Introduzione
La guerra in Ucraina, per noi italiani, sta assumendo tinte tragicomiche. Ci stiamo inimicando la Russia, malgrado i tanti interessi in gioco che provocheranno ingenti danni economici.
Il Governo Draghi ha avuto l’ordine dall’alto di staccare il cordone ombelicale con i russi, ma, come accadrebbe ad un bambino nel grembo della madre, a morire sarebbe lui. E c’è chi, come il sottosegretario Mulé, usa anche parole come “Ogni goccia di sudore in più versata questa estate sarà una goccia di sangue in meno risparmiata al popolo ucraino“, riferendosi al sacrificio di dover impostare i condizionatori con qualche grado in più per risparmiare energia. Parole che si commentano da sole.
Intanto, nella caccia disperata ai nuovi fornitori di gas che dovranno sostituire la Russia, stiamo firmando accordi con paesi ben più peggiori. Detto dell’Algeria, ecco gli altri esempi.
Gas, dal Congo all’Egitto: chi sono i nuovi partner dell’Italia
Ecco una panoramica sui nuovi partner che l’Italia sta trovando nel tentativo di distaccarsi dal gas russo.
Congo
Quando ho saputo che Luigi Di Maio si sarebbe recato nella Repubblica del Congo per siglare un accordo per la fornitura di gas, irrimediabilmente mi è venuta in mente la scena di Totò truffa ’62. Quando il Principe della risata, insieme a Nino Taranto, si traveste da ambasciatore del Congo per fregare un erede miliardario. Per chi non la conoscesse, lascio il video qui:
In realtà, da ridere c’è ben poco. Quello che da Di Maio è stato presentato come un successo, in realtà è solo una intesa che dovrebbe concretizzarsi nel 2023. Quindi tra un anno. Del resto, come riporta L’Indipendente ENI ha dichiarato che l’accordo firmato con la Repubblica del Congo prevede
l’accelerazione e l’aumento della produzione di gas in nel paese, in primo luogo attraverso lo sviluppo di un progetto di gas naturale liquefatto (GNL) che dovrebbe iniziare nel 2023, portando la capacità estrattiva a oltre tre milioni di tonnellate all’anno (circa 4.5 miliardi di metri cubi)
Tra i 97 produttori di gas naturale, la Repubblica del Congo si posiziona al 50° posto (l’Italia è al 52°). Da diversi anni, il Paese non esporta la propria produzione e manca di un sistema efficiente per valorizzare le proprie riserve. Dunque chiediamo gas a chi sta solo leggermente peggio di noi.
E se badiamo al lato etico della cosa, c’è ancora meno da stare sereni. La Repubblica del Congo si basa su una struttura autoritaria, con a capo il generale Denis Sassou Nguesso dal 1979, escludendo il periodo tra il 1992 e il 1997. Nguesso ha spinto su un certo culto della personalità, reprimendo libertà e diritti. Il paese si posiziona al 118° posto (su 180) nell’Indice mondiale della libertà di stampa ed è al centro di diverse denunce da parte di organizzazioni umanitarie, tra cui Amnesty International che ha documentato una serie di violazioni dei diritti umani e crimini di diritto internazionale commessi dalle forze di sicurezza congolesi da aprile a settembre del 2021.
Durante questo periodo, almeno 179.000 cittadini della confinante Repubblica Democratica del Congo, tra cui molti rifugiati e richiedenti asilo, sono stati “rastrellati, arrestati arbitrariamente e costretti a lasciare la Repubblica del Congo”. Dunque, passiamo dalla padella alla brace.
Oltretutto, con il Congo abbiamo una questione aperta: quella dell’ambasciatore Luca Attanasio, ivi ucciso e su cui non è stata ancora fatta chiarezza (come al solito). Ne ho parlato qui.
Egitto
Non va meglio se si guarda agli altri palliativi alla Russia. In Egitto grida ancora vendetta l’uccisione di Giulio Regeni, mentre irrisolta è anche la questione di Patrick Zaki.
Qatar
Il Qatar è al centro di un bilancio che vede più di 6.500 operai morti per la costruzione degli impianti sportivi in cui si giocherà il prossimo mondiale. Oltre alla questione dei diritti civili, a partire da quelli delle donne.
Azerbaijan
E cosa dire dell’Azerbaijan, con cui Di Maio ha siglato un contratto che aumenterà del 35% la nostra fornitura di gas dal paese, che finora rappresentava solo il 10%. È stato definito come “lo Stato in cui la democrazia non esiste” dal giornalista Aslan Ahmad Aslanov, imprigionato da tre anni per le sue posizioni critiche verso il regime. In terra azera Human Rights Watch ha riportato casi di tortura ai dissidenti, mancata indipendenza della magistratura e limitazione dei diritti civili e politici.