Enzo Tortora e l’ipocrisia della Rai: come lo trattò da vivo

Qualche giorno fa è ricorso il trentennale dalla morte di Enzo Tortora, amatissimo presentatore della Rai coinvolto ingiustamente nelle inchieste sulla Nuova Camorra Organizzata di Raffaele Cutolo. Come riporta Wikipedia, Enzo Tortora fu accusato dal giudice istruttore, il magistrato Giorgio Fontana di gravi reati, ai quali in seguito risultò totalmente estraneo, sulla base di accuse formulate da soggetti provenienti da contesti criminali. Il 17 giugno 1983 fu per questo arrestato e imputato di associazione camorristica e traffico di droga.

Dopo 7 mesi di reclusione nel gennaio del 1984, fu liberato ma il 17 settembre 1985, i due pubblici ministeri del processo, Lucio Di Pietro e Felice di Persia fecero condannare Tortora a dieci anni di carcere. La sua innocenza fu dimostrata e riconosciuta il 15 settembre 1986, quando venne infine definitivamente assolto dalla Corte d’appello di Napoli.

Si trattò di un evidente caso di malagiustizia alimentato dal clamore mediatico. Tortora fu arrestato alle 4 di mattina e trattenuto per 7 ore e poi fatto uscire in manette dinanzi a fotografi e cameraman, il tutto per soddisfare l’ingordigia dei media. La televisione mandò ripetutamente le immagini di lui in manette.

Ma ecco la vicenda giudiziaria di Enzo Tortora e come lo trattò realmente la Rai.

Enzo Tortora vicenda giudiziaria

enzo tortora foto arresto

Le accuse si basavano sulle dichiarazioni dei pregiudicati Giovanni Pandico, Giovanni Melluso (soprannominato “Gianni il bello”) e Pasquale Barra, legato a Raffaele Cutolo; inoltre, altri 8 imputati nel processo alla cosiddetta Nuova Camorra Organizzata, tra cui Michelangelo D’Agostino, pluriomicida detto “Killer dei cento giorni”, accusarono Tortora.

A queste accuse si aggiunsero quelle, rivelatesi anch’esse in seguito false, del pittore Giuseppe Margutti, già pregiudicato per truffa e calunnia, e di sua moglie Rosalba Castellini, i quali dichiararono di aver visto Tortora spacciare droga negli studi di Antenna 3; si contarono così tredici false testimonianze e, in totale, i pentiti che accusarono Tortora assommarono a 19.

Gli elementi “oggettivi”, di fatto, si fondavano unicamente su un’agendina trovata nell’abitazione di un camorrista, Giuseppe Puca detto O’Giappone, recante scritto a penna un nome che appariva essere, inizialmente, quello di Enzo Tortora, con a fianco un numero di telefono; il nome, ad esito di una perizia calligrafica, risultò non essere quello del presentatore, bensì quello di un tale Tortona. Nemmeno il recapito telefonico risultò appartenere al presentatore. Perfino lo stesso Cutolo disse di non averci mai avuto a che fare. Eppure, rimase inascoltato.

Tortora tornò in televisione il 20 febbraio del 1987, ricominciando il suo Portobello. Prima di cominciare il suo storico programma di successo, disse un discorso introdotto con una proverbiale domanda: “Dunque, dove eravamo rimasti?”. Tortora fu assolto definitivamente dalla Corte di Cassazione il 13 giugno 1987, a quattro anni dal suo arresto.

Ma un tumore ai polmoni non gli concesse il tanto meritato ritorno e riscatto. Della malattia disse: “mi hanno fatto esplodere una bomba atomica dentro”. Enzo Tortora morì a 59 anni la mattina del 18 maggio 1988 nella sua casa di Milano, stroncato da un tumore polmonare contro il quale combatteva da un anno.

Enzo Tortora e la solita Rai

tortora portobello

La Rai, che oggi lo commemora, lo rimpiange e vuole riscattarlo, in vita non lo trattò di certo bene. Ricordando un po’ quanto riservato a Fabrizio Frizzi (ne ho parlato qui). Ecco cosa riservò a Tortora.

Come riporta Il Fatto quotidiano, per due volte Tortora fu allontanato dalla Rai. La prima agli inizi degli anni Sessanta, quando era già assai noto e apprezzato soprattutto per le sue conduzioni in diretta dalle piazze, prima quelle di Telematch, poi quelle di Campanile sera. Gli costò cara (pare, visto che le vicende di quegli anni sono avvolte in un’aura in cui si mescolano storia e leggenda) un’imitazione di Amintore Fanfani sgradita al permaloso politico toscano.

Tortora passò quelle stagioni di epurazione collaborando con la Tsi, la televisione svizzera di lingua italiana. E quando fu riammesso in Rai a condurre La domenica sportiva era evidente come la frequentazione di quella interessante emittente straniera avesse contribuito a formare il suo stile preciso ed elegante, distaccato ma decisamente personale (in un’epoca in cui ai giornalisti del servizio pubblico si chiedeva l’assoluta neutralità).

Ma pochi anni dopo, all’apice della sua fama come conduttore di quella popolarissima rubrica, una dichiarazione, per la verità un po’ forte, sul governo della Rai affidato a dilettanti (boyscout per la precisione) gli fu di nuovo fatale. Questa volta la squalifica fu più lunga e durò fino al periodo del dopo riforma del servizio pubblico. In questi sette anni Tortora seguì due strade.

La prima fu la collaborazione con testate di destra, alcune anche un po’ ambigue, impegnate nel contrastare l’egemonia culturale comunista, contestando gli intellettuali che avevano firmato la celebre lettera aperta contro il commissario Calabresi o scagliandosi contro il dittatore Fidel Castro. La seconda fu la frequentazione del mondo confuso, a volte velleitario, ma molto vivace, delle nascenti tv private: dall’esperimento di Tele Biella alla più strutturata Antenna 3.

All’epoca non c’era ancora Mediaset, che lo avrebbe ingaggiato ad occhi chiusi, valorizzandone la classe e il talento. Negli anni bui della vicenda giudiziaria gli stettero molto vicini i Radicali, che lo fecero eleggere europarlamentare, promuovendolo poi anche Presidente.

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