluzione” è stato cambiato in “benessere per tutti”. Generico e rassicurante.
Sentendo tuttavia sempre più forte il profumo della vittoria, dopo aver annunciato che non si sarebbero candidati per più del 50% dei seggi, prima sono passati al 60 e poi, senza fare comunicati stampa, si sono messi in gara in ogni collegio. Avevano anche promesso che non avrebbero candidato nessuno dei loro alle presidenziali di giugno: ma da qui a sei mesi molte cose potrebbero cambiare perché alla fine l’Egitto resterà quello che era: una repubblica presidenziale.
Più che altrove, in questo Paese anche i salafiti avranno un consistente successo elettorale. A loro la politica non interessa: ci sono entrati solo per affermare la necessità della sharia e per modificare l’articolo 2 della Costituzione: l’Islam, per loro, non è la fonte principale delle leggi in un Paese in cui i musulmani sono il 94% della popolazione, ma l’unica ammissibile. Stando ai primi spogli, si stanno attestando intorno al 20-25% dei seggi.
Insomma, a noi italiani, più vicini a loro di tutti gli altri Stati europei, non resta che sperare che questi partiti siano davvero così moderati e diplomatici come dicono. Certo è che, almeno per quanto concerne l’Egitto, le rappresaglie nei confronti dei cattolici e la repressione dei militari, non lasciano presagire nulla di buono…