E’ tristemente noto il fatto che la Francia ci abbia scippato numerose opere, soprattutto “grazie” a Napoleone Bonaparte. Dai cavalli della basilica di San Marco, a Venezia, a numerosi quadri di Raffaello, la Maestà del Cimabue, opere del Beato Angelico. Mentre forse è un errore annoverare tra queste la Gioconda di Leonardo, poiché, a quanto pare, fu venduta proprio da Leonardo a Francesco I.
Comunque, si parla di oltre 500 opere trafugate dalla longa mano napoleonica, anche se la metà restituite nel 1815. Non solo in Italia, naturalmente. Tra i paesi vittima delle razzie ci troviamo Spagna, Portogallo, Belgio, Paesi Bassi, e in ordine sparso in Europa centrale.
Il periodo nel quale si concentra questo trafugamento va dal 1797 al Congresso di Vienna nel 1815, che riscriverà la geopolitica europea fino alla Prima guerra mondiale.
Tuttavia, la storia non è finita. Una nuova accusa alla tendenza depredativa francese arriva da Padova.
⛲Padova accusa la Francia: obelisco a Place de la concorde a Parigi ha una firma italiana
La storia la racconta Libero. A Place de la Concorde a Parigi si innalza fiero un obelisco, intorno al quale oggi circola incessante il traffico delle auto. Quell’obelisco arriva dall’antico Egitto, dove le auto non c’era ma circolavano meno chiassosi e inquinanti cammelli, anche esso portato da Napoleone come simbolo del suo impero. L’opera mostra delle crepe e da un restauro del 2022 si è scoperto una sorta di graffito, che poi si è rivelato una vera firma: Belzoni.
Cosa significa tutto questo? Che l’obelisco è di Belzoni e allora la Francia dovrebbe restituirlo a Padova, luogo d’origine di Belzoni. Almeno questo è quello che chiedono la studiosa Silvia Einaudi e da Marco Zatterin (vicedirettore della Stampa e biografo dell’esploratore padovano). Che evocano appunto quel restauro.
Einaudi e Zatterin ricordano che nell’Ottocento era diffusa l’abitudine fra gli europei che viaggiavano lungo il Nilo di scolpire il nome su templi e colossi per dire «sono stato qui».
Anche i cercatori di antichità degli albori, i pre-archeologici potremmo dire, incidevano statue e reperti al semplice scopo di stabilirne la presa di possesso, la cosa che più si avvicinava al concetto di certificato di proprietà. Sono almeno una decina le firme lasciate da Belzoni sui monumenti egizi. A cominciare dalla seconda piramide di Giza, dove si può leggere a caratteri cubitali di «essere stata scoperta il 2 marzo 1818 da G. Belzoni».
👷🏻♂️Chi era Belzoni?
Il quartiere del Portello di Padova nel 1778 era già popolare e popoloso ed è qui che nasce Giovan Battista Belzoni, di umili origini, essendo figlio di un barbiere. Belzoni, altissimo (oltre due metri), si reca nel 1815 in Egitto e oggi viene considerato il fondatore dell’egittologia. Proprio perché il suo lavoro ha portato alla luce tanti reperti dell’antico Egitto.
Anche la sua morte fu ingloriosa. Come riporta Wikipedia, dopo essere sbarcato in Africa, morì di dissenteria il 3 dicembre del 1823 nel porto fluviale di Gwato (Ughoton, Nigeria). Il signor Houtson, che lo accompagnava in questa spedizione, lo fece seppellire ai piedi di un albero alla periferia di Gwato e sulla tomba fece apporre un’epigrafe recante il nome e la data di morte del Belzoni, oltre che un promemoria per farlo ricordare ai turisti europei. Ma dopo quarant’anni non restò nulla di quella traccia.
Belzoni viene anche criticato da taluni per i suoi metodi troppo rudi nell’esecuzione dei suoi primi scavi. Ma stiamo parlando appunto di un’epoca nella quale tale attività era agli inizi. Dunque la sua metodologia va contestualizzata.
Oggi però Belzoni sembra quasi dimenticato, finito nelle sabbie della memoria rispetto ad altri egittologi come ad esempio il francese Champollion. Ma quella firma apposta sull’obelisco di Place de la Concorde riporta alla luce il suo grande lavoro, finito pure lui in Francia.