LA LETTERA DEL DIRETTORE DELLA LUISS AL FIGLIO: PAROLE SANTE, DETTE PERO’ DALLA PERSONA MENO OPPORTUNA
Posto di seguito, appannaggio di chi non l’avesse ancora letta, la lettera che Pier Luigi Celli, il direttore generale della L.U.I.S.S. (Libera Università internazionale degli studi sociali) di Roma, fondata da Guido Carli, ha scritto al figlio Mattia che si trova a pochi passi dalla laurea; lo ha fatto tramite il giornale “La Repubblica”, quotidiano che negli ultimi mesi sta diventando una sorta di “posta del cuore” dove ognuno invia una lettera a qualcun altro di vario scopo e contenuto.
Nella lettera Celli esorta il figlio a lasciare l’Italia appena presa la laurea, poiché il nostro è un Paese che non lascia spazio ai talenti e alla selezione basata sul merito, bensì solo a chi è legato ai poteri forti, a prescindere dalla propria competenza.
La lettera sembra essere destinata in realtà a tutti noi laureati e laureandi messi ai margini del mercato del lavoro o delle istituzioni, che viviamo tutti i giorni sulla nostra pelle soprusi, prese in giro ed illusioni. Resta però anche il fatto che, come ad esempio scrive Il Giornale tramite le parole della Santanchè (che certo non stimo, ma in questo caso concordo in pieno con quanto dice), il mittente della lettera non sia proprio adatto a fare certi discorsi, visto che egli stesso ha giovato dei benefici della militanza politica per fare carriera: laureatosi in sociologia a Trento ai tempi di Renato Curcio e della sinistra extraparlamentare più attiva ed infuocata, è stato direttore delle Risorse umane dell’Eni, direttore generale dalla Rai, è stato in Omnitel, Wind, Unicredit, Enel, nei consigli di amministrazione della Lottomatica, Hera, Messaggerie Libri. Fino all’attuale posizione alla direzione generale della Luiss.
Insomma, la lettera dice cose vere e sensate. Ma sarebbe stata più attendibile e legittima se a scriverla fosse stato un padre operaio, disoccupato, laureato escluso dai posti che contano; non uno che è saltato da una poltrona all’altra, col benestare della militanza politica. Uno insomma che ha contribuito come altri a creare l’Italia che ci ritroviamo.
Ecco la lettera:
Figlio mio, stai per finire la tua Università; sei stato bravo. Non ho rimproveri da farti. Finisci in tempo e bene: molto più di quello che tua madre e io ci aspettassimo. È per questo che ti parlo con amarezza, pensando a quello che ora ti aspetta. Questo Paese, il tuo Paese, non è più un posto in cui sia possibile stare con orgoglio.
Puoi solo immaginare la sofferenza con cui ti dico queste cose e la preoccupazione per un futuro che finirà con lo spezzare le dolci consuetudini del nostro vivere uniti, come è avvenuto per tutti questi lunghi anni. Ma non posso, onestamente, nascondere quello che ho lungamente meditato. Ti conosco abbastanza per sapere quanto sia forte il tuo senso di giustizia, la voglia di arrivare ai risultati, il sentimento degli amici da tenere insieme, buoni e meno buoni che siano. E, ancora, l’idea che lo studio duro sia la sola strada per renderti credibile e affidabile nel lavoro che incontrerai.
Ecco, guardati attorno. Quello che puoi vedere è che tutto questo ha sempre meno valore in una Società divisa, rissosa, fortemente individualista, pronta a svendere i minimi valori di solidarietà e di onestà, in cambio di un riconoscimento degli interessi personali, di prebende discutibili; di carriere feroci fatte su meriti inesistenti. A meno che non sia un merito l’affiliazione, politica, di clan, familistica: poco fa la differenza.
Questo è un Paese in cui, se ti va bene, comincerai guadagnando un decimo di un portaborse qualunque; un centesimo di una velina o di un tronista; forse poco più di un millesimo di un grande manager che ha all’attivo disavventure e fallimenti che non pagherà mai. E’ anche un Paese in cui, per viaggiare, devi augurarti che l’Alitalia non si metta in testa di fare l’azienda seria chiedendo ai suoi dipendenti il rispetto dell’orario, perché allora ti potrebbe capitare di vederti annullare ogni volo per giorni interi, passando il tuo tempo in attesa di una informazione (o di una scusa) che non arriverà. E d’altra parte, come potrebbe essere diversamente, se questo è l’unico Paese in cui una compagnia aerea di Stato, tecnicamente fallita per non aver saputo stare sul mercato, è stata privatizzata regalandole il Monopolio, e così costringendo i suoi vertici alla paralisi di fronte a dipendenti che non crederanno mai più di essere a rischio.
Credimi, se ti guardi intorno e se giri un po’, non troverai molte ragioni per rincuorarti. Incapperai nei destini gloriosi di chi, avendo fatto magari il taxista, si vede premiato – per ragioni intuibili – con un Consiglio di Amministrazione, o non sapendo nulla di elettricità, gas ed energie varie, accede imperterrito al vertice di una Multiutility. Non varrà nulla avere la fedina immacolata, se ci sono ragioni sufficienti che lavorano su altri terreni, in grado di spingerti a incarichi delicati, magari critici per i destini industriali del Paese. Questo è un Paese in cui nessuno sembra destinato a pagare per gli errori fatti; figurarsi se si vorrà tirare indietro pensando che non gli tocchi un posto superiore, una volta officiato, per raccomandazione, a qualsiasi incarico. Potrei continuare all’infinito, annoiandoti e deprimendomi.
Per questo, col cuore che soffre più che mai, il mio consiglio è che tu, finiti i tuoi studi, prenda la strada dell’estero. Scegli di andare dove ha ancora un valore la lealtà, il rispetto, il riconoscimento del merito e dei risultati. Probabilmente non sarà tutto oro, questo no. Capiterà anche che, spesso, ti prenderà la nostalgia del tuo Paese e, mi auguro, anche dei tuoi vecchi. E tu cercherai di venirci a patti, per fare quello per cui ti sei preparato per anni.
Dammi retta, questo è un Paese che non ti merita. Avremmo voluto che fosse diverso e abbiamo fallito. Anche noi. Tu hai diritto di vivere diversamente, senza chiederti, ad esempio, se quello che dici o scrivi può disturbare qualcuno di questi mediocri che contano, col rischio di essere messo nel mirino, magari subdolamente, e trovarti emarginato senza capire perché.
“Figlio mio, lascia questo Paese”
Adesso che ti ho detto quanto avrei voluto evitare con tutte le mie forze, io lo so, lo prevedo, quello che vorresti rispondermi. Ti conosco e ti voglio bene anche per questo. Mi dirai che è tutto vero, che le cose stanno proprio così, che anche a te fanno schifo, ma che tu, proprio per questo, non gliela darai vinta. Tutto qui. E non so, credimi, se preoccuparmi di più per questa tua ostinazione, o rallegrarmi per aver trovato il modo di non deludermi, assecondando le mie amarezze.
Preparati comunque a soffrire.
Con affetto,
tuo padre
(Fonti: La Repubblica, Il Giornale)