Coronavirus, Federico II di Napoli scopre sostanza che lo blocca: i dettagli

DATA ULTIMO AGGIORNAMENTO: 3 Novembre 2020

Napoli è l’ultima speranza che ha l’umanità di salvarsi, diceva il grande Luciano De Crescenzo. Ed in effetti, ce ne siamo accorti anche durante questi mesi. Quando da Napoli sono arrivate soluzioni importanti.

Il tutto, malgrado i media abbiano messo in moto la solita macchina del fango. Cercando in tutti i modi di far passare la città partenopea come lassiva, menefreghista, approssimativa (qui una carrellata). Il tutto, per nascondere i gravi errori che sono stati compiuti in Lombardia.

Tornando al Coronavirus e a Napoli, la Federico II della città partenopea (per inciso, la prima Università statale laica in Europa), ha ideato un modo per bloccare l’ingresso del Covid-19 nell’essere umano. Ecco di cosa si tratta.

Scoperta Federico II per bloccare Coronavirus

coronavirus cellule federico II

Come riporta Il Mattino, i ricercatori dell’Università Federico II di Napoli e dell’Università di Perugia, hanno individuato una sostanza naturale già presente nel corpo, in grado di bloccare «l’attacco» del Sars-Cov2.

I ricercatori hanno identificato molecole endogene in grado di impedire l’ingresso del virus nelle cellule umane. Le molecole sono di natura steroidea e alcune di esse sono degli acidi biliari, ovvero sostanze prodotte nel fegato e nell’intestino dal metabolismo del colesterolo. Ed in grado di fermare l’infezione quando la carica virale non è elevatissima.

Ecco come funziona secondo Angela Zampella, direttrice del dipartimento di Farmacia dell’Università di Napoli Federico II:

È una sostanza già presente nell’organismo che blocca l’entrata del virus nella cellule

È una sostanza del tutto naturale presente anche in alimenti come la liquirizia e l’olio d’oliva e «agisce con lo stesso meccanismo». Una scoperta che spiana la strada a una diversa prevenzione anche perché, come fa sapere Zampella, «funziona quando la carica del virus non è elevatissima».

Lo studio, in fase di pre-print, ha combinato approcci computazionali del gruppo del dottor Bruno Catalanotti, di chimica sintetica, professoressa Angela Zampella, e di biologia molecolare della dottoressa Adriana Carino del gruppo guidato dal professore Stefano Fiorucci. Coinvolgendo pure i gruppi della microbiologia e delle malattie infettive dell’Università di Perugia.

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