Jan Palach, il giovane che si diede fuoco per la libertà

Jan Palach, il giovane che si diede fuoco per la libertà

Nel corso del Sessantotto, mentre i giovani occidentali incendiavano il mondo per salvare se stessi, ad Est alcuni giovani incendiavano se stessi per salvare il mondo. Ieri, 19 gennaio, è ricorso il tragico anniversario della morte di Jan Palach. Giovane cecoslovacco che decise di darsi fuoco per protestare contro la repressione russa. Che volle così reprimere nel sangue la cosiddetta Primavera di Praga.

E si possono fare altre analogie, tutte ad Est questa volta. Tra l’eroismo di Jan Palach, che non trovò altro modo per combattere la Russia se non quello di scuotere i suoi coetanei connazionali e non con un clamoroso gesto. E chi combatte l’invasione russa andando in Tv e in tante manifestazioni in video collegamento, foraggiato da americani ed europei. Ogni riferimento a Zelensky è puramente voluto. Passeggiando anche sorridente con Bruno Vespa per le vie di Kiev.

Ovviamente parliamo di simboli e leadership. Perché i soldati ucraini stanno combattendo e morendo, mentre il popolo patisce fame e freddo.

Ma torniamo a Jan Palach e scopriamo meglio chi è.

Jan Palach chi è

Come riporta Wikipedia, Jan Palach nacque l’11 agosto 1948 a Praga, allora capitale della Cecoslovacchia (oggi, come noto, divisa in due, Repubblica Ceca e Slovacchia). Secondogenito del pasticciere Josef Palach e di Libuše Palachová. Entrambi membri del Partito Socialista Cecoslovacco e del Sokol.

Sin da bambino, Jan dimostrò uno spiccato interesse per la storia, trasmessogli dal padre. In particolare, per importanti patrioti suoi connazionali come Jan Hus e Jan Žižka.

Un duro colpo per la famiglia fu la morte di suo padre Josef Palach, avvenuta improvvisamente all’inizio del 1962, al quale egli era molto affezionato. Cambiò più volte facoltà, iscrivendosi definitivamente alla facoltà di Storia, in linea con la sua passione. Eseguì anche dei lavoretti, tra cui anche una esperienza in Francia come aiutante alla vendemmia, nel villaggio di Santanay, in provincia di Digion.

Fu molto indignato dalla repressione nel sangue dell’Unione sovietica dei tentativi di rivolta cechi. Invocando anche l’occupazione studentesca. Non ottenendo risposta, decise di passare all’azione con un gesto clamoroso.

Il 16 gennaio si recò a Praga e nel pomeriggio si recò nella centralissima Piazza San Venceslao e verso le ore 14:25 si fermò ai piedi della scalinata del Museo Nazionale, dove depose il suo cappotto e la borsa, contenente la sua lettera e alcuni altri oggetti.

Aprì con un coltello una bottiglietta di etere e si cosparse il corpo di benzina appiccandosi poi il fuoco. Tentò di raggiungere la statua di San Venceslao al centro della piazza ma fu quasi urtato da un tram e deviò in direzione del negozio di alimentari Dům potravin.

Fu soccorso da fu Jaroslav Špírek, un tranviere, che spense le fiamme con un cappotto, aiutato poi anche da altre persone. Il ragazzo chiese ai presenti di leggere la sua lettera, temendo che le autorità l’avrebbero fatta sparire se ne avessero avuto l’occasione. Inoltre, ci teneva a ribadire che non fosse un suicida ma un manifestante contro il regime.

Fu portato in ospedale ma il suo corpo era ustionato per l’85%. Ad ucciderlo, in particolare, fu un’incipiente polmonite. Come però specificò in radio un amico con cui parlò prima che morisse, Lubomír Holeček, lui non chiese più ai suoi coetanei di emularlo dandosi fuoco. Come scritto nella lettera. Bensì di lottare da vivi. In effetti, veniva descritto come “torcia numero 1“, segno che altri dovessero proseguire nello stesso gesto.

Jan Palach, simbolo di lotta per la libertà

Ai medici Palach disse d’aver preso a modello i monaci buddhisti del Vietnam, tra i quali il caso di Thích Quảng Đức (11 giugno 1963). Il suo gesto fu emulato quell’anno da un impiegato cecoslovacco, Ryszard Siwiec, e da un dissidente ucraino, Vasyl Makuch.

Per evitare che diventasse un pericoloso simbolo, i sovietici volevano portare il corpo di Jan Palach. Ma i familiari riuscirono a far cremare le sue spoglie mortali, che solo nel 1974 furono sepolte nel cimitero di Všetaty con le sole iniziali J.P.

Restò lì fino al 25 ottobre 1990 quando, ormai caduto il muro di Berlino, si svolse la solenne cerimonia di trasferimento delle ceneri al cimitero di Olšany a Praga. In quegli anni, tra l’altro, era vietato anche parlare di lui, ovviamente per volere del regime.

Tuttavia, lo scultore Olbram Zoubek riuscì ad accedere all’obitorio dove si trovava il corpo del ragazzo e a prendere un calco da cui realizzò la sua maschera mortuaria. Una copia in bronzo si trova oggi sulla targa commemorativa davanti all’edificio dell’università che Palach aveva frequentato. Mentre un’altra copia si trova sulla lapide soprastante la tomba di Jan Palach.

Il gesto di Jan Palach è stato emulato in altre parti del mondo, e di recente anche nella stessa Repubblica Ceca. Diversi casi si registrarono nel 2003, per protesta contro le condizioni di vita nel paese. Addirittura paragonati a quelli dell’epoca comunista.

Sebbene si parli anche di Effetto Werther, cioè quando le notizie ricorrenti di suicidi, genera una catena di suicidi emulativi.

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