In Iran divampa la protesta, ma questa volta il regime rischia davvero

In Iran divampa la protesta, ma questa volta il regime rischia davvero

Mentre nel vecchio continente si rischia una guerra nucleare, anche in Medio Oriente ci sono delle novità molto importanti. In Iran, infatti, da circa una settimana il popolo è in rivolta.

La scintilla che ha infiammato la protesta è stata notizia l’uccisione da parte della polizia di Mahsa Amini, una ragazza del Kurdistan iraniano fermata dalle autorità (una sorta di Buon costume armata) a causa di come portava il velo, che ricordiamo essere obbligatorio per legge nella Repubblica islamica. Morta alcuni giorni dopo per le percosse ricevute.

La protesta iniziata a Teheran sta divampando in tutto il paese, anche nelle altre grandi città e nelle zone periferiche. Ma questa volta le caratteristiche sono diverse e inducono a credere che il potere politico e religioso in carica dal 1979 rischi grosso.

Le proteste in Iran

Sintetizziamo un articolo de Il Fatto quotidiano, che ben dipinge la situazione. In Iran negli ultimi anni si sono spesso verificate manifestazioni veementi a livello nazionale, anche con molotov. I motivi sono diversi: dal rincaro del pane, all’approvvigionamento idrico fino al sostegno dei governi verso questioni straniere delle zone adiacenti. Per una saldatura delle istanze delle diverse fasce della popolazione, che non si vedevano dalla rivoluzione del 1979.

Ciò che sta cambiando è che ora le varie istanze sociali sembrano rinsaldate tra loro, per una protesta comune contro un regime più militare che religioso. Più attento alla conservazione del potere che alla difesa dei dettami islamici. E così anche le frange più conservatrici del paese, colpite dalle sanzioni, iniziano a sentire una certa insofferenza. Inoltre, sentono gli obblighi religiosi come fuorvianti ed esagerati.

Lo stesso triste caso di cronaca ha un senso simbolico diverso. Quando qualche anno fa a morire fu Sahar Khodayari, uccisasi dandosi fuoco dopo essere stata informata dalle autorità di una probabile condanna a sei mesi di detenzione per essere entrata “clandestinamente” in uno stadio, la morte di Mahsa Amini per mano diretta della polizia ha aperto il campo ad una indignazione generale e rabbiosa. Proprio perché la prima si era suicidata, la seconda è stata uccisa dalle autorità.

Ma è anche un fatto di origini sociali: Amini veniva dal Kurdistan iraniano ed apparteneva ad una famiglia umile, molto diversa da quella di Sahar Khodayari, proveniente dalla benestante area nord di Teheran.

La questione del velo ora non viene più vista come “un capriccio culturale” da parte di donne progressiste, benestanti, provenienti soprattutto dal centro della capitale. Ora invece sta coinvolgendo anche le donne umili, quelle della periferia e delle zone rurali. E’ un po’ la differenza che c’è stata da noi in Italia tra le manifestazioni del ’68, portate avanti soprattutto dai giovani studenti borghesi. E quelle degli anni 2000, organizzate da giovani provenienti da famiglie modeste a cui è stato tolto il futuro.

Insomma, questa volta il regime rischia grosso per due ragioni:

  1. l’idea diffusa che ormai la Repubblica islamica sia tutto fuorché il regime “degli oppressi
  2. l’idea che questo regime non solo non faccia gli interessi della propria società ma che sia inaffidabile a tal punto da essere concretamente e fisicamente pericoloso

Cosa potrebbe succedere in Iran?

Occorrerà ora capire cosa intende fare il regime, che ricordiamo governa l’Iran dal 1979. Da quando cioè Ruhollah Khomeyni (1902-1989), Grande ayatollah (Āyatollāh al-ʿUẓma), divenne capo spirituale e politico del suo Paese come Guida suprema dell’Iran dal 1979 al 1989. Il suo governo, che scalzò gli Scià di Persia dal paese, fu ispirato alla religione islamica secondo un’ottica sciita duodecimana, e fu impostato in ossequio a uno stretto approccio fondamentalista.

Il paese in questi oltre 40 anni ha alternato fasi di timide aperture e decise chiusure, in base a chi governava. Durante gli anni 10 del 2000 aveva avviato una decisa apertura verso l’Occidente, anche grazie al governo del moderato Rohani: si ricorderanno gli accordi commerciali con diversi paesi europei, tra cui l’Italia, o l’accordo per il disarmo nucleare con l’America di Obama. Tuttavia, l’attuale governo sembra essere tornato indietro e questa volta forse per l’ultima.

L’Iran è a un bivio: la repressione potrebbe essere ulteriore, ripristinando il potere che però potrebbe così apparire ulteriormente ostile e violento, al punto da generare nuova insofferenza, soprattutto nelle nuove generazioni nate dopo il Duemila.

Oppure, potrebbe dare delle concessioni, ma ciò potrebbe apparire come un segno di debolezza e indurre a credere i manifestanti che sia arrivato il momento di rovesciare il regime.

La Russia è anche spettatore attento a quanto sta accadendo, visto che i due paesi si sono molto avvicinati negli ultimi anni, soprattutto in chiave anti-occidentale.

Una soluzione per il regime di Teheran potrebbe essere quella di indire nuove elezioni, che potrebbero riportare al paese un governo più moderato, almeno per dare una parvenza di cambiamento e di apertura.

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