Festa della Repubblica: alla parata post-fascisti e leghisti

Stamane in quel di Roma si è tenuta la tradizionale parata del due giugno, festa della Repubblica. Festeggiamenti iniziati con la deposizione di una corona di fiori del presidente Sergio Mattarella alla tomba del Milite ignoto, come noto, posta dinanzi al maestoso Altare della patria.

Certo, è paradossale che i festeggiamenti del 2 giugno debbano iniziare proprio lì, visto che il nome ufficiale di quell’esplosione di architettura neoclassica è “Monumento nazionale a Vittorio Emanuele II” o “Vittoriano“. Quindi, da un monumento dedicato al penultimo Re d’Italia.

Ma questo non è l’unico paradosso: quest’anno e forse per diversi ancora, alla parata in prima fila c’erano politici non proprio repubblicani, almeno per il proprio DNA politico.

Festa della Repubblica: i post-fascisti Meloni, La Russa e Crosetto

Già perché, a parte Mattarella che è un democristiano Doc (defunta la Dc, aderì poi alla Margherita e al Partito democratico), le altre alte cariche istituzionali presenti in prima fila alla parata erano: Giorgia Meloni, presidente del consiglio, Ignazio La Russa, presidente del Senato, Lorenzo Fontana, presidente della Camera, e il Ministro della difesa, Guido Crosetto.

Orbene, la Meloni, LaRussa e Crosetto provengono da Fratelli d’Italia, partito erede di Alleanza Nazionale, a sua volta erede del Movimento sociale, a sua volta erede del Partito Fascista. Orbene, per quanto ci sia stata una evoluzione democratica nei vari passaggi, nel simbolo c’è ancora la fiamma del Msi. La quale rappresenta la fiaccola che arde sulla tomba di Benito Mussolini.

La Russa, peraltro, ha vissuto anche attivamente gli anni ’70, con tanto di scontri con la polizia. E in casa tiene ancora fieramente simboli fascisti.

La Repubblica è nata con la caduta del regime fascista e sappiamo bene quanto, sia il 25 aprile, che il 2 giugno, ancora dividano le parti.

Anche i leghisti alla festa della Repubblica

Alberto Fontana appartiene invece alla Lega, partito secessionista, che Matteo Salvini si è sforzato di rendere nazionale durante i suoi anni da segretario. Se ci sia riuscito realmente è difficile dirlo: da un lato, la lega ha sfondato spesso e volentieri sia al sud, che nelle regioni rosse del centro, superando anche il 30% e nominando sindaci.

Tuttavia, se regioni come Lombardia e Veneto guidati dalla Lega spingono ancora per l’autonomia, qualcosa non è cambiato.

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