Sto parlando del “Sessantotto” e della scia che si protrasse fino ad inizio anni ‘70, così lontano non solo per un’oggettiva questione temporale, ma anche per gli effetti oggi ormai sbiaditi, che ebbe sulla società e sulla vita democratica del nostro Paese; prima di effettuare un confronto con la situazione temporale, vediamo cosa è stato davvero il “Sessantotto”, aiutandoci con alcuni testi che ben presentano l’Italia del ‘900, come “Il Paese mancato” di Guido Crainz (edito Donzelli, 2003) e “Storia d’Italia dal dopoguerra ad oggi” di Paul Ginsborg (edito Einaudi, 1989). Testi che ho ripreso nel mio “Le stragi dimenticate” (edito Boopen, 2008).
Negli anni ’60 (in particolare nella seconda metà del decennio) in Italia si respirava, come del resto in diversi Paesi del Mondo, quel fermento sociale volto ad un cambiamento del sistema vigente, che si sviluppava in particolare nell’università e nelle grandi fabbriche. Tra il 1962 e il 1968 i governi di centro-sinistra erano falliti nel rispondere alle molteplici esigenze di un’Italia in rapido cambiamento. Avevano parlato di riforme, ma lasciando deluse quasi tutte le aspettative. Così, dal 1968, l’inerzia dei vertici fu sostituita dall’attivismo della base, facendo sorgere la più grande stagione di azione collettiva nella storia della nostra Repubblica. Tale epoca fu definita “la stagione dei movimenti” in quanto il protagonismo collettivo costituito dal movimento studentesco e dalle lotte operaie si propagò nella società italiana fino ad invaderla e plasmarla. Partiamo dal “Sessantotto studentesco”.
Esso ebbe inizio a Torino con l’occupazione del Palazzo Campana con manifestazioni che si svolsero dal novembre 1967 al gennaio ’68.
Le ragioni della protesta universitaria in Italia, ma anche in diverse parti del mondo, furono sia di carattere economico, in quanto in molti casi le tasse furono aumentate più della metà rispetto all’anno accademico precedente, dando così all’università una connotazione conservatrice ed elitaria, sia una protesta anti-autoritaria e generazionale, in quanto le università presentavano una struttura interna eccessivamente gerarchizzata. Protesta che successivamente si tinse di ideologia marxista nell’alleanza con gli operai, le cui lotte rifiorirono nella primavera del 1969.
Le lotte operaie, invece, ebbero 3 ragioni principali:
a) Non si era arrestata l’emigrazione interna dal Sud verso il Nord, malgrado un illusorio rallentamento del fenomeno nel biennio 1965-’66. Oltretutto, nonostante la ripresa economica successiva al ’66, non si crearono sufficienti posti di lavoro, per soddisfare le aspettative di tutti i nuovi immigrati. Nel 1967 il saldo migratorio pendeva infatti verso le 120 mila unità che dal Sud si erano spostate verso il Nord e tale saldo non scese sotto le 100 mila unità fino al 1974.
b) L’effetto duplice e di direzione inversa che aveva avuto l’aumento dell’istruzione, durante gli anni ’60: da una parte aveva tenuto fuori dalle fabbriche un crescente numero di giovani, accentuando così la rigidità dell’offerta in questo settore; dall’altra, ciò aveva consentito ai giovani che entravano in fabbrica di portare con sè una migliore base culturale e una maggiore consapevolezza rispetto alle generazioni operaie precedenti. Inoltre, ciò aveva creato una crepa, tra le nuove generazioni di operai e la base sindacale, in quanto quest’ultima era costituita per la maggior parte, da operai con una formazione culturale sicuramente inferiore.
c) La grande ristrutturazione, seguita alla crisi industriale del biennio 1964-’65, aveva portato ad una maggiore meccanicizzazione e ad un crescente aumento dei ritmi di lavoro.
Le lotte operaie avranno come risultato, a livelli di conquista, lo Statuto dei lavoratori, approvato dal Parlamento nel 1970, con cui erano tutelati i diritti costituzionali in fabbrica.
Nel marzo dello stesso anno si insediava al Governo uno scolorito centro-sinistra, guidato da Rumor, in cui lo PSI ebbe un ruolo molto limitato e che cadde a luglio. Ancor meno rilevante sarà l’esperienza del Governo guidato da Emilio Colombo. Di contro, fece registrare un aumento dei consensi il MSI guidato da Almirante, tant’è che si sarebbe arrivati ad un Governo di centro-destra alle elezioni del 7-8 maggio del 1972, che resterà in carica fino al giugno del 1973. Il PCI era rimasto fermo al 27,2%, la DC mantenne il 38,7%, mentre, come si è detto prima, chi aveva fatto registrare un crescendo era il MSI-DN (Destra Nazionale), che dopo aver assorbito il piccolo Partito Monarchico, aveva raggiunto l’8,7%, facendo registrare un raddoppio dei propri consensi rispetto al 1968.
Tuttavia anche questo Governo di centro-destra, guidato da Andreotti, si mostrò abbastanza fragile, cadendo nel giugno 1973. Si formò un Governo Rumor, costituito da DC, PSI, PRI e PSDI e la politica italiana ritornò praticamente a dieci anni prima.
In questi anni di immobilismo istituzionale, la società continuava ad essere in fermento, ed esso si fece consistente anche in alcuni settori istituzionali, quali la Magistratura, l’Esercito e il mondo dell’Informazione.
Nella Magistratura l’iniziativa fu soprattutto dei giudici più giovani, definiti ormai “pretori d’assalto”, che ebbero l’intento di rinnovare quelli che ormai sono dei codici risalenti al Fascismo e che tentano di ribaltare quello che è ormai un plurisecolare rapporto tra cittadini e autorità.
Nell’Esercito si era generato a partire dagli anni ’70, un contrasto tra le nuove esigenze dei giovani (obbligati al servizio di leva) e le strutture materiali e mentali delle caserme. Molti, infatti, furono gli scandali scaturiti da casi di soldati morti anche per una semplice febbre, di soldati con disturbi fisici a causa di malnutrizione o soldati protagonisti di disavventure giudiziarie a seguito di futili mancanze di rispetto verso superiori. Solo nel 1972 fu approvata la legge che riconobbe l’obiezione di coscienza e il servizio civile. Tuttavia, la protesta non venne solo dai soldati di leva, ma anche da chi ha gradi più alti, contro l’eccessivo conformismo cui sono sottoposti e un codice disciplinare eccessivamente rigido.
Trasformazioni investirono anche il mondo dell’Informazione, tra direttori contro la proprietà e i redattori contro i direttori. Nasce così la “controinformazione”, cioè la necessità di informare, non attenendosi solo alle “Fonti Ufficiali” (Governi, Prefetti e Questori). Un esempio lampante di questo cambiamento di tendenza è il “Corriere della sera” di Ottone, uno dei giornali più conservatori per antonomasia, che diventerà meno conformista.
Importanti furono infine anche i movimenti femministi, con le donne che recriminavano maggiori diritti per sé, come il diritto a costruire sì una famiglia ma a poter avere altresì una carriera professionale parallela; a non essere viste solo come “oggetto del desiderio” ma ad essere valutate e considerate in primis per le proprie capacità intellettive; ad avere il diritto di poter recedere dal proprio impegno coniugale qualora il rapporto con il coniuge non avesse più ragion d’essere; ad avere il diritto a scegliere se continuare o meno una gravidanza.
Bene, fatto un quadro sintetico di ciò che è stato il “‘68” (senza alcuna pretesa di essere ovviamente esaustivo), sappiamo come in quelle sfere della società e delle istituzioni “in fermento” sia andata a finire. Certo, tante questioni restarono irrisolte, ma tanti traguardi indiscutibilmente furono raggiunti: l’università divenne accessibile anche per gli studenti “meno abbienti”; i lavoratori ottennero il fatidico “Articolo 18”, Statuto dei lavoratori che ne prevedeva e difendeva i diritti; la Magistratura si rendeva indipendente dalla politica, superando quel codice di autoregolamentazione ancora risalente al periodo fascista e albertino; i soldati di leva furono maggiormente tutelati sotto le armi, con una graduale riduzione dei casi di “nonnismo” all’interno delle Caserme, ma soprattutto, l’istituzione dell’obiezione di coscienza per chi non aveva intenzione di espletare l’obbligo militare, rendendosi invece utile in senso civico; l’informazione divenne più libera, non ancorata solo alle “veline ufficiali” delle istituzioni ma formata soprattutto da giornalisti liberi di svolgere il proprio lavoro, fare cronaca, meno assoggettati ai direttori sebbene legati inevitabilmente alle idee politiche del proprio giornale essendo quegli anni di grande fermento e coinvolgimento politico; infine, le donne ottennero diritti quali l’aborto, il divorzio, qualche passo in avanti nel mondo del lavoro, andando pertanto oltre lo stereotipo esclusivo dell’ “angelo del focolare”.
Ora, non è difficile intuire come da qualche anno tali conquiste siano in serio pericolo, o, in alcuni casi, come siano state addirittura annullate. L’unico settore che sembra salvo è quello militare, poiché fondato su base volontaria, con aperture anche all’universo femminile.
L’università oggi, a furia di continui tagli di risorse, sta tornando ad essere un privilegio per pochi; con tanti che preferiscono iscriversi presso atenei esteri: inglesi, greci, rumeni, addirittura libici. Certo, è indubbio che proprio a partire dagli anni ’70, fiumi indiscriminati di fondi sono stati distribuiti tra le facoltà a prescindere dalla loro capacità di gestirli; tanti corsi di laurea “fantasmi” sono stati creati “ad hoc” per concedere una cattedra a questo o quell’altro docente, solo perché parente o amico del potente di turno; gli atenei venivano utilizzati più per procacciare voti e per mere lottizzazioni, anziché per il ruolo cui sono preposti;ricercatori tenuti sotto contratto per anni senza ottenere alcun risultato utile, o addirittura, senza neppure svolgerle quelle ricerche. Tuttavia, una stretta dovrebbe colpire davvero “i baroni” e chi ha ridotto il nostro sistema universitario così, e non i ceti medio-bassi, rischiando in questo modo un ulteriore nuovo strappo all’interno del nostro tessuto sociale, rendendo ancor di più “immobile” la nostra società, ovvero chi nasce in una famiglia contadina morirà tale, chi nasce in una famiglia operaia morirà tale; insomma, se nasci povero non hai possibilità di migliorare nel proseguo della tua vita.
Per quanto riguarda i lavoratori, è sotto gli occhi di tutti la graduale riduzione dei loro diritti, con la possibilità, sempre dietro l’angolo, di essere licenziati; con regole quali orari giornalieri, ferie, turnazioni, diritto alla pensione, sempre più un optional e flessibili. Per non parlare della durata dei contratti, ormai sistematicamente breve, al punto da non concedere ad un lavoratore giovane la possibilità di programmare il proprio futuro. Punto di non ritorno in tal senso pare essere l’accordo firmato dai sindacati per la produzione della Fiat Panda a Pomigliano d’Arco; un contratto già di per sé sconveniente per i dipendenti, e addirittura ritenuto quasi insoddisfacente per i dirigenti Fiat.
In riferimento alla Magistratura invece, sappiamo come il Parlamento sia in affannoso lavoro per ridurne gli strumenti investigativi, e cosa ancor più grave, riportarla sotto il controllo della politica, com’era durante il Fascismo. Tali intenzioni sono evidenti in provvedimenti riguardanti ad esempio le intercettazioni, i tempi previsti per la prescrizione di un reato, le immunità per le cariche istituzionali, la riforma del Csm…
I media sono tornati di nuovo sotto attacco e ciò si denota palesemente nella legge definita “bavaglio”, ma anche nel pesante controllo politico sulle emittenti pubbliche della Rai. La stampa è sempre meno libera, con i giornalisti costretti sempre più al ruolo di “lacchè” per fare carriera; non si tratta di puro coinvolgimento politico come accadeva negli anni ’70, ma di mero istinto alla sopravvivenza.
Per ultimo, ma non per ultimo, il ruolo delle donne nella società e nella politica. Ciò a cui si assiste negli ultimi anni, pare riportarci indietro agli anni precedenti quelli a cavallo tra i ’60 e i ’70 del secolo scorso. Le donne stanno ritornando ad essere viste soprattutto come oggetto, e ciò in modo evidente in Tv con una marea di programmi che le riprendono mezze nude o che corteggiano uomini seduti su un trono; ma anche in politica, dove sono sovente scelte più perché fotogeniche o telegeniche, che per la propria capacità intellettiva.
Questa degenerazione relativa ai diritti e ai valori è stata indiscutibilmente accelerata in Italia da chi ci ha governato negli ultimi venticinque anni, allontanando gradualmente le persone dall’interesse di preservare e migliorare ciò che le riguarda direttamente, nella propria sfera privata e sociale; pertanto, senza farle nemmeno rendere conto che tali diritti li stanno progressivamente perdendo, e quindi, svuotandole di ogni stimolo per difenderli.
Non a caso, Pierpaolo Pasolini era diffidente verso i promotori del ’68, perché loro stessi figli di borghesi, quindi avrebbero costruito una nuova società anch’essa poggiante su valori borghesi; e visto quale società hanno costruito negli anni successivi per i propri figli, in cui domina l’egoismo, l’edonismo, l’individualismo, il menefreghismo, non aveva torto…
Ecco le sue parole, come sempre, di un’agghiacciante lungimiranza (tratte dalla poesia “Il P.C.I. ai giovani!!”):
«Ho passato la vita a odiare i vecchi borghesi moralisti, e adesso, precocemente devo odiare anche i loro figli. La borghesia si schiera sulle barricate contro se stessa, i “figli di papà” si rivoltano contro i “papà. La meta degli studenti non è più la Rivoluzione ma la guerra civile. Sono dei borghesi rimasti tali e quali come i loro padri, hanno un senso legalitario della vita, sono profondamente conformisti. Per noi nati con l’idea della Rivoluzione sarebbe dignitoso rimanere attaccati a questo ideale.»