Enrico Mattei, dalla sua morte iniziarono i guai energetici italiani

Enrico Mattei, dalla sua morte iniziarono i guai energetici italiani

Introduzione

Sessant’anni fa, il 27 ottobre 1962, moriva Enrico Mattei, presidente di ENI, in un incidente aereo alle porte di Milano (Bascapé). E la sua figura torna in auge ogni volta si parla di dipendenza del nostro paese dall’estero per quanto concerne l’energia. Oggi, per esempio, a causa della guerra in Ucraina e dalle minacce russe.

Se il fatto che l’aereo partito da Catania sia stato sabotato è ormai acclarato, chi volle la sua morte resta ancora un mistero. Uno dei tanti italiani. Si sa per certo anche il movente: Enrico Mattei dava fastidio.

Voleva che ENI fosse un ente pubblico energetico forte, che competesse con le cosiddette “sette sorelle” di allora: Exxon, Mobil, Texaco, Standard oil of California (Socal), Gulf oil, l’anglo-olandese Royal Dutch Shell e la britannica British petroleum. Le quali fino alla crisi petrolifera del decennio successivo hanno svolto un ruolo dominante nel mercato del petrolio.

Ma vediamo meglio chi ha ucciso Enrico Mattei e il motivo principale.

Perché Enrico Mattei fu ucciso

Come riporta Altra informazione, Enrico Mattei voleva spezzare il monopolio delle “sette sorelle”. Anche allo scopo di stabilire rapporti nuovi tra i paesi industrializzati e i fornitori di materie prime. Una strategia ovviamente inaccettabile per le grandi compagnie petrolifere prima citate che si spartiscono le ricchezze del mondo.

Dall’inchiesta della Procura di Pavia, riaperta a metà degli anni ‘90, risulta inoltre evidente che l’insabbiamento di quel crimine fu diretto dai vertici dei servizi. Come per tutte le stragi di Stato che avverranno successivamente la sua morte. Per il sostituto procuratore di Pavia Vincenzo Calia il fondatore dell’ENI fu “inequivocabilmente” vittima di un attentato. Vincenzo Calia giunge vicino alla soluzione del caso e formula l’ipotesi dell’attentato, ma non può provarla.

Calia dimostrò che l’esplosione che abbatté il bimotore Morane-Saulnier su cui viaggiavano il presidente dell’ENI, il pilota Irnerio Bertuzzi e il giornalista americano William McHale fu causata da una bomba collocata nel carrello d’atterraggio del velivolo. Le prove contenute nelle 208 pagine del fascicolo dimostrano anche che l’inchiesta del 1962, presieduta dal generale dell’Aeronautica Ercole Savi, conclusasi dichiarando l’impossibilità di “accertare la causa” del disastro, fu in realtà un mostruoso insabbiamento.

L’unico finito in carcere fu un contadino di Bascapé, Mario Ronchi, accusato di “favoreggiamento personale aggravato”. Secondo l’accusa vide l’aereo di Mattei esplodere in volo, rilasciò alcune interviste in questo senso a diversi organi di stampa e alla Rai e poi… si rimangiò tutto. Come al solito, si cercò l’agnello sacrificale per proteggere i poteri forti.

Il 27 luglio 1993 il “pentito” di mafia Gaetano Iannì affermò che per l’eliminazione di Mattei ci fu un accordo tra non meglio identificati “americani” e Cosa nostra siciliana. Un accordo che rievoca quello che consentì lo sbarco in Sicilia degli americani. A mettere una bomba sull’aereo di Mattei fuono alcuni uomini della famiglia mafiosa capeggiata da Giuseppe Di Cristina. Anche Tommaso Buscetta rivela che la mafia americana chiese a Cosa nostra il favore di eliminare Enrico Mattei “nell’interesse sostanziale delle maggiori compagnie petrolifere americane”.

Si consumò anche un mistero nel mistero: la scomparsa del giornalista dell’ “Ora” di Palermo Mauro De Mauro, il 16 settembre 1970. Una delle piste seguita dall’inchiesta sulla fine di De Mauro ipotizza infatti che il giornalista palermitano sia stato sequestrato e ucciso per aver scoperto qualcosa di molto importante circa la morte del presidente dell’E.N.I.

Del resto, De Mauro aveva infatti ricevuto dal regista Franco Rosi l’incarico di collaborare alla preparazione della sceneggiatura del film “Il caso Mattei”. Ricostruendo gli ultimi due giorni di vita trascorsi dal presidente dell’E.N.I. in Sicilia. Film che invito a vedere, col grande Gian Maria Volonté nei panni di Mattei.

La sentenza definitiva sulla morte di Enrico Mattei è quella del 5 novembre 1997, quando il pubblico ministero di Pavia Vincenzo Calia giunge a questa conclusione:

l’aereo, a bordo del quale viaggiavano Enrico Mattei, William Mc Hale e Inrneio Bertuzzi, venne dolosamente abbattuto nel cielo di Bascapè la sera del 27 ottobre 1962. Il mezzo utilizzato fu una limitata carica esplosiva, probabilmente innescata dal comando che abbassava il carrello e apriva i portelloni di chiusura dei loro alloggiamenti

Tuttavia, restano ignoti gli autori della strage.

Enrico Mattei: causa della morte

Altra Informazione entra poi nei dettagli dell’opera che Enrico Mattei stava compiendo. Egli stava per spezzare la morsa costruita attorno a lui dal cartello petrolifero che escluse l’ENI dal mercato petrolifero internazionale. Negandogli concessioni nei paesi produttori alla pari con le altre compagnie petrolifere.

Mattei allora dichiarò guerra al sistema neocoloniale delle concessioni, offrendo ai paesi produttori un accordo rivoluzionario: il 75% dei profitti contro il 50% finora offerto dalle compagnie, e la qualificazione della forza lavoro locale. Il cartello reagì furiosamente, giungendo a rovesciare governi, come quello libico, che avevano accettato l’offerta e aperto all’ENI prospettive di grandi forniture.

Nel 1962, quando si andava prospettando la soluzione della questione algerina, Mattei era riuscito ad aggirare il blocco.

Sostenendo il Fronte di Liberazione Nazionale (FLN), Mattei aveva ipotecato un trattamento preferenziale verso l’ENI dal futuro governo. Si pensava allora che l’Algeria possedesse, al confine con la Libia , le più vaste riserve di petrolio inesplorate del mondo. Algeria che oggi torna in auge per mitigare l’autonomia dal gas russo (ne ho parlato qui).

Parallelamente a Mattei si mosse De Gaulle, che decise di riconoscere l’indipendenza algerina. Come contropartita, la compagnia petrolifera francese ottenne gli stessi privilegi dell’ENI.

L’Executive Intelligence Review afferma che il presidente dell’Eni, alla fine, era riuscito ad aprire un dialogo con la Casa Bianca , nonostante la stampa internazionale avesse dipinto Mattei come un pericoloso sovversivo anti-americano. Mattei, per l’Eir, era riuscito a far capire alla nuova amministrazione Kennedy che tutto ciò che desiderava era essere trattato alla pari, che egli non ce l’aveva con l’America ma con i metodi coloniali applicati dalle “sette sorelle” del petrolio.

L’amministrazione Kennedy accettò il dialogo e fece pressioni su una compagnia petrolifera, la Exxon , per concedere all’Eni dei diritti di sfruttamento. L’accordo sarebbe stato celebrato con la visita di Mattei a Washington, dove avrebbe incontrato il Presidente Usa e ottenuto il conferimento di una laurea honoris causa da parte di una prestigiosa università statunitense.

Un viaggio però che non si fece mai. Alla morte di Mattei fece seguito quella di Kennedy. In un rapporto confidenziale del Foreign Office del 19 luglio 1962, si leggeva che

il Matteismo era potenzialmente molto pericoloso per tutte le compagnie petrolifere che operano nell’ambito della libera concorrenza (…). Non è un’esagerazione asserire che il successo della politica ‘Matteista’ rappresenta la distruzione del sistema libero petrolifero in tutto il mondo

Chi ha ucciso Enrico Mattei

Come detto, una mandante ufficiale non c’è e, molto probabilmente, non ci sarà mai. Visto che più passano gli anni da un evento, più diventa difficile ricostruirne i fatti. Anche l’inchiesta militare fu molto veloce e sbrigativa.

A parte le compagnie petrolifere internazionali che si sentivano maggiormente minacciate, specie quelle americane, di recente si è aggiunto un altro indiziato: l’Oas (Organisation de l’armée secrète). A riportarlo è Dagospia, che parla di un libro che mette in luce nuovi fatti: La spia intoccabile, di Giacomo Pacini, uscito lo scorso anno.

I membri dell’Oas, ricercati dai servizi segreti francesi, avevano trovato riparo in Italia, grazie anche ai loro collegamenti con esponenti politici del nostro Paese. Si parla di Georges Bidault, Jacques Soustelle, Jean Susini e Philip De Massey. Mentre tra i politici più legati al movimento ultranazionalista francese erano segnalati i missini Giorgio Almirante, Tullio Abelli, Giuseppe Romualdi, Filippo Anfuso ed Egidio Sterpa.

L’arrivo degli uomini dell’Oas in Italia sarebbe stato facilitato dall’esistenza a Roma dell’organizzazione: Peregrinatio Romana che mensilmente predisponeva viaggi nella Capitale per le comunità cattoliche di Belgio e Francia. Gli agenti dell’Oas, sfruttando il fatto che la Peregrinatio provvedeva in proprio al disbrigo delle pratiche doganali dei suoi fedeli, riuscivano a confondersi tra i «pacifici pellegrini cattolici» e a entrare in Italia evitando sistematicamente i controlli alla frontiera. Pare che ad aiutarli fossero soprattutto ambienti missini e cattolici.

Quanto agli ambienti cattolici, un un’ulteriore nota si sosteneva che il principale centro organizzativo italiano al quale avrebbero fatto capo gli uomini dell’Oas era «l’Istituto San Pio V per la difesa ed il rafforzamento dei valori cristiani». Fondato a fine dicembre 1960 dal cardinale Alfredo Ottaviani (capo della Congregazione del Sant’Uffizio) e da monsignor Gilberto Agustoni (prefetto emerito del Supremo tribunale della Segnatura apostolica). Attraverso quest’ultimo «gli agenti dell’Oas troverebbero protezione in Vaticano».

Secondo le informazioni in possesso dell’Uar, i militanti dell’Oas stavano progettando un attentato contro l’allora presidente dell’Eni Enrico Mattei, nemico giurato dell’organizzazione terrorista francese a causa del supporto che stava fornendo agli indipendentisti algerini.

Da una nota dell’agosto 1961, per esempio, veniamo a Roma sapere che era appena giunto a Roma il colonnello Jean Goddard, braccio destro del generale Raoul-Albin Salan (uno dei fondatori dell’Oas, in passato stretto collaboratore del generale Charles De Gaulle), il quale avrebbe incontrato

alcune delle personalità politiche e religiose maggiormente implicate nell’attività oltranzista nel nostro Paese [. .]. Non si esclude che il viaggio sia pure collegato con le minacce epistolari dirette [nei mesi precedenti] al presidente Mattei

il colonnello Goddard si incontrerà con il professor Luigi Gedda ed altre personalità cattoliche, tra cui certamente il proprietario dell’Istituto San Pio V, monsignor Agustoni. Una parte degli incontri avrà luogo in un appartamento sito in via Piemonte n. 39, a Roma, ove è la sede centrale dell’organizzazione tambroniana nota come Centro per l’Ordine Civile

Un successivo appunto riferiva della presenza in Italia di Bernard de La Rose, noto per le sue attività di «attentatore» per conto dei nazionalisti francesi. «Il La Rose» sarebbe giunto a Roma «col preciso incarico di predisporre un attentato contro il presidente della Fivl [Federazione italiana volontari della libertà] Enrico Mattei».

L’autore rimasto tutt’oggi anonimo dell’informativa diceva chiaramente:

Ci rendiamo conto — scriveva l’anonimo autore del documento — della responsabilità che, indirettamente, assumiamo dando corpo a questa voce. Ci pare, tuttavia, che commetteremmo un grave errore di valutazione se la prendessimo come una diceria». Per tale ragione «raccomanderemmo, in questi giorni, un più attento servizio di vigilanza intorno alla persona del Presidente Mattei

Inquietante è poi un documento in cui si parlava in modo chiaro di un attentato contro l’aereo di Mattei che sarebbe stato progettato da uomini dell’Oas:

L’aereo, — si legge, — avrebbe dovuto essere sabotato con una bomba ad orologeria, piazzata a Milano, che avrebbe dovuto scoppiare dopo la partenza da Roma, al di sopra del Mediterraneo, per impedire ogni inchiesta sulla caduta dell’apparecchio

Ed ancora, il 23 marzo, in un’ennesima informativa, l’Uar ribadiva che «l’Oas non ha rinunciato al proposito di far la pelle ad Enrico Mattei» e ha «addirittura esaminato la possibilità di abbatter[ne] l’apparecchio nel caso questi si recasse in Algeria».

Tuttavia, la strategia seguita da Goddard e dai suoi è «attendere che l’opinione pubblica dimentichi la notizia delle già avanzate minacce a lui [Mattei] dirette», per poi colpirlo al momento opportuno.

Infine, nel 1997, in un’intervista al Corriere della Sera, Jean Susini, dopo aver rievocato gli anni passati in Italia, ha sostenuto di non poter escludere che quell’attentato l’abbia organizzato la rete italiana dell’Oas, visto che, a suo dire, le ragioni per far fuori Mattei c’erano tutte.

Queste alcune delle sue parole più significative:

(Mattei) forniva armi ai ribelli algerini attraverso la Tunisia, era un gioco che rientrava negli interessi petroliferi dell’Italia […]. I veri nemici di Enrico Mattei erano i francesi d’Algeria

Poche settimane dopo la morte di Mattei, peraltro, l’Uar reclutò tra i suoi informatori il giornalista Pasquale (detto «Lino») Ronga che del presidente dell’Eni era stato uno dei più stretti collaboratori e per conto del quale aveva avuto l’incarico di monitorare proprio le attività degli uomini dell’Oas.

Nei primi anni Sessanta, grazie alla mole di informazioni che era riuscito a raccogliere, l’Uar rintracciò e fece poi estradare in Francia diversi agenti dell’Oas presenti in Italia. Anche in questo caso, in linea con quanto fu fatto per gli autori delle stragi terroristiche in Italia.

I contrasti in Italia

Ovviamente, alle motivazioni internazionali, vanno anche aggiunte quelle interne. Dato che intorno ad ENI c’erano pesanti interessi dei partiti. Eni era vicina alla Dc, ma, come evidenzia il libro Il delitto Mattei, uscito nel 2019, lo storico padovano Egidio Ceccato ha presentato il presidente dell’Eni come vittima delle asprezze politiche della Guerra Fredda prima ancora che dell’ostilità delle multinazionali del petrolio.

Oltre a intaccare, come detto, i profitti delle Sette sorelle, l’iniziativa configurava una politica estera italiana conflittuale col Paese guida dell’Occidente e cogli stessi equilibri determinati dalla seconda guerra mondiale. Nei progetti dell’imprenditore l’Italia, povera di materie prime e privata delle colonie, avrebbe dovuto ricostituire una propria zona d’influenza nel bacino del Mediterraneo, cioè in un’area che Usa, Gran Bretagna e Francia consideravano di loro esclusiva pertinenza.

Di più, a partire dal 1958, Mattei aveva proceduto all’acquisto di ingenti quantitativi di petrolio sovietico, offrendo il fianco ad accuse di violazione della solidarietà atlantica e di filocomunismo.

Quella Sicilia, da cui partì il volo sul quale morì Matteri, pure non fu un caso. Nell’isola Mattei si era inimicato sia i collaboratori che avevano speculato sui terreni del petrolchimico di Gela, allora in fase di completamento, sia i mafiosi che avevano messo gli occhi sull’indotto dell’ANIC. Fra questi il già citato Giuseppe Di Cristina, amico di Stefano Bontate e di Giuseppe Calderone, il boss della città (Catania) prescelta per il sabotaggio.

Non a caso, dopo la sua morte, l’ENI fu manovrata con maggiore scioltezza dalla politica italiana. La Dc prima e lo Psi a partire dagli anni ’80 (l’era Craxi). Mentre negli anni ’90 fu privatizzata, come altri enti importanti italiani.

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