IL FILM MENO NELLO STILE DEI DARDENNE: DUE GIORNI, UNA NOTTE – Con questa pellicola affrontano la guerra tra poveri della società contemporanea, con un’azienda produttrice di pannelli fotovoltaici belga messa alle strette dalla concorrenza coreana, costretta così a ridurre il personale trovando come capo espiatorio una donna con problemi di depressione. Ma lei, guarita, non ci sta a perdere il proprio posto di lavoro e cerca di convincere i suoi colleghi a votare per il suo reintegro, rinunciando a un bonus alternativo di mille euro. Perchè i capi cinici li hanno messi dinanzi a una ghiotta alternativa.
Tra scivolamenti nel banale e nel scontato, momenti toccanti ma nessun colpo di scena, il film scorre comunque bene, anche grazie alla bravura di Marion Cotillard (visibilmente dimagrita per la parte). Anche gli archetipi dei colleghi che cerca di convincere scivolano nello scontato. Immigrati che si sentono gli occhi addosso, figli irrispettosi, mariti violenti, cinici, famiglie monoreddito, doppilavoristi, falsi. C’è un pò la crema della società contemporanea.
Il finale poi evidenzia come i Dardenne abbiano perso la spontaneità e l’originalità degli inizi. Se le avessero mantenute, il film si sarebbe fermato al momento del voto. Oppure, in coerenza con le ultime pellicole, si sarebbe fermato dopo il suo esito. E invece si spinge fino alla fine, in un Happy ending alternativo, non banale ma comunque ruffiano. Del Dogma originario resta solo l’inquadratura mobile e quale angolatura particolare qua e là. La commercializzazione ha infettato anche loro. Comunque, guardare un loro film resta ancora cosa interessante.
Dopo aver visto il precedente Due giorni, una notte, ho temuto che i fratelli Dardenne si fosser anch’essi adeguati al cinema moderno. Soprattutto per l’Happy ending smielato non consono ai loro canoni. Invece, la presente pellicola mi riporta per fortuna indietro ai vecchi film dei registi belgi. Un mix, come dice anche la recensione ufficiale di Mymovies, tra La promesse (per l’ingiustizia nei confronti degli immigrati non considerati umani neanche da morti) e Il ragazzo con la bicicletta (per la generosità e la caparbietà di una protagonista femminile).
Jenny Davin è una giovane dottoressa scrupolosa, ma al contempo rigida con le regole. Al punto che al pronto soccorso non apre a una bussata perchè già passata più di un’ora dalla chiusura. Litigando anche con lo stagista che invece avrebbe voluto aprire perchè poteva trattarsi di una emergenza. Jenny verrà a scoprire che la citofonata era di una donna che scappava dal proprio aggressore per cercare riparo. E che avrebbe potuto salvarle la vita. Così, presa dal rimorso, cercherà di investigare sulle cause della sua morte. Trovando nella cittadina in cui opera tanta omertà e ostilità.
La storia è comunque lodevole e conferma l’inclinazione verso l’impegno sociale dei Dardenne. Ma il film manca di idee nuove e, soprattutto, di mordente e coinvolgimento. Che anche i fratelli belgi abbiano esaurito le loro idee? Speriamo di no. Abbiamo ancora bisogno del loro cinema “alternativo”.