Il Grana Padano, si sa, è una eccellenza del Made in Italy. Il formaggio Dop più consumato al mondo e una delle maggiori eccellenze italiane.
Tanto che, secondo le cifre del Consorzio Tutela Grana Padano, nel 2020 sono state prodotte oltre 5 milioni di forme, di cui il 41% esportato all’estero. La sola Europa assorbe quasi l’84% della domanda, con la Germania in testa, seguita da Francia, Benelux e Spagna. Fuori dall’Ue, ma sempre nel vecchio continente, si posizionano bene Regno Unito e Svizzera.
A livello internazionale, invece, la principale domanda è concentrata negli Usa.
Purtroppo però, per produrre Grana Padano, a quanto pare, vengono perpetrati i procedimenti tipici degli allevamenti intensivi per la produzione di latte. Diretta conseguenza dell’esigenza di rispondere ad una crescente domanda su larga scala.
Ecco quali sono i maltrattamenti sugli animali per produrre Grana Padano.
Maltrattamenti sugli animali per produrre Grana Padano
A denunciare il caso è l’Organizzazione No profit Essere animali. Sul proprio sito ufficiale, queste alcune delle pratiche scorrette che vengono perpetrate per produrre Grana Padano:.
Ecco alcuni passaggi principali:
Al momento della nascita i vitelli sono separati dalla madre e rinchiusi in recinti individuali. Vengono caricati senza alcuna cura su una carriola e immobilizzati in una posizione innaturale, con una zampa accavallata attorno al collo. La separazione serve ad agevolare le operazioni di mungitura quotidiana di migliaia di mucche, il cui latte viene così interamente destinato al mercato, o come in questo caso alla produzione di Grana Padano
Ci sono prove del fatto che i vitelli separati alla nascita dalle madri riportano danni comportamentali e di sviluppo, mentre quelli allevati in gruppo ne traggono beneficio, sia in termini di socialità che di benessere
I vitelli vengono allevati in box larghi quanto il loro corpo e, in mancanza di gabbie libere, alcuni sono stabulati in coppia: questo vuol dire ancora meno spazio a loro disposizione. Sono centinaia le gabbie con i vitelli posizionate a fianco del capannone dove vivono le madri con le quali non avranno mai più un contatto diretto. Alcuni box sono in condizioni igieniche critiche, molti vitelli si ammalano e hanno episodi di diarrea. A causa della pressione infettiva presente negli allevamenti intensivi, gli antibiotici vengono usati di frequente
Non c’è nulla di naturale nell’alimentazione di questi animali, vengono nutriti principalmente con una miscela latte in polvere e acqua, surrogati del latte materno
Durante l’alimentazione un operatore colpisce i vitelli ripetutamente con calci e schiaffi. Inoltre fornisce agli animali un numero limitato di secchi, impedendo loro di alimentarsi contemporaneamente e istigando rivalità tra gli animali
In un’altra sequenza di immagini un operatore afferma di effettuare la bruciatura dell’abbozzo corneale su vitelli di 2-3 mesi di vita. Questo è in palese violazione della normativa che vieta l’operazione perché procura forte dolore
I vitelli maschi vengono invece insultati perché non utili alla filiera.
Sul sito è anche possibile firmare una petizione e/o effettuare una donazione.
Maltrattamenti sugli animali per produrre latte: un problema di sistema
Il caso singolo, purtroppo, non è isolato. Come riporta la stessa Onlus su Il fatto quotidiano. Le pratiche crudeli sono ormai la norma.
La denuncia rientra nella campagna No Animal Left Behind coordinata da Eurogroup For Animals, un’organizzazione che raccoglie 79 Ong. L’associazione punta a fare pressioni sulla Commissione europea, affinché promulghi leggi più severe per evitare questi scempi.