
Qualora la Corte desse ragione ai familiari, Eluana potrebbe così morire a “fuoco lento”, perché l’Eutanasia attiva in Italia non esiste. E sarebbe già un passo in avanti. Anche se il Vaticano ha già storto il naso.
La Giustizia ha proprio il compito di sollecitare da parte del potere esecutivo l’approvazione di determinate leggi sociali moderne ed evolute. Così già è stato nel caso di Pier Giorgio Welby e Giovanni Nuvoli. E speriamo lo sia anche nel caso di Eluana. Perché la politica italiana, a prevalenza bigotta, conservatrice e moralista (poi nella vita privata molti politici lasciano a desiderare), non muove passi in questo senso.
Io proporrei di far firmare un documento rilasciato da un ospedale autorizzato dal Ministero della salute (magari uno per ogni Comune a partire dai 100 mila abitanti), all’età di 25 anni (non a partire dai 18 perché non si è ancora maturi e coscienti pienamente del problema), nel quale si dichiara che, in caso di sopraggiunta e comprovata irreversibilità di uno stato comativo o di uno stato vegetativo che non permette la capacità di intendere e di volere, si è o non si è d’accordo nell’essere sottoposti ad EUTANASIA ATTIVA.
Se sfortunatamente, il paziente cade in quello stato prima dei 25 anni, allora per lui deciderà il consenso unanime dei genitori naturali, o di uno dei due se l’altro è venuto a mancare. Oppure quelli adottivi. O se proprio non ne ha, allora ci vuole il consenso unanime dei fratelli e sorelle, in assenza di questi, dei nonni in vita (sia materni che paterni); dello zio più anziano, almeno che un altro (paterno o materno) non si opponga.
Nel caso in cui la persona non ha nemmeno zii in vita, allora sarà il primario dell’ospedale, che doveva rilasciare il documento, a prendere la decisione definitiva.
Bisogna farsì che chi come Eluana vive in un limbo da 15 anni, conteso tra la vita terrena e quella celestiale, possa trovare una delle due strade. E se la scienza non è in grado di riportare alla vita, permettiamole almeno di portare alla giusta morte.