JOSE’ MUJICA TERMINA IL MANDATO: L’URUGUAY PERDE IL SUO RIVOLUZIONARIO CONCRETO

VINCE COMUNQUE IL SUO SUCCESSORE, IL MODERATO Tabarè Vazquez. NEI SUOI ANNI DI PRESIDENZA IL PAESE HA beneficiato di UNA NOTEVOLE CRESCITA ECONOMICA ED EMANCIPAZIONE NEI DIRITTI CIVILI
Uruguay, Paese da sempre anomalo rispetto al contesto nel quale ricade: l’America latina. Uno Stato all’avanguardia sui diritti civili (si pensi che qui il divorzio è stato riconosciuto nel 1913), dalla buona condizione socioeconomica e dove anche le dittature hanno fatto fatica ad attecchire. Ritenuto, non a caso, il più europeo dei Paesi sudamericani. Il 2013 è stato infatti eletto Paese dell’anno. Ma ora perde il suo grande protagonista, il Presidente Josè Mujica, definito il Don Chisciotte nei panni di Sancho Panza, per i suoi principi da un lato e per il suo aspetto fisico dall’altro. Un Presidente che non ha perso la sua umiltà e che ha portato il Paese ha una crescita economica rilevante. Gli succede Tabarè Vazquez, sempre del Frente amplio, ma più moderato e meno radicale.

LA RIVOLUZIONE SENZA ARMI DI MUJICA–   José ‘Pepe’ Mujica, presidente molto amato e famoso all’estero per il suo stile di vita austero, e per aver legalizzato la marijuana, l’aborto e i matrimoni gay. se ne va anche una di quelle rare figure di cui oggi più che mai ha un disperato bisogno la politica, che ovunque va mostrando di marcire nella disgrazia della corruzione e nel maluso del proprio potere. Perché il presidente dell’Uruguay, davanti agli occhi piuttosto sconcertati del mondo, ha fatto della gestione della sua alta carica un modello (irripetibile?) di austerità, di stile parco di vita, di indifferenza alle lusinghe dei privilegi, e però anche di legittimazione del pragmatismo pur nel modello ideologico di un socialismo segnato dalle venature illusorie dell’utopia. 
Mujica – che della guerriglia urbana dei Tupamaros era stato davvero comandante e s’era fatto 15 anni di carcere duro nelle galere della dittatura militare, prima d’essere liberato con l’amnistia del ritorno alla democrazia in Uruguay – passò stabile alla vita politica, e divenne deputato, senatore, ministro e, cinque anni fa, anche capo dello Stato, facendosi interprete straordinario e protagonista principale di quel passaggio utopistico dalla lotta armata alla leadership governativa, come d’una rivoluzione che trionfa legittimando se stessa nel confronto delle idee e dei programmi elettorali. 
Ma la sua straordinarietà non sta tanto in questo successo ottenuto «sin armas», altri ci sono riusciti ugualmente, dal Brasile di Lula e della Dilma Rousseff al Venezuela di Teodor Petkoff, dal Messico dei suoi rivoluzionari fattisi uomini di governo all’Argentina degli ex Montoneros, e poi al Salvador, al Nicaragua dei sandinisti della prima ora, al Guatemala – è l’intera storia del subcontinente ad aver vissuto fin dagli anni di Bolívar questo confronto tra lotta armata e democrazia. 
Mujica è però una storia a parte perché in questa sua seconda vita («l’isolamento in prigione, senza poter parlare con nessuno per anni, senza un libro da leggere, è come morire») ha praticato una scelta che ha trasformato gli ideali della sua vita rivoluzionaria in un mandato di potere dove quegli ideali astratti si facevano concretezza di comportamenti quotidiani scarnificati di ogni contaminazione con la logica propria del potere.
Se il suo governo ha introdotto misure di forte contenuto sociale e di netto miglioramento delle condizioni di vita (l’indice di povertà è calato dal 39 al 14 per cento), tutto questo era coerente con l’identità della formazione di sinistra, il Frente Amplio, che lo ha fatto eleggere, e con le ragioni di una coalizione di ben 27 partiti che comunque gli imponeva gli equilibrismi e i compromessi necessari della gestione politica; è stato invece davvero rivoluzionaria la gestione della sua vita quotidiana, con la residenza conservata nella sua modesta abitazione di periferia, il rifiuto delle prebende della sua alta carica, la rinuncia del 90 per cento del suo onorario (destinato a programmi sociali), la cancellazione di ogni formalismo, la rinuncia assoluta della cravatta, e sempre la sua vecchia auto dell’87. Più socialisti che castrista.
UNA CRESCITA PERO’ AMBIGUA – L’Uruguay ha un sistema economico ben sviluppato. La qualità della vita è relativamente alta e sicuramente superiore rispetto alla media dell’America Meridionale. Il PIL nominale pro capite nel 2012 è di 14.767 dollari (nominale), ma questo reddito discreto è distribuito non molto equamente. Dopo anni di crescita alla fine degli anni novanta la crescita del PIL è entrata in recessione: all’inizio la decrescita è stata contenuta, ma nel 2003 è esplosa con un -10,5%. Nel 2004 l’economia ha incominciato a riprendersi, dapprima lentamente, poi in modo sempre più rapido, tanto da recuperare il terreno perso: nel 2005 il PIL è cresciuto del 10,2% e nel 2006 del 7%, facendo apparire la crisi del tutto superata. Anche altri dati economici sono migliorati: l’inflazione, che nel 2003 era vicina al 20%, è caduta al 6,5% del 2007. Il nuovo governo del Fronte Ampio, sebbene si sia impegnato a continuare a pagare il debito estero, ha anche promesso di intraprendere un Piano di Emergenza per combattere i diffusi problemi di povertà e disoccupazione.
Ma non mancano ombre che destano preoccupazione: la disoccupazione, benché anch’essa in netta diminuzione, è ancora pesante e si attesta al 10,8%. La povertà è in aumento: colpisce il 27% degli abitanti, nel 2007, mentre nel 1999 appena il 6%. La situazione economica uruguaiana è molto strana: da una parte la crescita economica è rapida e sia l’inflazione che la disoccupazione diminuiscono fortemente, eppure dall’altra una percentuale sempre più consistente di cittadini vive sotto la soglia di povertà. La stranezza di questo dato è testimoniata anche dall’Indice di Sviluppo Umano, misuratore della qualità della vita, che ha subito un notevole incremento negli ultimi anni. Nonostante l’economia sia fondamentalmente in mano a privati, lo Stato ancora oggi ricopre un ruolo importante. Inoltre, secondo Transparency International l’Uruguay è il paese meno corrotto del Sud America dopo il Cile. L’Indice Gini, che misura le disuguaglianze all’interno degli Stati del mondo, in Uruguay è di 44,8: nell’indice, 100 indica assoluta disuguaglianza, e 0 una perfetta uguaglianza tra ricchi e poveri. Pesano in questo senso le differenze tra uomini e donne: nel 2002 il reddito di una donna è pari al 71,8% di quello di un uomo per la stessa attività svolta.
L’economia si basa in buona parte ancora sull’agricoltura: il settore primario occupa il 9,3% della forza lavoro, che col tempo si sta spostando sempre più verso i settori secondario e terziario. Le maggiori colture sono quelle dei cereali, in particolare frumento, riso, il mais, l’orzo e il sorgo. Le altre coltivazioni sono quelle di patate, vite, agrumi e in generale frutta. Di rilievo le colture industriali, che alimentano appunto l’apparato industriale e le esportazioni: le principali sono quelle dell’olio: lino, girasole, arachidi e soia. Altre produzioni di questo tipo sono quelle di canna, barbabietole da zucchero e tabacco; per quanto riguarda lo zucchero, il paese è autosufficiente. Modestissimo il patrimonio forestale, che copre poco più del 3% del territorio nazionale e fornisce circa 3,2 milioni di m³ di legname.
Prati e pascoli rappresentano all’incirca i tre quarti del territorio dell’Uruguay, il cui allevamento conta su un patrimonio zootecnico abbondante: l’allevamento ovino e quello bovino sono i più sviluppati; quello ovino assicura una buona produzione di lana. L’allevamento è spesso gestito da grandi aziende, dette estancias, che dominano questo comparto produttivo. Notevoli sono i progressi recenti della pesca.
Sono calati molto i consumi di petrolio grazie al crescente sfruttamento del potenziale idroelettrico nazionale. Le risorse minerarie sono nel complesso varie ma modeste per quantità, e risultano secondarie per lo sviluppo economico. Le principali sono: quarzo, rame, graniti e talco, oro, ferro, gemme, marmo, zinco, piombo, manganese.
Il settore industriale, quasi completamente concentrato a Montevideo, impiega il 16% della popolazione attiva; la produzione industriale è cresciuta del 12,6% nel 2006. Gli stabilimenti lavorano i prodotti agricoli e ittici, ma è abbastanza consistente la presenza di industrie chimiche e tessili; è attiva la raffinazione di petrolio.
Il 70% degli occupati lavora nei servizi, tuttavia il terziario è poco dinamico, benché cresca il numero dei suoi addetti. Però è vivace il turismo, che è in aumento. Gli arrivi, proveniente soprattutto dall’Argentina, assicurano un buon afflusso di valuta estera e l’attività turistica è in discreta espansione. La capitale Montevideo chiama un numero notevole di visitatori. Notevoli sono stati gli sforzi per incentrare il terziario verso le tecnologie informatiche, tanto che l’Uruguay è diventato in America Latina il primo esportatore di software.
IL SUCCESSORE TABARE’ VAZQUEZ– Come detto Tabaré Vazquez, oncologo di 74 anni, è il nuovo presidente dell’Uruguay, il terzo premier consecutivo del Frente Amplio, la coalizione di sinistra al governo a Montevideo dal 2005, dopo aver battuto con il 53,6 per cento lo sfidante del Partito Nazionale (o “blanco”) Luis Lacalle Pou, il giovane astro nascente della destra, con un vantaggio di oltre 10 punti nel ballottaggio disputato domenica.
Questa vittoria rappresenta inoltre un notevole risultato per il Paese sudamericano e un notevole successo personale per questo oncologo che non ha mai smesso di esercitare la sua professione anche durante il primo mandato, che è stato il primo presidente della storia dell’Uruguay non proveniente dai cosiddetti “partiti tradizionali”, il “blanco” e il Partito Colorado (“rosso”). Smentendo le previsioni dei sondaggi, Vazquez – accompagnato nel ticket presidenziale da Raul Sendic, il figlio omonimo del fondatore dei Tupamaros negli anni ’60 – ha inoltre garantito al Frente Amplio la sua terza maggioranza consecutiva nelle due camere del Parlamento, un altro record storico, nelle elezioni politiche svoltesi contemporaneamente al primo turno delle presidenziali, lo scorso 26 ottobre.
La vittoria di Vazquez consolida così l’appoggio popolare al Frente Amplio, che ha associato politiche di solidarietà e riforme di stampo progressiste con una politica economica rigorosa e ortodossa, mantenendo le distanze sia dal cosiddetto asse bolivariano -Venezuela, Bolivia, Ecuador e Nicaragua – che dal Brasile di Lula e Dilma e l’Argentina dei Kirchner. Tuttavia Vazquez arriva a questo secondo mandato in circostanze molto diverse dal primo. Nel 2005 l’Uruguay stava uscendo dalla peggiore crisi economica della sua storia, mentre oggi, dopo 10 anni di boom economico, non ci sono nubi all’orizzonte che minacciano questo stato di cose dall’esterno. Le principali sfide saranno sul fronte interno, visto che la società uruguayana è molto divisa. Ecco perché ha già annunciato che convocherà un grande incontro anche con gli altri partiti, per disegnare l’Uruguay del futuro, dove le vere priorità sono rappresentate dal sistema educativo e la sicurezza, su cui il neo-presidente ha annunciato investimenti e riforme.
Ma i problemi principali Tabaré Vazquez ce li avrà probabilmente all’interno del suo partito, il Frente Amplio, che ha la maggioranza in entrambe le camere, e che potrebbe, in parte, mostrare un atteggiamento critico o ostilità in quanto il cambio politico con Mujica sarà comunque visibile. Vazquez, che rappresenta l’anima ‘centrista’ del Frente, si è pubblicamente opposto a molte delle riforme di Mujica, come la legalizzazione dell’aborto e la produzione e distribuzione della marijuana ‘di Stato’.
Acerrimo nemico del tabacco, fiero di aver fatto dell’Uruguay la prima “nazione libera dal fumo” in America Latina, Vazquez ha ammesso che considera “incredibile” che la cannabis possa essere venduta nelle farmacie del Paese l’anno prossimo, e ha avvertito che è pronto a bloccare la riforma se i risultati non saranno quelli previsti dal governo. Inoltre, il Senato, dove ci saranno Mujica e i leader dell’opposizione, diventerà la ‘cucina’ del Parlamento, la vera Camera di negoziazione. Mujica sarà quindi l’ago della bilancia, anche se ha già fatto sapere, che ricoprirà il ruolo di senatore solo per metà legislatura, lasciando il resto del tempo lo scranno al suo supplente, l’ex presidente dell’Instituto de Colonización, Andrés Berterreche.

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Pubblicato da Vito Andolini

Appassionato di geopolitica e politica nazionale.

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