Esse provocano la creazione di un tracciato di attivazione neuronale, che se viene replicato molte volte, finisce per creare l’ engramma.
Una volta emessi i suoni, essendo onde meccaniche viaggiano nel mezzo in cui si propagano che normalmente è l’aria atmosferica, a circa 331 metri al secondo.
Questa velocità dipende dalla densità del mezzo ed è tanto maggiore quanto più questo è denso, come un corpo solido o liquido, e la cui ampiezza dipende dall’energia che esso genera in base alle sue caratteristiche intrinseche.
L’intensità infine dipende dalla capacità dell’oggetto da cui origina il suono ed è ovviamente maggiore nei buoni conduttori energetici, come possono essere i metalli, ma pessimo in alcuni materiali che vengono usati come insonorizzanti, composti di materie plastiche o gommose che oltre tutto sono cattivi conduttori anche di altre forme di energia come la corrente elettrica o il calore.
Restando comunque nel campo delle onde acustiche in grado di stimolare normalmente il nostro timpano, queste viaggiano nell’aria dove trasmettono l’energia che le ha generate alle molecole di azoto e ossigeno, perdendo mano a mano una parte della stessa fino a disperdersi ed essere indistinguibili dal rumore di fondo ambientale.
Ciò ci fa anche comprendere come nello spazio, dove la densità della materia è pressoché nulla, le onde sonore non si propagano affatto, e non risultano quindi udibili se non catturate da protesi sonore e rese quindi udibili dal nostro sensorio.
Le onde pertanto hanno vita breve e devono essere replicate in continuazione per essere captate da una sorgente emittente fino alla loro destinazione finale, i neuroni del lobo temporale dove ha sede ultima il nervo otico che le conduce.
Come gli esseri umani percepiscono le onde sonore
Esse, come del resto qualsiasi genere di percezione sensoriale, provocano la creazione di un tracciato di attivazione neuronale, che se viene replicato molte volte, finisce per creare l’ engramma, un percorso facilitato che replica in modo quasi automatico le cose che ascoltiamo di più, come le voci delle persone, a cominciare da quelle genitoriali e parentali in genere, la lingua che ci viene insegnata con tutte le sue regole grammaticali, gli studi scolastici, la musica che ascoltiamo etc etc, ovvero tutta quella serie di suoni più facilmente riconoscibili nell’ambiente che frequentiamo e che ci appaiono più familiari.
I latini dicevano che “repetita iuvant” proprio perché, sebbene non fossero minimamente a conoscenze dei meccanismi fisiologici della memoria, sapevano empiricamente che tutto ciò che si ascoltava ad alta voce, aveva maggiori possibilità poi di essere replicato con successo.
Oggi sappiamo anche il perché di questo fenomeno con la recente scoperta tutta italiana dei neuroni a specchio, quegli engrammi bidirezionali in grado di replicare tutte le percezioni sensoriali, in modo maggiore per quelle visive e sonore, che col tempo aumentano tramite un maggior numero di connessioni sinaptiche fra i neuroni, stabilizzate dall’esercizio di trasmissione dei neurotrasmettitori, il cui numero è influenzato proprio dall’uso che se ne fa.
Ecco quindi che lo studio, la memorizzazione e la duplicazione degli insegnamenti ricevuti, diventa fondamentale per le capacità personali e che l’abilità dipenda anche da questo, oltre che da caratteristiche intrinseche del soggetto che chiamiamo talento, che corrisponde in realtà proprio dal numero dei neuroni coinvolti in questi meccanismi e dalle loro connessioni.
Ricevi le news via Mail (controlla anche in Spam) o su Telegram:
Iscriviti alla nostra Newsletter