Federico Caffè: la misteriosa scomparsa di un economista diventato scomodo

Federico Caffè: la misteriosa scomparsa di un economista diventato scomodo

Ripercorriamo la storia di Federico Caffè, ricordando chi era e perché la tesi dell’omicidio non va esclusa a priori.

Federico Caffè è stato un economista e docente italiano, che si prodigò per la divulgazione e la messa in pratica della dottrina keynesiana. La quale sostiene l’importanza dell’intervento dello Stato nell’economia, sia per sollecitarne il dinamismo anche appannaggio degli investimenti privati, sia come strumento di protezione sociale in favore dei più deboli. Per il compimento di una liberaldemocrazia che si contrappone da un lato al liberismo e dall’altro al socialismo.

In effetti, l’economia mista sostenuta da Caffè ha accompagnato la crescita dell’Italia dal dopoguerra agli anni ’80. Tuttavia, verso la fine del decennio, tali idee cominciavano a diventare scomode per il neoliberismo che cominciava ad avanzare a livello globale, approfittando del graduale dissolvimento, negli stati che lo avevano applicato in modo pratico, del suo avversario principale: il comunismo.

Tra i suoi lavori principali troviamo Lezioni di politica economica, edito nel 1978. Fu importante l’opera di divulgazione del pensiero degli economisti scandinavi Gunnar Myrdal e Frederick Zeuthen. La sua ultima opera è In difesa del welfare state, del 1986.

Ed è proprio il quadro geopolitico ed economico che si figurava verso la fine degli anni ’80, in contrasto con il suo pensiero, che alimenta seri dubbi sulla scomparsa ancora oggi irrisolta di Federico Caffè. Avvenuta a Roma il 15 aprile 1987. Vediamo chi era Federico Caffè e i dubbi sulla scomparsa.

Chi era Federico Caffè

Come riporta Wikipedia, Federico Caffè nasce a Pescara il 6 gennaio 1914. La situazione economica della famiglia, piuttosto modesta, lo spinge a iniziare a lavorare a soli 10 anni, come bigliettaio in un cinema di Pescara. Si iscrive a Economia e commercio, all’Università di Roma “La Sapienza”, e dopo la laurea conseguita nel 1936 con lode, pur continuando a lavorare (come impiegato di banca), a soli 25 anni insegnava già all’università nella capitale.

Nel 1945 fu consulente e successivamente capo di gabinetto del Ministro della Ricostruzione Meuccio Ruini durante il governo Parri. Si iscrisse alla London School of Economics grazie al conseguimento di una borsa di studi, ed è qui che si avvicina al pensiero keynesiano ma anche, ideologicamente, al pensiero laburista.

Tornato in Italia, torna a lavorare in Banca, ma questa volta alla Banca d’Italia, per poi intraprendere la carriera di docente prima a Messina, poi a Bologna e infine a Roma. In quegli anni fa anche parte del Comitato scientifico della Fondazione Luigi Einaudi di Torino e scrive per giornali come Il Messaggero e Il Manifesto.

Negli anni della docenza, con lui si laureano oltre mille studenti. Tra questi, troviamo future personalità di spicco delle istituzioni italiane. Tra queste, Mario Draghi e Ignazio Visco. Ma anche figure di rilievo in altri settori, come Giuseppe Laterza. Tante poi le amicizie strette con economisti e sindacalisti.

Possibili cause della scomparsa di Federico Caffè

Federico Caffè viveva a Roma in via Alberto Cadlolo insieme al fratello Alfonso (1910-1992), professore di lettere all’Istituto Massimo di Roma. La casa era ubicata in una zona elegante, posizionata tra Monte Mario e Balduina.

Al professor Carlo Ruini aveva rivelato pochi giorni prima in una lettera di essere preoccupato per le sue condizioni finanziarie dato che si approssimava il pensionamento. Eppure, da una valutazione oggettiva delle sue condizioni economiche, non si evince alcun motivo di preoccupazione in tal senso.

Forse, più probabilmente, era più sconfortato dall’idea di smettere di insegnare, come avrebbe confessato a un suo studente. Sarebbe poi trapelato che a uno dei suoi allievi, nonché vecchio amico dei suoi genitori (fu testimone di nozze), certo Daniele Archibugi, avrebbe addirittura chiesto di aiutarlo a suicidarsi.

Orbene, il docente ed economista scomparve nella notte fra il 14 e il 15 aprile 1987, e il fratello, che dormiva nella stanza a fianco, non si accorse di nulla. Entrato nella sua stanza trovò sul suo comodino il suo orologio, i suoi documenti, un libro di Sciascia dal titolo “La scomparsa di Majorana” (testo non casuale, si dirà) e gli occhiali che Federico usava per leggere.

L’ipotesi principale, e ad oggi ufficiale, è che Federico Caffè abbia deciso di scomparire nel nulla, premeditando gli spostamenti in modo minuzioso. Il che escluderebbe sia l’ipotesi dell’omicidio, che quella del suicidio. Una ipotesi largamente accettata su dove avesse trovato riparo riguarda il fatto che abbia scelto un convento, proprio come la vicenda di Ettore Majorana descritta nel libro trovata sul comodino.

Tuttavia, non è stata mai esclusa l’ipotesi suicidio, dato che a molti il professore era apparso depresso, un po’ per la questione pensionamento e un po’ perché le sue teorie economiche non avevano trovato particolare seguito pratico. Inoltre, la perdita di tanti affetti cari avrebbero demolito il suo umore: la morte della madre prima e della storica domestica poi; l’uccisione da parte delle Brigate rosse dell’economista Ezio Tarantelli avvenuta nel 1985; la morte di Franco Franciosi stroncato l’anno successivo; così come quella di un altro economista, Fausto Vicarelli in un incidente stradale. A ciò va aggiunta la malattia del caro fratello.

La tesi del suicidio non troverebbe credito dal fatto che Caffè rimase molto colpito dalla morte per suicidio dello scrittore Primo Levi, commentandola con frasi come

Perché così?

Perché sotto gli occhi di tutti?

Perché straziare i parenti?

Dunque, difficilmente Federico Caffè si sarebbe spinto fino al suicidio. Inoltre, nel libro Memorie di un intruso (edito Castelvecchi) del 2016, Bruno Amoroso, uno dei suoi allievi più cari, racconta di averlo rivisto dopo la scomparsa.

A prescindere da come sia andata veramente, l’8 agosto 1998 il tribunale di Roma ne dichiarò la morte presunta avvenuta in circostanze non appurate. All’epoca, l’economista keynesiano avrebbe avuto 84 anni.

Federico Caffè fu ucciso?

Tuttavia, non si esclude l’ipotesi omicidio. Approfondisce questa tesi Cesare Sacchetti sul suo interessantissimo blog.

Con le sue teorie, Federico Caffè criticava già negli anni ’70 l’attuale Unione europea, all’epoca ancora agli inizi e nel suo stato embrionale. Basti pensare che nel 3 giugno 1975 scrisse un articolo dal titolo che era tutto un programma: “Dalla interdipendenza alla dipendenza”. Nel quale parla della CEE (Comunità Economica Europea) voluta così tanto da Alcide De Gasperi, tanto decantato “padre della patria italiana“, ma anche uno dei primi politici italiani a frequentare il gruppo Bilderberg. Parlava già di germanizzazione.

Vedeva, scrive Sacchetti, nella CEE

un mezzo per iniziare a erodere le singole sovranità nazionali e consegnarli ad una sovrastruttura internazionale che di europeo aveva poco, e che serviva gli interessi economici nemmeno della classe operaia tedesca, ma del capitale e della sua industria pesante

Le fondamenta dell’allora CEE e dell’attuale Comunità europea furono gettate nelle segrete stanze del gruppo Bilderberg nel 1955 presso Garmisch-Partenkirchen (località sciistica della Baviera), dove erano presenti personaggi come Josef Retinger, fondatore del gruppo, e il principe Bernardo d’Olanda.

Un’entità sovranazionale, tecnocratica, che cura gli interessi di banche, alta finanza e multinazionali, calpestando i diritti dei cittadini europei, demolendo il welfare state, tanto caro a Federico Caffè. E per arrivare a imporsi, si iniziò proprio dalle università, occupando ogni singolo ateneo e i think thank economici con i dettami dei filosofi della scuola di Francoforte.

A suggellare l’avvento del neoliberismo il fatto che il Premio Nobel per l’economia del 1976 era andato ad un personaggio come Milton Friedman, esponente di punta dei Chicago boys, ma soprattutto membro dell’esclusivo club della Mont Pelerin Society. Un altro organo tanto simile a una società segreta che agisce a porte chiuse e per pochi eletti.

Ed è proprio dagli economisti della Mont Pelerin che partono le idee imposte ai governanti, soprattutto a partire dagli anni ’80. In primis la politica delle privatizzazioni e dell’arretramento dello Stato nell’economia, che vede in politici come Margaret Thatcher, Premier britannico, e Ronald Reagan, presidente degli Stati Uniti, i massimi esponenti di questo modus operandi.

L’Italia in quel periodo non era ancora interessata da ciò, grazie a personalità come Giulio Andreotti e Bettino Craxi, e con loro, a un sistema politico fatto di partiti solidi, con una storia ben radicata alle spalle e con ideologie piuttosto ferme e coerenti. Ciò però fino ai primi anni ’90, quando Mani pulite demolirà questo status quo.

Immagine plastica di questo cambio di registro sarà la demolizione dell’IRI per opera di Romano Prodi, istituto fondamentale per l’industria italiana, grazie al quale eravamo diventati la quinta potenza mondiale, entrando nel G7. Ma illuminante è anche il discorso di Mario Draghi il 2 giugno 1992 sul Britannia, con il quale anticipò la stagione delle privatizzazioni e la demolizione dello Stato italiano.

Mario Draghi diede un grande dispiace a Federico Caffè. Suo allievo, tanto che nel 1970 si laurea con una una tesi di laurea critica della moneta unica, aveva poi cambiato le sue posizioni nel decennio successivo. Tanto che Caffè, ricorda Sacchetti, ne fu molto deluso e amareggiato. Un “tradimento” che diede forse più di ogni altro evento la prova che il mondo stava cambiando e si stava consacrando al neoliberismo.

Certo, Federico Caffè era già piuttosto anziano ma era comunque ancora influente, tanto a La Sapienza quanto sulla carta stampata. Per quanto, comunque, i giornali su cui scriveva non avevano più lo spessore degli anni 60-70. Il Messaggero era finito nelle mani di un oligarca come Caltagirone, diventando così un organo del sistema. Mentre Il Manifesto aveva perso la propria importanza ideologica in una sinistra sempre più disorientata e smarrita.

Il professore non avrebbe taciuto rispetto a quanto faranno dai primi anni ’90 personaggi come Carlo Azeglio Ciampi, che da Governatore della Banca d’Italia svalutò la lira, favorendo affaristi come Soros. Oppure Giuliano Amato, il presidente del Consiglio che nel luglio del 1992 entrava nei conti correnti degli italiani per rubarli del 6 per mille, inserendo poi nel sistema tributario italiano una imposta sulla prima casa: l’ICI.

I giornali italiani, ormai in mano a gente come Agnelli e De Benedetti, così come gli economisti partoriti dalle svendute università italiane, non dissero nulla su tutto ciò. Quello che non avrebbe fatto Caffè, che già negli anni ’70 parlava di economia italiana in mano a “incappucciati“, una espressione che si riferiva all’appartenenza massonica dei soggetti che muovono miliardi di capitali dietro l’anonimato più assoluto. Mentre poco prima della scomparsa, il 1 luglio del 1986, l’economista sul quotidiano L’Ora demoliva in un articolo intitolato “I Paesi più virtuosi” uno dei falsi dogmi preferiti dalla vulgata neoliberale che demonizza la spesa pubblica.

A difesa delle sue teorie, scriveva che

il 55% del prodotto nazionale lordo destinato alla spesa pubblica poneva l’Italia in posizione assolutamente equilibrata

Cosa che trovava in disaccordo un quotidiano economico come l’Economist, in mano ai Rothschild, che il bilancio pubblico in Italia fosse fuori controllo. Una cantilena sul debito pubblico che sentiremo per decenni, con i paesi del Nord Europa che tratteranno quelli del Sud come dei corrotti nullafacenti da raddrizzare. Arrivando a riassumere Italia, Spagna, Portogallo e Grecia con l’acronimo PIGS. Che in inglese significa maiali.

Al momento della scrittura, sono passati un paio di giorni dall’anniversario della sua scomparsa. Ma nessuna rete televisiva né alcun giornale ne ha fatto cenno. Ormai la sua figura è stata definitivamente cancellata.

Foto: Wikimedia Commons

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Pubblicato da Vito Andolini

Appassionato di geopolitica e politica nazionale.

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