Il 30 aprile, Giuseppina Ghersi, fu giustiziata con un colpo di pistola alla nuca e il suo corpo gettato, insieme ad altri, davanti al cimitero di Zinola. Motivo di tanta barbarie? Un [sta_anchor id=”ghersi”]tema[/sta_anchor].
Il sequestro di Giuseppina Ghersi per un semplice tema applaudito da Mussolini
A riportare la sua storia un Blog omonimo a lei dedicato su Blogspot. Giuseppina Ghersi è nata nel 1931. Era una studentessa di 13 anni dell’istituto magistrale “Maria Giuseppa Rossello” del quartiere “La Villetta” di Savona. Una bambina accorta e diligente, figlia di commercianti ortofrutticoli e abitava in via Tallone, attualmente via Donizetti. Dall’esposto del padre, Giovanni Ghersi, presentato al Procuratore della Repubblica di Savona in data 29 aprile 1949, di cui è possibile chiedere copia all’Archivio di Stato di Savona, e che consta di sei cartelle minuziosamente vergate a mano, leggiamo che: “Il 25 aprile ‘45, alle 5 pomeridiane” i partigiani, appena entrati a Savona, chiedono ai Ghersi del “materiale di medicazione” che la famiglia non esita a “fornire volentieri”. Il giorno successivo, come di consueto, i coniugi si dirigono verso il loro banco di frutta e verdura, ma in zona San Michele, poco dopo le 6.00 del mattino, sono fermati da due partigiani armati di mitra.
Vengono portati al Campo di Concentramento di Legino , situato nella zona dell’odierno complesso delle Scuole Medie Guidobono, dove un terzo partigiano sequestra loro le chiavi dell’appartamento e del magazzino. Dopo circa mezz’ora viene deportata al Campo anche la cognata e i partigiani, senza testimoni, possono finalmente procedere rubando le merci dal negozio e tutti i beni della famiglia presenti in casa. Solo Giuseppina manca all’appello perché ospitata da alcuni amici di famiglia in Via Paolo Boselli 6/8.
I Ghersi, ormai detenuti da due giorni senza lo straccio di un’accusa, chiedono spiegazioni ai partigiani che rispondono rassicurandoli. Viene loro detto che si tratta di un semplice controllo e che hanno bisogno di fare delle domande alla figlioletta. Siccome Giuseppina aveva precedentemente vinto un concorso a tema ricevendo, via lettera, i complimenti da parte del Segretario Particolare del Duce in persona, trattandosi di una bonaria quisquilia, i genitori si persuadono circa le intenzioni dei partigiani e, accompagnati da uomini armati, vanno a prendere la piccola. L’intera famiglia Ghersi viene dunque tradotta nuovamente al Campo di Concentramento dove inizia il primo giorno di follia.
L’incubo vissuto da Giuseppina Ghersi
E’ il pomeriggio del 27 Aprile 1945: madre e figlia vengono malmenate e stuprate mentre il padre, bloccato da cinque uomini, è costretto ad assistere al macabro spettacolo percosso dal calcio di un fucile su schiena e testa. Per tutta la durata della scena gli aguzzini chiedono al padre di rivelare dove avesse nascosto altro denaro e oggetti preziosi.
Giuseppina cade probabilmente in stato comatoso perché, come riferisce l’esposto al Procuratore, “non aveva più la forza di chiamare suo papà”. Verso sera inizia a piovere e le belve, stanche di soddisfare i propri istinti, conducono Giovanni e Laura Ghersi presso il Comando Partigiano di Via Niella dove viene chiaramente detto che a loro carico non è emerso nulla. Nonostante ciò i partigiani li rinchiudono nel carcere Sant’Agostino.
Giuseppina subisce da sola un lungo calvario di sofferenze finché, il 30 Aprile 1945, viene finita con un colpo di pistola per poi essere gettata davanti alle mura del Cimitero di Zinola su un cumulo di cadaveri. Il corpo viene disteso dal personale del luogo nella fila dei riconoscimenti dove per diversi giorni. Qui viene notato dal Sig. Stelvio Murialdo per alcuni agghiaccianti particolari. Riportiamo, testualmente, dalla memoria del Sig. Stelvio Murialdo:
“E proprio il primo era un cadavere di donna molto giovane; erano terribili le condizioni in cui l’ avevano ridotta, evidentemente avevano infierito in maniera brutale su di lei, senza riuscire a cancellare la sua giovane eta’. Una mano pietosa aveva steso su di lei una SUDICIA COPERTA GRIGIA che parzialmente la ricopriva dal collo alle ginocchia. La guerra ci aveva costretto a vedere tanti cadaveri e in verità, la morte concede ai morti una distesa serenità; ma lei , quella sconosciuta ragazza NO!!! L’ orrore era rimasto impresso sul suo viso, una maschera di sangue, con un occhio bluastro, tumefatto e l’ altro spalancato sull’ inferno. Ricordo che non riuscivo, come paralizzato, a staccarmi da quella povera disarticolata marionetta, con un braccio irrigidito verso l’ alto,come a proteggere la fronte, mentre un dito spezzato era piegato verso il dorso della mano.”
Il calvario della famiglia Ghersi
La Sig.ra Ghersi viene rilasciata dopo 12 giorni di detenzione ed è costretta a recarsi presso al sede Comunista del quartiere Fornaci per domandare le chiavi della propria casa. Queste le vengono restituite solo il giorno successivo quando, accompagnata da un caporione del PCI, può riappropriarsi parzialmente dell’appartamento: il funzionario politico provvede infatti a sigillare tutte le camere eccetto una stanzetta e la cucina. E’ quasi estate e il marito viene liberato dal carcere l’11 giugno senza mai essere stato interrogato per tutta la durata della detenzione. In questa circostanza apprende la notizia della morte di sua figlia e, nonostante il tremendo peso che aggrava il suo cuore, ritrova dentro casa la moglie prossima alla follia.
Il Sig. Ghersi si rivolge alla Questura dove, per via delle ruberie, gli viene corrisposto un acconto di 150.000 Lire mentre un agente si offre d’aiutarlo nella rimozione dei sigilli apposti ai locali della propria casa. L’uomo, dovendo provvedere a moglie e cognata, viene assunto “per compassione” presso il consorzio ortofrutticolo dove riesce a percepire il minimo necessario per sopravvivere.
Sembra quasi che le cose tendano verso una certa normalizzazione, quando la notte dell’11 Luglio, a un mese esatto dalla scarcerazione di Giovanni, si iniziano ad avvertire alcuni rumori che svegliano di sobbalzo la famiglia. Un gruppo non identificato di persone cerca di forzare la porta di casa Ghersi che, fortunatamente, non cede. Giovanni e Laura non riescono più a sostenere l’onere delle violenze subite e fuggono da Savona affrontando una vita di stenti e povertà incontrando in ogni dove il sospetto dei funzionari politici del Pci. Situazione del tutto simile a quella dei profughi istriani che, giunti in Italia, si trovano costretti a fuggire in altri paesi per via della pressione esercitata sul Governo, da parte del Partito Comunista Italiano.
“Abbiamo dovuto scappare – si legge nell’esposto del Sig Giovanni – all’alba come ladri, da casa nostra, dalla nostra città , senza mezzi e senza lavoro, vivendo per anni in povertà e miseria, pur sapendo che gli assassini della mia bambina di appena 13 anni, vivevano nel lusso impuniti, onorati e riveriti, con i nostri soldi e di tutti quelli che erano morti o che erano dovuti scappare”.
Negli anni ’50 il Sig. Stelvio Murialdo insieme ad altri amici decide di fissare un incontro periodico per cercare di dar voce alle storie negate dalla vulgata resistenziale. Nasce il primo gruppo dell’Associazione Ragazzi del Manfrei.
Sono anni difficili attraversati da un filo rosso di omicidi come testimonia, ad esempio, il delitto del Commissario Salemi messo a tacere dalla misteriosa “Pistola Silenziosa”. L’unico ambiente che accoglie queste testimonianze è quello del Movimento Sociale Italiano col conseguente isolamento che ne consegue. I familiari delle vittime così come i testimoni oculari sono tacciati di essere dei nostalgici del Fascismo e né i giornali né gli autori di storia locale concedono cittadinanza a simili storie.
Giuseppina Ghersi uccisa una seconda volta
Ma la povera Giuseppina è stata uccisa una seconda volta: dal silenzio delle istituzioni. Passano i decenni finché, a livello nazionale, sembra aprirsi qualche spiraglio di speranza: il 2005 è l’anno del primo giorno del ricordo per i martiri delle Foibe e, timidamente, nel 2008 alcuni iniziano a chiedere alla locale sede de La Stampa di Savona la possibilità di parlare finalmente di Giuseppina Ghersi. Il Consigliere di Circoscrizione Vito Cafueri chiede, senza successo, che la piccola ottenga una targa in sua memoria nel quartiere Fornaci.
Che Guevara, chi era e cosa ha fatto il medico argentino
Il Comune di Savona in tutti questi anni ha sempre rinnegato la possibilità che la sua memoria non venga persa. Su internet sorgono gruppi spontanei in sostegno alla memoria di Giuseppina Ghersi. Perfino Wikipedia nega ripetutamente la possibilità di redigere una pagina a memoria dei fatti. Mentre l’Anpi – associazione nazionale partigiani italiani – alla richiesta di collaborazione avanzata dai Ragazzi del Manfrei, risponde col silenzio.
Nel mio piccolo spero di dare un piccolo contributo, seppur con grande ritardo, affinché la memoria di Giuseppina non si perda del tutto nel tempo. E’ assurdo che in Italia si conosca la storia di Anne Frank – anche, purtroppo, per moda – e poi non si conoscano uguali atrocità perpetuate ai nostri concittadini in quegli anni bui. Facciamo sì che a Giuseppina Ghersi sia almeno intitolata una targa nella scuola dove ha perso la propria innocenza e infine la propria vita.
o fatto ulteriori ricerche sulla foto.
è stata oggetto di discussione sul 3d, Milano Sparita, qui il link al 3d, il problema è scorrere qualche migliaio di pagine
https://www.skyscrapercity.com/threads/milano-sparita.1232367/
E, secondo i follower è effettivamente Milano.
Rimane il fatto che è stata uccisa una bambina di 13 anni
e che non si possa delegittimare il fatto solo perché è stata utilizzata la foto sbagliata.
Comunque è tipico della sinistra, qualunque tentativo di denuncia delle malefatte perpetrate ai danni della popolazione e commesse dai partigiani,
è vista solo come un rigurgito fascista!!
e Puente …crede di essere dio
Buon lavoro
Adami
Buon giorno
ho letto il suo articolo sul suo blog e non solo, c’è chi sposta l’attenzione dal misfatto..
https://www.davidpuente.it/blog/2017/09/19/la-foto-di-giuseppina-ghersi-e-di-giuseppina-ghersi/
https://thevision.com/attualita/giuseppina-ghersi-violentata-giornalismo/
e poi c’è la foto
le anticipo subito che l’archivio getty images non è vangelo
spesso hanno catalogato immagini con didascalie errate
quello fatto a questa bambina e alla sua famiglia a ha un nome solo cattiveria e avidita . persone marcie dentro vili ,zombi senza cuore.
Questo è lo schifo della politica : la verità va sempre nascosta per la ragion di Stato…
Queste molte altre storie di conflitti civili, dimostrano che il bene non è solo di sinistra e che il male non è solo di destra….
Buonasera, credo che lei sappia che la storia la scrivono sempre i vincitori ed é già un miracolo che alcune vicende dell’immediato dopoguerra siano state portate alla luce da Giampaolo Pansa, nonostante le sue idee politiche. Trovo anch’io che sarebbe giusto onorare il ricordo della povera ragazzina intitolandole una strada: potrebbe servire da monito per le generazioni successive. Cordiali saluti.
gran bel articolo su una barbara storia che non conoscevo, e fare il giornalista in fondo è anche questo, mettere in luce fatti sepolti.
Grazie 🙂
Una storia agghiacciante. Ma quella nella foto è lei?
i comunisti fecero 170.000 morti italiani ,
solo un terzo eranio fascisti, le donne uccise furono prima tutte violentate e picchiate.
VIVA TOGLIATTI. GRAMSCI non sarebbe stato contento.
Atroce storia che mostra, purtroppo, che alcuni partigiani erano ladri e violenti!!
Se hai voglia e non lo hai già letto, leggi la “banalità del male”. Le persone comuni possono riservare delle sorprese. Quei partigiani erano persone che probabilmente avevano famiglia, e facevano un lavoro normale.
Appunto. E ciò rende il tutto ancora più atroce e sadico
Non la dovevi raccontare questa storia… Starò male tutto il giorno.
veramente una storia toccante vergognoso che combattenti possono comportarsi in questo modo contro una fanciulla queste storie dovrebbero essere effettivamente raccolte e pubblicate tutte insieme a memoria delle persone che innocenti hanno perso la vita .Contro ogni forma di violenza contro tutte le guerre