Jovanotti e Fedez, rapper borghesi travestiti da rivoluzionari: le loro incoerenze
Il primo ha partecipato a un Summit con multinazionali e lobbisti, il secondo non disdegna la vita mondana
A differenza di altri settori dove abbiamo fatto scuola in tutto il Mondo, non possiamo dire lo stesso per la Musica. Categoria culturale nella quale, a parte i riconoscimenti per la Canzone classica napoletana e per alcuni tenori, abbiamo soprattutto importato dall’estero; filtrando in salsa italiana, a tratti pure con fare ridicolo e imbarazzante, alcuni generi come il Rock o il Rap. Se il primo ha visto il proliferare, specie negli anni ’60 e ’70, di gruppi che scimmiottavano tramite i costumi e il riadattamento di testi, quelli stranieri in voga in quegli anni, il secondo ha iniziato a prendere piede negli anni ’90. Restando però sempre ai margini per la solita ossessione del mercato italiano per la musica leggera. Ed ecco che i Rapper si adeguano, finendo anch’essi nel sistema. Predicando bene e razzolando male. Pubblicando per multinazionali come Fabri Fibra o Mondo Marcio, facendo i giudici in Talent show come J-Ax e Fedez, o in summit di multinazionali e lobbisti come Jovanotti. Già, anche lui, il ragazzo fortunato che si divertiva negli stadi, che non faceva mai le 3 come Vasco e che una volta cantava che esisteva una sola grande Chiesa, che va da Che Guevara fino a Madre Teresa. Evidentemente non è così grande come dice, visto che ha iniziato a stargli stretta e ne è uscito…
IL SUMMIT SEGRETO DI JOVANOTTI– Jovanotti, all’anagrafe Lorenzo Cherubini, ospite all’Università di Firenze, oltre a parlare bene del Job act, ha raccontato anche di un incontro a cui ha partecipato l’anno scorso: “Mi è successa una cosa l’altr’anno: sono stato invitato a un summit segr… ehm, privato, molto esclusivo ed organizzato da un’azienda molto importante di Internet”.
A questa riunione, prosegue Jovanotti, “erano state invitate le 80 persone più importanti del pianeta per quanto riguarda il futuro”. Quello a cui ha partecipato Jovanotti era un “evento off the records”, a porte chiuse. Ovvero blindatissimo, come sottolinea lo stesso cantante. “La cosa interessante di questo incontro è che c’erano premi Nobel, Ceo, amministratori delegate di case farmaceutiche, tecnologiche, femministe, ma non c’era un politico. C’era il capo della banca mondiale”. Perché non c’erano i politici? “Perché non servono. Le cose non si decidono più a livello politico”. “La politica – prosegue Jovanotti – amministra questa situazione, ma le decisioni non le prende più la politica”.
E fa persino un po’ sorridere quando Jovanotti cita un verso di una sua canzone – “è il tecnocrate di turno quello che ci fotte” – ma non si accorge che, molto probabilmente, l’incontro a cui ha partecipato era proprio un incontro di tecnocrati.
FEDEZ, IL RAPPER MONDANO – L’anomalia di Fedez – nome d’arte di Federico Leonardo Lucia – non è solo musicale. Sono la sua provenienza, il suo modo di comunicare, il suo approccio alla carriera e al successo che vanno letti con chiavi diverse da quelle che siamo abituati ad utilizzare.
Duro e puro, ma anche pieno di contraddizioni. Nelle rime Fedez prende di mira la Milano coca-sushi e modelle, i locali fighetti e poi te lo ritrovi nel privé del Just Cavalli teatro dell’incidente dell’altra sera. Non risparmia critiche taglienti alla televisione italiana ed eccolo giudice di «X Factor».
L’accusa di essere passato dalla parte del nemico non lo lascia indifferente. «Vengo dal mondo dei centri sociali e sono orgoglioso di dire che sono stato in corso Como (la zona dei locali modaioli milanesi ndr) per la prima volta due anni fa. Ed era per lavoro».
«È commerciale» detto di un rapper è come un bollino d’infamia per i fan duri e puri. E nei commenti sotto i video di YouTube le tifoserie si scatenano con insulti. La chiude con una battuta. «Ti odiano non quando ti vendi ma quando ti iniziano a comprare».
Successo visto come tradimento, quindi, ma successo che storicamente è l’obiettivo di qualsiasi rapper. La musica come mezzo di riscatto sociale. E allora ecco diamanti, i macchinoni, l’esagerazione che a partire dalla old school americana diventano un modo per dire ce l’ho fatta, per certificare l’uscita dal ghetto. Anzi, c’è chi se la tira prima ancora di essere arrivato.
Forse questo dovrebbe valere meno per chi arriva dai centri sociali dove il sistema è qualcosa da sgretolare più che da scalare. «All’inizio l’imborghesimento mi ha spaventato», ha detto il rapper. «Poi ho capito che devo prendere l’arte per l’arte e il lavoro per il lavoro. Devi portare il tuo mondo dentro un contesto senza svilire la tua dignità». E così la contraddizione, almeno a parole, è risolta.
Però siamo a un passo dall’incoerenza. Anche qui Fedez ha trovato il modo di uscirne. Rivendicandola come qualità del vero artista. Con addirittura la benedizione di Francesco De Gregori, il Principe del cantautorato, che per il suo concerto gli ha regalato una testimonianza video sul tema.
Fedez usa anche Caravaggio come scudo. «Chi più incoerente di uno che prendeva soldi dalla Chiesa e usava delle prostitute come modello per dipingere la Madonna?», dice. «L’apoteosi di quel che si suole definire “sputare nel piatto in cui si mangia”. Ogni grande artista è incoerente, ogni grande artista prima o poi sputa nel piatto in cui mangia». Chissà fino a quando i fan saranno disposti a seguirlo in questa incoerenza. Sebbene le nuove generazioni siano cresciute con falsi miti incoerenti. Sono, per dirla alla Vasco, senza più santi né eroi. E c’è chi è sempre pronto ad approfittarne…
(Fonti: Il Giornale, Corriere della sera)