Inizialmente visto come semplice materiale di scarto, studi hanno riabilitato il DNA non codificante, riconoscendogli importanti funzioni
Se si prendesse tutto il DNA contenuto in una singola cellula umana e lo si srotolasse, si otterrebbe un “filo” dell’incredibile lunghezza di oltre un metro e ottanta. Eppure, come quantificato nel 2003 dallo Human Genome Project, solo l’1-2% di esso è usato per codificare proteine, l’apparato biologico della vita.
Il restante 98%, costituito da DNA non codificante, è stato a lungo ritenuto inutile, geni estinti o danneggiati da mutazioni, tanto che nel 1972 il genetista Susumu Ohno famosamente lo definì “DNA spazzatura”.
Ma negli ultimi anni sempre più studi hanno dimostrato che alcune parti non sono affatto da buttare e anzi gran parte della risposta alla domanda: “Cos’è che ci rende umani?” potrebbe trovarsi proprio in questi presunti scarti.
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