Coronavirus, la strage di anziani nelle RSA: i numeri e le responsabilità

DATA ULTIMO AGGIORNAMENTO: 3 Novembre 2020

Dopo quasi trent’anni, la Rsa Pio Albergo Trivulzio di Milano è tornato ai disonori delle cronache.

Il 17 febbraio 1992, infatti, l’allora Pm Antonio Di Pietro chiese e ottenne dal GIP Italo Ghitti un ordine di cattura per l’ingegner Mario Chiesa, presidente del Pio Albergo Trivulzio e membro di primo piano del PSI milanese. Chiesa venne colto in flagrante mentre accettava una tangente di sette milioni di lire dall’imprenditore Luca Magni, che gestiva una piccola società di pulizie e che voleva assicurarsi la vittoria nell’appalto per le pulizie dell’ospizio.

Una cifra irrisoria, che rappresentò la punta di un iceberg enorme. Come poi svelò l’inchiesta di Mani pulite. Craxi liquidò inizialmente la questione definendo Mario Chiesa semplicemente “un mariuolo”. Tra l’altro, il 31 marzo 2009, Mario Chiesa fu arrestato di nuovo. Con l’accusa di essere stato il collettore delle tangenti nella gestione del traffico illecito di rifiuti nella Regione Lombardia.

Oggi invece, il Pio Albergo Trivulzio è sottoposto ad indagine per i 143 anziani morti in queste settimane per Coronavirus. Morti causate, come vedremo di seguito anche altrove, dal trasferimento di contagiati negli ospizi (chiamati RSA), evidentemente senza le dovute precauzioni auspicate dalla regione lombarda nella delibera. Al fine di alleggerire il carico pendente sugli ospedali.

L’accusa principale che le indagini rivolgono al Pio Albergo Trivulzio e ad altre strutture, di non aver rispettato i protocolli sanitari di sicurezza e di aver così “messo in pericolo” la salute degli operatori e degli ospiti. Ma anche di aver causato con “negligenza, imprudenza ed imperizia” le morti degli anziani.

Vediamo di seguito i numeri di una strage nazionale di [sta_anchor id=”anziani”]anziani[/sta_anchor].

La denuncia dello stato delle Rsa italiane già nel 2019

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Come riporta Il Messaggero, appena un anno fa veniva fotografato dai carabinieri un sistema fragile, le cui contraddizioni sarebbero scoppiate durante la prima tempesta.

Si scopre dai dati presentati dall’Arma che quasi un terzo delle strutture controllate l’anno scorso, in totale 2.716, presentava irregolarità. I primi mesi del 2020 non hanno certo rappresentato una svolta.

Su 918 centri per anziani controllati 183 presentavano le più disparate irregolarità: la mancanza di figure professionali adeguate alle necessità degli ospiti, la presenza di un numero superiore di anziani rispetto al limite previsto, l’uso di spazi e stanze inferiori a quelle minime da utilizzare, la mancata assistenza e custodia dei pazienti, l’esercizio abusivo della professione sanitaria, l’uso di false attestazioni di possesso di autorizzazione all’esercizio e di titoli professionali validi.

Tradotto in numeri: 172 persone denunciate. Ma il dato che fa più riflettere è il numero di case di riposo per cui è stata imposta la chiusura, 25. I motivi per i quali si è deciso di apporre i sigilli sono sostanzialmente due: ambienti deficitari in materia sanitaria ed edilizia oppure strutture abusive.

È il caso di una casa di riposo a Fonte Nuova, ad est della Capitale, senza uno straccio di autorizzazione. Quattordici anziani divisi in due palazzine. Una accanto all’altra. Un potenziale focolaio per il Coronavirus.

Ad accertare le irregolarità gestionali delle strutture socio-assistenziali per la terza età e provvedere alla chiusura e al ricollocamento dei pazienti, lo scorso tre marzo, sono stati i carabinieri del Nas di Roma guidati dal comandante Maurizio Santori.

A Reggio Calabria il 15 febbraio è stata chiusa una struttura illegale che ospitava 14 anziani.

A Taranto sono stati messi i sigilli a una casa di riposo che ospitava pazienti affetti da patologie psico fisiche, ma non aveva né personale né impianti qualificati per quel tipo di assistenza. Un copione simile è andato in scena a Campobasso.

In Umbria gli investigatori hanno scoperto che in 5 diverse case di riposo erano ospitati anziani invalidi. Nella documentazione medica si sosteneva il contrario. Un modo per aggirare le autorizzazioni regionali e ridurre così il personale qualificato per l’assistenza ed infine incassare più soldi.

I Nas di Udine sono invece intervenuti in una struttura in cui i 21 ospiti erano tutti positivi al Covid-19. La casa di riposo presentava gravi carenze organizzative, per questo è stata chiusa. I pazienti sono stati tutti trasferiti.

La strage di anziani nelle Rsa in Lombardia

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Come riporta Contropiano, ci sono delle delibere regionali – atti ufficiali votati, firmati e protocollati – che “chiedono” alle Rsa lombarde (le “case di riposo”) di accogliere un po’ di contagiati da coronavirus poco gravi, in modo da decongestionare gli ospedali nel momento più drammatico dell’emergenza.

I Fontana ed i Gallera (presidente e assessore specifico, per la Lombardia) si sono difesi dicendo che era appunto solo una “richiesta”, precisando che in caso di accoglimento andavano quei contagiati avrebbero dovuto essere ospitati in reparti separati, con personale “dedicato”.

Ma sono certamente chiare due cose: se chi ti “chiede” di fare una certa cosa è anche il soggetto che contribuisce per il 30% al tuo bilancio, quello è un ordine emanato in forma “educata”. In secondo luogo, una volta che qualche decina di contagiati viene fatto entrare in una struttura non ospedaliera – quindi organizzata per “assistere”, non per “curare in condizioni di bioconfinamento” (neanche gli ospedali lo erano, come si è visto) – la diffusione del virus è una certezza, non un’eventualità remota.

Fare questa scelta criminale – mettere contagiati “in prossimità” anziani non autosufficienti, oltretutto quando già era noto che questa era la fascia di età “privilegiata” dal virus – poteva venire in testa soltanto a chi inquadra i problemi dal punto di vista finanziario o dei costi, come se i corpi fossero pacchi nella logistica. “Un cerino acceso in un pagliaio”, ha sentenziato un virologo.

Quindi abbiamo di certo un fattore politico determinante (la delibera della Regione guidata dalla Lega) e una lunga serie di atti amministrativi e contabili facilmente esaminabili: cartelle cliniche con data di ingresso nella struttura, diagnosi, medicinali somministrati, dati aggiornati sull’evoluzione del paziente, data di dimissione o di avvenuto decesso.

E siccome stiamo parlando di almeno 300 morti, soltanto per quanto riguarda “la Baggina” e il Don Gnocchi (l’inchiesta riguarda molte altre Rsa), l’ipotesi di reato su cui sta lavorando la Procura appare addirittura “alleggerita”: omicidio e procurata epidemia.

Sarebbe del resto un controsenso se l’art. 452 del codice penale non venisse contestato ad una autorità pubblica mentre invece lo è – e giustamente – nei confronti di chiesce dalla quarantena pur senza essere definitivamente guarito.

Il direttore aggiunto dell’Oms, Ranieri Guerra, è stato infatti un po’ più severo, definendolo “massacro”.

Nel frattempo è giunta a conclusione anche l’ispezione interna ordinata dal ministero della Salute, e la sottosegretaria Zampa ha anticipato quel che dirà nel pomeriggio, come risposta a varie interrogazioni parlamentari sul caso Lombardia.

Erano state date disposizioni a tutti di non far entrare possibili contagiati. Invece così è avvenuto. Il virus non vola nell’aria, qualcuno deve averlo portato. Bisogna verificare se sono stati fatti tutti i controlli possibili. Le disposizioni erano valide per tutti, non solo per la Lombardia. Sia l’Istituto Superiore di Sanità che una circolare del Ministero imponevano di controllare l’ingresso di possibili casi positivi. Invece lì c’è stato un numero di decessi anomalo, molto alto. Si tratta di una materia molto delicata”.

E sotto accusa è proprio il “modello” della sanità lombarda. Non solo per quanto riguarda lo squilibrato rapporto tra pubblico e privato (un record), ma soprattutto come “sistema organizzativo” in quanto tale. L’accusa del vicepresidente dell’Oms, Ranieri Guerra, è precisa e circostanziata:

Bisogna pensare alla riorganizzazione territoriale del sistema sanitario. Quello che non ha funzionato in Lombardia e invece sì in Veneto”

Sotto esame sono 30 anni di governo della destra che, per favorire I privati e ritagliare spazi di spesa pubblica da regalare loro, ha puntato tutto sull’assistenza ospedaliera, anziché su quella territoriale:

La Lombardia ha fatto dell’eccellenza ospedaliera una bandiera in tutto il mondo, ma si è scoperta quasi totalmente sguarnita dal punto di vista dell’assistenza sul territorio. E se la prima può permettere a un sistema di reggere sul fronte della cura, non può fare altrettanto sul fronte della prevenzione”.

La prevenzione – come sa qualsiasi medico, ma non i “manager bocconiani” né quelli auto-s/formati – richiede una presenza capillare sul territorio di medici di base, in grado di “fare filtro” e segnalare per tempo la diffusione di patologie inconsuete nella popolazione che hanno sotto esame. Servono insomma, dice Guerra,

medici di base competenti, rapporti continui tra medici e aziende sanitarie, una mappatura dettagliata dei contagi, il contenimento immediato dei nuovi focolai in massimo 24 ore, la diagnostica a domicilio“

L’esatto contrario della “visione leghista”, esposta con la consueta sicumera, dal “numero 2” di via Bellerio (in realtà, molti lo ritengono l’unica vera “testa pensante”, da quelle parti). Solo nove mesi fa, al Meeting di Comunione e Liberazione, se ne uscì così:

Nei prossimi cinque anni mancheranno 45mila medici di base. È vero; ma chi va più dal medico di base, senza offesa per i professionisti qui presenti? Nel mio piccolo paese vanno a farsi fare la ricetta medica, ma chi ha meno di cinquant’anni va su Internet e cerca lo specialista. Il mondo in cui ci si fidava del medico è finito“.

Un’affermazione che può essere tranquillamente bombardata con lo slogan suicida consigliato ad Attilio Fontana: “La Lombardia parla con i fatti”.

11,377 morti, il 50% di tutti i decessi ufficiali in Italia, sono un “fatto” che inchioda la più vergognosa classe politica che questo Paese abbia mai partorito.

Avevo parlato della situazione critica della sanità lombarda in questo articolo, già denunciata nel 2018.

C’è qualcuno che definisce la Lombardia “la Baviera” d’Italia. Forse riferendosi alla bava che hanno di far soldi su anziani e malati.

La strage di anziani nelle Rsa toscane

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Come riporta Il Giornale, dopo l’ecatombe milanese la minaccia arriva anche in Toscana, dove oggi sono 149 i morti nelle case di cura e più di mille i contagi.

Numeri, distribuiti su tutta la Regione, che conta 332 Rsa attive su tutto il territorio. Dai primi di marzo la Regione si era aggiornata con nuove disposizioni, sulla base dei decreti nazionali. Tutto blindato. Era questa la regola numero uno. I dirigenti delle case di cura hanno dovuto sbarrare le porte anche ad amici e parenti. Lasciando gli anziani spaesati e chiusi nei loro centri comuni in attesa di rivedere le persone che amano. Persone che qualcuno non è più riuscito a vedere.

Eppure, quella sembrava l’unica soluzione per proteggere la vita dei pazienti, ma qualcosa dev’essere andato storto. A metà marzo, i primi casi. Una donna muore nella casa di riposo di Comeana, a Prato, dopo giorni di isolamento e agonia. Con lei inizia la strage silenziosa della casa di cura nel pratese.

Sei ospiti morti, altri 17 anziani contagiati, 15 operatori positivi al tampone. Una catena di contagi inarrestabile. Tanto da far scattare la prima indagine penale in Toscana. Gli anziani ospiti nella Rsa non superavano la trentina. Più della metà, ha contratto il virus.

Adesso, sarà la procura a stabilire cosa possa aver portato al dramma, con un’inchiesta sul mancato contenimento della diffusione del contagio del coronavirus.

Ecco la mappa del contagio da Covid-19 nelle Rsa toscane elaborata dal giornale milanese:

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Questo invece il grafico:

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In una Rsa di Bucine, nell’aretino sono 17 gli operatori contagiati, 24 i pazienti affetti da coronavirus e già si contano 10 decessi. In una struttura di Montevarchi, sempre in provincia di Arezzo, sono arrivati a 40 i positivi, 3 gli ospiti che hanno perso la vita.

Preoccupante anche la situazione all’interno della casa di risposo di Sarteano, nel senese, dove in 41 sono risultati positivi al tampone e il virus ha già fatto 7 vittime. A Gambassi Terme l’apice, 32 anziani su 35 hanno contratto il coronavirus.

È nelle zone tra Lucca, Pisa e Livorno che il dramma si fa ancora più grande. Secondo i dati dell’ASL Nord Ovest, sarebbero 63 i decessi solo in quella zona che rischiano di aumentare considerati i 411 tamponi positivi.

Uomini e donne che, a loro insaputa, per giorni sono stati una minaccia per chi viveva sotto il loro stesso tetto. Tanto che, adesso, molte strutture sono state costrette a spostare i propri pazienti sani per allontanare il rischio contagio e attrezzare l’intera struttura per la cura dei malati Covid.

Ma la lotta silenziosa degli anziani al virus potrebbe essere iniziata molto prima. Quando ancora il numero dei casi di Covid19 accertati era molto ridotto considerato il basso numero di tamponi effettuati. Quando ancora il coronavirus veniva scambiato per un’influenza. Confermerebbe quest’ipotesi un rapporto dell’Istituto Superiore di Sanità effettuato attraverso un questionario, al quale hanno risposto 60 rsa della regione su 82 prese a campione.

Secondo i dati del “Survey nazionale sul contagio Covid-19 nelle strutture residenziali e sociosanitarie” dall’inizio dell’emergenza nelle rsa della Toscana sono morte 331 persone. Di queste, circa un terzo (101), presentavano sintomi compatibili con il coronavirus.

Sempre considerando le sole 60 strutture su 332. Dati che porterebbero la Toscana al quarto posto tra le regioni più colpite per quanto riguarda le residenze sanitarie, dietro a Lombardia (934), Emilia Romagna (176) e Veneto (125).

Rischio contagi anche nelle strutture per diversamente abili

Un pericolo che rischia di allargarsi anche alle Residenze sanitarie per disabili. Si tratta di un «nuovo fronte dimenticato di diffusione del SarsCov2», accusa il presidente della Associazione nazionale famiglie di disabili intellettivi (Anffas) Roberto Speziale:

«In 17 delle Rsd che fanno capo all’Anffas (su un totale di 156) ci sono importanti focolai, con 57 soggetti disabili e 52 operatori contagiati, e 5 decessi tra gli ospiti».

È «grave che ad oggi non sia stato fatto un censimento – afferma Speziale – come per le Rsa per anziani».

E proprio il 31 marzo carabinieri e l’Asl, dopo aver riscontrato carenze igienico sanitarie e strutturali, hanno disposto la chiusura di una struttura Rsd a Giugliano, in provincia di Napoli.

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Una risposta a “Coronavirus, la strage di anziani nelle RSA: i numeri e le responsabilità”

  1. Sono quasi certo che l’interazione tra vaccino antinfluenzale e Covid19 è il vero motore della “strage” di anziani nel nord Italia (e non solo): in fondo la famiglia dei virus è la stessa (coronavirus), e le categorie colpite (anziani, medici ecc…) sono proprio quelle sottoposte a massicce campagne di vaccinazione. La interessante controprova sarebbe la seguente: quanti tra i casi inspiegabili (giovani sani e senza altre patologie) erano stati vaccinati questo inverno? Sappiate che si muore per la “tempesta di citochine” (ipercitochinemia, la violentissima e spropositata reazione immunitaria che in alcuni soggetti viene provocata dall’esposizione al Covid19), non per il virus di per se… Per contro, non sapremo mai quanti morti avrebbe provocato la “normale” influenza, a meno che la normale influenza quest’anno non sia proprio il Covid 19, e nessuno si curi di dircelo.

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