LA CARNE DI CAVALLO POTREBBE TROVARSI IN TUTTI GLI ALIMENTI
COMPLICI LE DIRETTIVE UE POCO STRINGENTI SUI CONTROLLI
Lo scandalo della carne di cavallo trovata nelle lasagne Findus in Inghilterra e poi anche a Verona, ora riguarda anche le polpette Ikea nella Repubblica ceca, con la multinazionale svedese che ha deciso di ritirarle dal menu in tutt’Europa e anche in Asia e nei Caraibi. La carne di cavallo di per sé non fa male, anzi. Il problema però sono le direttive Ue che non tutelano i consumatori rispetto alle carni lavorate e dunque si rischia di ritrovarsela ovunque senza conoscerne la provenienza.
IL PROBLEMA DELL’ETICHETTA – Quando si stava discutendo il nuovo regolamento Ue sull’etichettatura delle carni, votammo per includere l’obbligo d’origine anche di quelle lavorate» ricorda Paolo De Castro, presidente della commissione Agricoltura del Parlamento europeo. «La proposta non venne adottata dal Consiglio per la forte opposizione dei paesi del nord. Gran Bretagna in testa», là dove l’ultima frode è esplosa.
Ora che lasagne, hamburger e tortellini contenenti carne di cavallo, spacciata per manzo, sono finite nei supermercati e nelle mense di mezza Europa, Italia compresa, la questione delle etichette torna con forza. Il commissario alla Salute Tonio Borg viene sentito in commissione Agricoltura il 21 e il 22 febbraio. Il tentativo è quello di riaprire il dossier trasparenza all’interno della discussione sulla nuova politica agricola comune. Alla fine del 2011 l’Ue ha varato, dopo molte discussioni, nuove norme sulla tracciabilità degli alimenti, estendendo l’indicazione d’origine alle carni fresche di maiale, pollo e agnello, ma solo dalla fine del 2014.
Su quelle bovine esiste già, su quelle di cavallo non è prevista. L’Italia è da sempre esigente sull’argomento e ha introdotto obblighi che non esistono negli altri paesi Ue, come la provenienza del latte fresco, della passata di pomodoro, e dopo l’influenza aviaria la provincia di allevamento del pollame. È stata il motore delle norme europee sulla tracciabilità dell’olio d’oliva. Una recente indagine di Altroconsumo ha ribadito che il 46 per cento degli italiani ritiene l’etichetta una questione di «sicurezza».
A gennaio 2011 il Parlamento provò a spingersi più in là, approvando una legge sulle etichette «parlanti»: avrebbero dovuto segnalare la presenza di ogm, la provenienza degli ingredienti, il luogo dell’ultima trasformazione sostanziale. L’Ue sospese la normativa ritenendola in contrasto con la legislazione comunitaria. Ne è stata varata un’altra ma è «ferma al palo per la mancata approvazione dei decreti amministrativi» rileva Stefano Masini, responsabile consumi della Coldiretti.
IL CONFRONTO CON GLI USA – Negli Usa la carne di cavallo è letteralmente sparita dal mercato di massa dopo la Seconda Guerra Mondiale, quando veniva considerata un sostituto di quella bovina, che scarseggiava. Ancora oggi, però, in alcuni Stati è persino vietato servire nei ristoranti carne equina. E’ il caso della California, dove a decidere per l’eliminazione della carne di cavallo è stato un referendum nel 1998. Lo stesso vale anche in Oklahoma e nel Mississippi, in Texas non si può vendere carne equina, ma la si può macellare, mentre nell’Illinois la si macella, ma solo per venderla all’estero.
Del resto è solo da un paio di anni che il Presidente Obama ha abrogato il divieto di macellazione degli equini, nel 2011, e solo per ragioni prettamente economiche: dal 2006, anno in cui entrò in vigore il divieto a livello federale, si iniziò ad assistere ad una “migrazione” di animali per la macellazione all’estero, dove le norme di sicurezza avevano maglie più larghe. Clamoroso, poi, il caso di Hugue Dufour, chef e co-proprietario della M.Wells Dinette, il prestigioso ristorante del MOMA di New York, che come racconta il New York Times , lo scorso anno fu costretto ad eliminare dal menù la tartare di cavallo. Non appena il piatto comparve nella lista, si scatenarono le polemiche, arrivando anche a petizioni e mobilitazioni di massa per vietare che fosse servita la pietanza a base di quadrupede.
Insomma, lo scandalo della carne di cavallo negli Usa non sarebbe mai accaduta, non fosse altro perchè in America non si mangia carne di cavallo.
LA CARNE DI CAVALLO FA BENE – La carne di cavallo di per sé può far male? Panorama lo ha chiesto ad Andrea Ghiselli, dirigente di ricerca dell’Inran , Istituto Nazionale di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione.”La carne di cavallo tendenzialmente è carne come le altre, il cui pregio fondamentale è quello di avere una quantità di ferro nettamente più alta rispetto alla carne di pollo, pesce o manzo. Infatti ha circa 4 grammi di ferro ogni 100 di carne, più del doppio delle altre carni più comunemente consumate che si attestano intorno all’1 o 2%. Il risvolto della medaglia è che la carne di cavallo è più grassa delle altre. In realtà, spiega Ghiselli, questo dato va preso con il beneficio di inventario. “Siccome il cavallo non è una carne molto consumata, e nonostante l’Italia ne sia tra i principali consumatori, resta pur sempre un prodotto di nicchia, le tabelle di composizione degli alimenti non sono specifiche nel classificare le varie parti della bestia. Mentre cioè distinguiamo il vitello dal vitellone e dal manzo, e il taglio anteriore dal posteriore e dalla costata, per questa carne abbiamo una generica voce ‘cavallo’ che riguarda tutte le parti edibili nel loro insieme”. Considerato così il valore di grasso è intorno al 7%, “ma se prendo il cavallo senza il grasso visibile ottengo una carne con un 1% di grasso”.
A chi è consigliato il consumo e a chi potrebbe invece essere sconsigliato? “Avere un tenore di ferro così alto”, spiega Ghiselli, “fa sì che nei pazienti anemici sia sufficiente consumare meno carne per ottenere lo stesso apporto di ferro. Non è invece sconsigliata a nessuno se non in base alle ipersensibilità individuali. Come ci sono gli allergici alla carne di mucca, possono essercene anche a quella di cavallo, anche se a me non è mai giunta all’orecchio un’allergia di questo tipo”. Il che però non deve stupire perché, “il consumo è tutto sommato poco frequente e di solito si è allergici a quello che si consuma di più”. Quanto all’apporto proteico, è paragonabile a quello delle altre carni: “una ventina di grammi di proteine ogni 100 grammi di carne, come tutti i muscoli. Le proteine della carne di cavallo sono appena meno digeribili di quelle del bovino. Infine per quel che riguarda le vitamine, contiene soprattutto quelle del gruppo B”. Insomma, conclude il nutrizionista, “nella varietà della dieta il consumo di carne di cavallo si inserisce perfettamente”. A patto però di sapere da dove proviene. A fare male è ad esempio la carne dei cavalli anziani utilizzati per le corse, poiché contiene sostanze tossiche legate a quelle dopanti somministrategli durante l’attività agonistica. A fine carriera li si manda tristemente al macello, per sfruttarli fino all’ultimo.