Non si è lasciata troppo attendere la risposta turca all’attentato che l’altra domenica ha scosso Istanbul. Il governo guidato da Erdogan ha lanciato raid aerei contro obiettivi curdi in Iraq e Siria, nell’ambito di una operazione denominata “Spada ad artiglio“.
Come riporta Il Fatto quotidiano, fonti turche parlano di operazioni chirurgiche per colpire le basi militari del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK), e delle Unità di Protezione del Popolo, che Ankara ritiene utilizzate per lanciare attacchi contro la Turchia. Soprattutto Kobanê, la città che riuscì a resistere all’assedio delle forze dell’Isis e che fu riconquistata dai curdi il 30 gennaio 2015.
Le cose però non sembrano essere andate proprio così. L’Osservatorio siriano per i diritti umani parla di 15 vittime, ma altre fonti perfino di almeno 45. Tra forze siriane e miliziani curdi. Farhad Shami, portavoce delle Forze democratiche siriane, su Twitter, ha scritto che tra i morti ci sarebbe anche un giornalista. Il raid turco avrebbe attaccato 2 villaggi dove c’erano diversi sfollati.
Attentato a Istanbul: davvero sono stati i curdi?
Non è la prima volta che la Turchia mette in campo azioni sproporzionate per punire i Curdi, popolo senza Stato di cui non si parla mai (ne abbiamo scritto qui). Soprattutto da quando al governo c’è Erdogan, il quale, come scritto più volte sulle nostre pagine, ha improntato una politica estera molto aggressiva. Lesiva degli interessi degli altri paesi che affacciano sul Mediterraneo, così come rispetto alla mai risolta questione curda.
Ma anche in politica interna Erdogan sta usando un modus operandi simil-dittatoriale, con un accentramento dei poteri e una limitazione dei diritti civili e della libertà di stampa.
Domenica 13 novembre si è verificata una forte esplosione nel centro di Istanbul, nella frequentata Istiklal Avenue, considerata una “via dello shopping” turca frequentata da residenti ma anche da turisti, per l’alta concentrazione di negozi e ristoranti. Il bilancio è di 6 morti e oltre 80 feriti. E’ stato fatto detonare un ordigno a distanza.
Con una rapidità straordinaria è stata arresta una donna: Ahlam Albashir, cittadina siriana che ha poi confessato di essere stata addestrata dal partito curdo armato Pkk e dalle milizie curde siriane dello Ypg. I curdi del Pkk, però, negano di essere responsabili dell’attentato.
L’arresto quasi istantaneo della donna e la sua immediata ammissione di fare parte del PKK, lascia più di un dubbio sulla matrice curda dell’attentato. Tra l’altro il PKK non ha confermato il suo coinvolgimento, ma, soprattutto, come ricorda Formiche, generalmente il gruppo terroristico non colpisce indistriminatamente tra la folla ma prende di mira autorità governative o rappresentanti dello Stato. In particolar modo la polizia turca, che non ci va certo leggera con loro.
Inoltre queste operazioni terroristiche sono state sempre orgogliosamente rivendicate dal Pkk o da organizzazioni affiliate.
Non può essere esclusa la matrice jihadista dell’attentato, visto che in questi anni la Turchia è stata già colpita dall’Isis per aver chiuso la pipeline ideata dallo Stato islamico, che aveva consentito a migliaia di jihadisti (inclusi centinaia di italiani) di raggiungere le terre del califfato, compiendo la hijra (migrazione) attraversando il confine turco-siriano durante l’apogeo dell’organizzazione terroristica.
Tale struttura organizzativa aveva il suo perno proprio all’interno della Turchia, dove, grazie a facilitatori, i terroristi del sedicente stato islamico ottenevano protezione ed il supporto logistico necessari per raggiungere il califfato di Abu Bakr al-Baghdadi.
Infine, non bisogna dimenticare che il prossimo anno in Turchia si terranno delicatissime elezioni che mettono in serio rischio il potere in questi anni imbastito da Erdogan. Il quale potrebbe utilizzare la paura per rafforzare la propria posizione, essendo in netto calo di popolarità ormai da qualche anno.
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