La protesta di piazza Tienanmen – una serie di dimostrazioni di massa che ebbero luogo principalmente in piazza Tienanmen a Pechino dal 15 aprile al 4 giugno 1989 – sebbene non ebbe risvolti politici particolari, viene ritenuta comunque fondamentale da molti storici in quanto infervorarono ancor di più gli animi dei manifestanti europei. Dando nuovo slancio alle rivolte contro i regimi dell’ex Unione sovietica e degli altri Stati del Blocco orientale (stati-satelliti). Culminati poi con il graduale crollo dei vari regimi durati un biennio.
Orbene, a Hong Kong, a cinque anni dalla cosiddetta rivoluzione degli ombrelli, martedì 12 giugno scorso, nel giorno in cui sarebbe dovuta approdare in aula la controversa legge sull’estradizione, i manifestanti hanno occupato le strade della città attorno al Parlamento. Ottenendo un rinvio, a data da destinarsi, sull’inizio dell’esame per la nuova proposta.
Si tratta della manifestazione tra le più violente e partecipate degli ultimi vent’anni. Più precisamente, da quando nel 1997 l’isola, dopo 156 anni come colonia dell’Impero britannico, venne restituita alla Cina.
Vediamo meglio perché a Hong Kong ci sono le proteste e cosa rischiano l’Italia e gli [sta_anchor id=”hong”]italiani[/sta_anchor].
Hong Kong perché protesta
A spiegarlo molto bene a Open è Renzo Cavalieri, professore di Diritto dell’Asia Orientale all’università Ca’ Foscari di Venezia ed ex segretario della camera di commercio italo-cinese.
«Hong Kong deve evitare di diventare un luogo in cui i criminali dell’Asia orientale possano avere un asilo sicuro. È questa la motivazione ufficiale portata da Pechino»
«C’è sicuramente una versione, che è quella istituzionale, dietro a questa legge, una scelta che nasce da un recente fatto di cronaca che ha visto la mancata estradizione di un assassino di Hong Kong che aveva commesso un reato a Taiwan»
continua Cavalieri.
«Dall’altra parte c’è l’impressione che stia crescendo la pressione del governo centrale di Pechino per evitare che Hong Kong diventi un luogo in cui possano esserci dei soggetti che sono invisi al potere centrale».
Così come in altri Paesi liberali, anche a Hong Kong esiste una normativa che permette l’estradizione solo verso Nazioni in cui sia garantito un giusto processo:
«La Cina certamente è un Paese in cui il giudiziario opera in un modo completamente diverso da quello di un paese liberal democratico, non c’è separazione dei poteri, non c’è separazione tra potere giudiziario e politico quindi tendenzialmente è difficile che un potere giudiziario operi in condizione di indipendenza e autonomia”.
Una legge, dunque, che potrebbe trasformarsi in uno strumento politico nelle mani di Pechino per estradare avversari politici:
«La legislazione cinese prevede delle pene molto gravi anche per reati che riteniamo di opinione, come la circolazione di informazioni riservate di Stato. Il rischio di estradizione riguarderebbe anche i cittadini stranieri che si trovano ad Hong Kong e che verrebbero processati in Cina»
chiarisce Cavalieri.
A Hong Kong Lucido lavora per un’azienda italiana:
«Tutte le persone sono schedate in Cina ed è proprio quello che gli hongkonghesi vogliono evitare, vogliono evitare che si rafforzi il controllo di Pechino».
«Con questo genere di interventi – chiarisce Cavalieri – Hong Kong rischia di minare la sua credibilità come luogo trasparente, dove vige un’amministrazione pulita e efficiente di derivazione britannica».
Per Cavalieri a essere in pericolo è l’anima di attrazione commerciale di Hong Kong:
«Il suo successo come hub finanziario, la borsa, rischiano di essere messi un po’ in crisi da queste norme che preoccupano l’opinione pubblica come si è visto, ma anche gli investitori internazionali che in Hong Kong vedono un pezzo di Cina in cui ci sono garanzie legali, a differenza di quanto avviene a Pechino».
Quindi, ricapitolando, la Cina vuole rendere più facile l’estradizione da Hong Kong.
«Uno dei grandi temi di questa nuova legge sull’estradizione è che i giudici hanno pochissimo da dire – sottolinea Cavalieri – il processo di estradizione verso la Cina prevede che sia il chief executive stesso il governatore di Hong Kong a decidere».
«Gli hongkonghesi vogliono cercare di conservare la ricchezza e il benessere, anche la qualità della vita, proprio attraverso un giudiziario forte, una legislazione liberale. E la nuova proposta di legge li ha toccati su un tema a loro molto caro»
conclude Cavalieri. Il quale ammette che ormai il paese si stia sempre più rendendo a immagine e somiglianza della Cina, perdendo la propria identità.
Hong Kong, cos’è rivoluzione degli ombrelli
Nel settembre 2014 migliaia di ombrelli riempirono le strade della città di Hong Kong in quella che fu rinominata come «la rivoluzione degli ombrelli».
Un movimento nato dal basso con l’intento di chiedere più democrazie e partecipazione. Una protesta che durò mesi e che chiedeva il rispetto degli accordi stipulati nel 1997 con il passaggio della sovranità dalla Gran Bretagna alla Cina. «Come con la protesta degli ombrelli credo che anche questa volta i manifestanti torneranno presto a casa», dichiara Cavalieri.
«Non ho l’impressione che questa sia una cosa così grossa da incidere in maniera forte e permanente sulla situazione politica di Hong Kong. Il segnale dato dalle proteste è comunque un segnale forte»
prosegue Cavalieri.
Proteste a Hong Kong, quali rischi per italiani
L’Italia non ha un legame economico diretto col Paese asiatico. Quindi i rischi principali per il nostro Paese sono legati soprattutto a quanti connazionali ivi lavorano o hanno avviato attività. Su tutte aziende o ristoranti.
Secondo quanto riportato da un articolo seppur un po’ datato de Il Fatto quotidiano (del 2013), a Hong Kong vive la comunità italiana più grande di tutta la Cina. Sono 2.700 i connazionali residenti, aumentati del 60% negli ultimi 4 anni. E tutto lascia presagire che siano pure aumentati in questi anni, alla luce di come sono andate le cose nel nostro Paese in questi anni e di come sia cresciuto il paese asiatico.
“A partire dalla seconda metà del ventesimo secolo, gli italiani pionieri hanno preparato la strada alla crescita dell’export di cibo, vino, moda, creatività e tutto quello che contraddistingue positivamente l’immagine italiana nel mondo”
riassumeva l’allora Console Generale d’Italia a Hong Kong e Macao, Alessandra Schiavo. Attualmente ambasciatrice nel Myanmar, avendo lasciato il paese nel 2015.
Per far conoscere questa comunità il Consolato ha pubblicato un libro, 500 years of Italians in Hong Kong & Macau (a cura di Alessandra Schiavo, Gianni Criveller e Angelo Paratico), distribuito per la prima volta in questi giorni e in cui, insieme ai volti e alle storie di decine di residenti attuali, si racconta come gli italiani abbiano influenzato la storia della Cina, soprattutto della Cina meridionale, sin dal sedicesimo secolo.
A partire da Raffaele Perestrello, ammiraglio piacentino che nel 1514 fu il primo europeo a raggiungere la Cina navigando (Marco Polo vi giunse via terra, Odorico di Pordenone con un viaggio combinato tra mare e terra). Passando per Giuseppe Garibaldi che nel 1852, inseguito, si spinse in cerca di rifugio temporaneo presso la comunita’ italiana di Hong Kong sotto il falso nome di Giuseppe Pane.
Nel 1594, Alessandro Valignano da Chieti fondò a Macao la prima università di tutta l’Asia Orientale. Sempre a Macao, italiano fu l’architetto che disegnò la facciata della cattedrale di San Paolo, ancora oggi simbolo della città: il gesuita genovese Carlo Spinola, tra il 1600 e il 1602, si ispirò alla Chiesa del Gesù in Roma.
Italiano fu addirittura l’inventore della prima macchina industriale per fare i cinesissimi instant noodles, gli spaghetti di riso: Giovanni Romaniello da Avigliana (un paese vicino Torino), cercò di capire come fare per trasformare la farina che veniva donata ai poveri in qualcosa di ugualmente nutriente ma che soffrisse meno l’umidità e il deterioramento.
Proprio nel 2013, Emergency ha aperto una sede a Hong Kong.
Hong Kong si lascia prediligere per la sua apertura massima verso gli stranieri, un regime fiscale molto più agevole, una burocrazia molto più snella, grande spirito imprenditoriale, capacità ad adattarsi ai tempi che cambiano. Tutte doti che però rischia di perdere se la pressione della Cina si fa sempre più opprimente.
Non va poi trascurato il fatto che la Borsa di Hong Kong, insieme alla Borsa di Shanghai e alla Borsa di Shenzhen, è una delle tre borse valori della Cina continentale. Inaugurata nel 1891, è la terza piazza finanziaria asiatica per capitalizzazione dietro alla Borsa di Tokyo e a quella di Shanghai.
Quindi va da sé che la destabilizzazione politica comporta anche pesanti conseguenze per la Borsa. E quindi per i trader italiani.
Alessandra Schiavo è attualmente Ambasciatore in Birmania. Ha lasciato Hong Kong nel 2015.
Grazie per l’informazione