Un gruppo di ricerca osserva eccitazioni con spin associabile all’elusivo gravitone in un sottile strato di arseniuro di gallio
A partire dagli inizi del secolo scorso, con la brillante teorizzazione della relatività generale da parte di Einstein, la gravità è sempre stata un “cliente scomodo” da classificare: a differenza delle altre forze conosciute, infatti, essa è definita come qualcosa di intrinseco al tessuto stesso del nostro Universo, rappresentando la curvatura dello spaziotempo.
Eppure i fisici hanno proseguito testardamente per decenni nella ricerca di una particella in grado di “trasportare” la gravità, così come ad esempio il fotone fa per l’elettromagnetismo, in modo da poterla trattare in qualche modo alla stregua delle altre forze fondamentali.
Chiamata poco fantasiosamente gravitone, questa teorica particella si è dimostrata finora elusiva…perlomeno nel mondo in tre dimensioni (o più correttamente quattro, considerando quella temporale) in cui viviamo.
Ma in ambito bidimensionale un gruppo di ricercatori diretto dal fisico Jiehui Liang dell’Università di Nanjing (Cina) ha da poco scoperto qualcosa che sembra comportarsi in maniera molto simile all’anelato gravitone.
Setup dell’esperimento, in memoria di Pinczuk
La nostra storia inizia oltre trent’anni fa e precisamente nel 1993, quando il fisico Aron Pinczuk della Columbia University e colleghi pubblicarono un importante studio che poneva le basi per la scoperta attuale.
Purtroppo Pinczuk non ha potuto raccogliere i frutti del suo lavoro, essendo venuto a mancare nel 2022, ma viene ricordato con affetto dai collaboratori (alcuni decennali) per la sua gentilezza e intraprendenza e il suo nome ovviamente compare anche tra gli autori del recente studio.
In esso i ricercatori si sono concentrati sugli elettroni all’interno di un sottile strato di arseniuro di gallio, un noto semiconduttore, cioè un composto con una capacità di condurre elettricità a metà strada tra quella di un conduttore come il rame e un isolante come il vetro.
Liang e colleghi hanno piazzato l’arseniuro in un potente frigorifero, l’hanno esposto a un forte campo magnetico e si sono quindi affidati alla meccanica quantistica: in quelle condizioni, infatti, gli elettroni interagiscono in maniera molto forte tra di loro, dando vita a un liquido impossibile da comprimere.
Uno spin da gravitone nell’arseniuro di gallio
Tutti gli elettroni in esso presenti si muovono in maniera collettiva (tecnicamente, si comportano come una quasiparticella nel cosiddetto effetto Hall quantistico frazionario), il che può dare origine a eccitazioni (cioè, un aumento di energia quantizzato) simili a quelle a cui va incontro un singolo elettrone quando passa da un orbitale all’altro in un atomo (ne ho accennato qui).
Per esaminare tali eccitazioni, i ricercatori hanno quindi colpito il semiconduttore con un laser precisamente calibrato, per poi analizzare la luce che veniva dispersa in seguito alla collisione.
E qui arriviamo al punto chiave: è risultato, infatti, che tali eccitazioni hanno un tipo di spin (una proprietà quantistica assimilabile, per semplicità, alla rotazione) che dovrebbe esistere sono nei gravitoni, almeno stando alle teorie attuali.
Liang e colleghi avevano già previsto che una cosa del genere potesse verificarsi nell’arseniuro di gallio, ma ci sono voluti anni per rendere l’esperimento sufficientemente preciso e sensibile per riuscire a rilevarla.
Limiti dimensionali per un traguardo di valore
Ora, prima di lasciarsi prendere da facili entusiasmi, è il caso di mettere subito le mani avanti: l’esperimento non ha davvero trovato il fantomatico gravitone nello spaziotempo reale in cui viviamo.
Come detto sopra, infatti, gli elettroni analizzati dal gruppo erano confinati in uno spazio piatto, bidimensionale e si muovevano a velocità più bassa rispetto a quelle previste per oggetti governati dalla teoria della relatività.
Inoltre, come fa ad esempio notare il fisico e astronomo Zlatko Papic dell’Università di Leeds, pur essendo la scoperta sufficientemente equivalente a quella di un vero gravitone, non basta per poter sperimentare ogni singolo fenomeno quantistico, soprattutto su scala cosmica.
Ciò nonostante, si tratta di un importante passo avanti nel tentativo di unificare la relatività generale con la meccanica quantistica (notoriamente “in disaccordo”: vedi, ad esempio, qui), oltre a collegare rami diversi della fisica, come quella dei materiali e la relatività, e a suggerire nuove idee riguardo stati esotici degli elettroni.
(Originariamente pubblicato su Storie Semplici. Il titolo dell’autore potrebbe essere modificato dalla redazione)