CITTA’ METROPOLITANE, DI MALE IN PEGGIO: SONO PROVINCE NEPPURE GESTITE DAL POPOLO
L’ORDINAMENTO GIURIDICO LE PREVEDE DAL 1990 MA NEI FATTI NON SONO MAI ENTRATE A REGIME. ORA SONO DIVENTATE REALTA’ COL DDL DELRIO
Città Metropolitane, queste sconosciute. In pochi ne conoscono il funzionamento e sanno di cosa si tratti realmente. Lo slogan del Governo Letta che le ha elaborate lo scorso anno e del Governo Renzi che le ha introdotte come primo provvedimento (qui già ne indicavo le perplessità), è stato quello che diceva di aver soppresso le Province. In realtà è cambiato poco, perché le Città metropolitane ne assumono le funzioni e, cosa peggiore, non siamo neppure noi elettori a scegliere chi li gestisce; ma è la stessa Casta mediante i rappresentanti degli Enti locali. Vediamone la storia e come funzionano.
ORIGINI– L’etimologia della parola dal Greco antico (mḗtēr (μήτηρ), che significa madre, in combinazione con pólis (πόλις), città) aiuta a descriverne le caratteristiche. Così i coloni greci disseminati nel Mediterraneo e nell’Egeo chiamavano la Città d’origine, con cui rimanevano saldi i contatti economici, politici e culturali; il “nodo principale della rete” (si potrebbe dire oggi) anche quando le nuove città a loro volta inziarono a diventare basi di partenza per altre imprese colonizzatrici.
L’uso della parola non è cambiato poi tanto visto che oggi con città metropolitana si indica in generale una ampia area urbanizzata e densamente popolata, costituita da un centro, la città principale, e da una serie di aggregati urbani e di insediamenti produttivi che si relazionano in maniera intensa e permenente con il centro. Il rapporto con la città principale permette di sviluppare anche rapporti secondari tra le realtà urbane e produttive che vi “ruotano” attorno, con il rafforzamento di specializzazioni e complementarietà.
Dietro questa definizione generale, le città metropolitane possono differire in molteplici aspetti, sia sul fronte dei vincoli e dei problemi con cui misurarsi, sia su quello delle potenzialità. Anche lungo la dimensione dell’innovatività esistono ampie differenze che, con una rozza semplificazione, possono essere riassunte nella distinzione tra città metropolitane la cui costituzione è stata sollecitata principalmente per il contenimento di problemi incipienti (demografia, sicurezza, esternalità negative), e città metropolitane nate come assetto migliore per catalizzare innovazione e coordinare sviluppo economico e qualità sociale.
L’APPRODO IN ITALIA – Veniamo all’Italia. Ritornata alla ribalta con il Ddl “Delrio”, l’idea della città metropolitana è tutt’altro che nuova per il nostro paese, anche se non ha mai ricevuto piena operatività. Se ne parla dal 1990, quando la L. n. 142 introdusse per la prima volta due livelli per l’amministrazione locale: la città metropolitana e i comuni.
Quella legge individuò anche gli organi di governo della città metropolitana (consiglio, giunta e sindaco metropolitano) e le funzioni, fra cui: pianificazione territoriale; viabilità, traffico e trasporti; tutela e valorizzazione dei beni culturali e dell’ambiente; trattamento e smaltimento dei rifiuti; servizi di area vasta nei settori della sanità, della scuola e delle formazione professionale.
La stessa legge indicava come metropolitane le aree di Roma, Milano, Genova, Napoli, Torino, Bologna, Firenze, Venezia, Bari. A queste, le Regioni a Statuto Speciale proposero di aggiungere Trieste, Cagliari, Palermo, Messina, Catania. A distanza di anni, la L. n. 42 del 2009 aggiunse alla lista anche Reggio Calabria, per un totale di 15 città metropolitane.
Seguirono anni di tentivi di velocizzare il processo di formazione delle città metropolitane e di assegnar loro effettive potestà (L. n. 436 del 1993, L. n. 265 del 1999), senza però riuscire a raggiungere risultati concreti. In particolare, la scelta di rimettere l’individuazione del perimetro delle città metropolitane ai Comuni coinvolti, con successivo referendum rivolto ai residenti, introdusse una fase di contrattazione troppo ampia e senza “paletti”, destinata ad arenarsi da sola.
Un po’ sconnesso dal processo legislativo avvenuto sino ad allora, sopraggiunse il D. Lgs. n. 267 del 2000 di approvazione del Tuel – Testo Unico Enti Locali. Gli articoli 22 e 23 del Tuel erano dedicati alle Aree Metropolitane e alle Città Metropolitane (definizioni, modalità istitutive e finalità), poi abrogati dodici anni dopo.
Dopo l’approvazione del Tuel si arriva alla fatidica rifoma del Titolo V (L. C. n. 3 del 2001), con la quale arriva la legittimazione costituzionale delle città metropolitane (novellato art. 114 della Costituzione) che le dotava di autonomia tributaria e impositiva.
Oggi il nuovo Titolo V è lungi dall’essere attuato, nonostante i fermenti “federalisti” che hanno caratterizzato gli ultimi 10-15 anni. La L. n. 42 del 2009, di delega al Governo per la realizzazione del Titolo V, ha toccato anche le città metropolitane e, in via transitoria e in attesa di un intervento più organico, ha riscritto la disciplina per la loro istituzione. Tuttavia, invece di dare concretezza alla normazione, la legge si è espressa in maniera ancor più generica e astratta dei precedenti tentativi: le città metropolitane potevano essere istitute, su base facoltativa, con proposta del Comune capoluogo in coordinamento con la Provincia, o del Comune capoluogo in coordinamento con un sufficiente numero di comuni, o della Provincia sempre in coordinamento con un sufficiente numero di Comuni.
Si giunge così quasi ai giorni nostri, con le previsioni sulle Città Metropolitane della L. 42 del 2009 abrogate dalla spending review del Governo “Monti” (L. n. 135 del 2012) che, contestualmente, sostituiva, a partire dal 1° Gennaio 2014, dieci Province con altrettante Città Metropolitane. La sentenza della Corte Costituzionale n. 220 del 2013 ha fatto poi decadere le previsioni di questa parte della spending review.
L’INTRODUZIONE MEDIANTE DDL DELRIO– Il lungo e dubbioso rapporto dell’Italia con le Città Metropolitane, inziato nel 1990, ha il suo atto più recente nel Ddl presentato il 20 Agosto del 2013 dal Governo “Letta” (cosiddetta riforma “Delrio”) e trasformato nella L. n. 56 ad inizio Aprile 2014 (uno dei primi interventi el Governo Renzi). Le Città Metropolitane coinvolte dalla L. n. 56. sono Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari, Napoli e Reggio Calabria, cui potranno aggiungersi altre città metropolitane adottate dalle Regioni a Statuto Speciale Sardegna, Sicilia e Friuli Venezia Giulia. All’elenco c’è da aggiungere ovviamente anche Roma, per la quale le misure di “Roma Capitale” si sovrappongono a quelle che deriverebbero dalla Città Metropolitana (un quadro chiaro di integrazione dei due ordinamenti non appare ancora pronto, tant’è che Roma non è citata al comma 5 dell’articolo 1).
Secondo la nuova legge, le città metropolitane perseguono le seguenti finalità istituzionali generali: cura dello sviluppo strategico del territorio metropolitano; promozione e gestione integrata dei servizi, delle infrastrutture e delle reti di comunicazione; cura delle relazioni istituzionali afferenti al proprio livello, ivi comprese quelle con le città e le aree metropolitane europee (comma 2, articolo 1).
Inoltre, a partire dal 1° Gennaio 2015 subentreranno alle omonime Province, rilevandone tutte le funzioni. In particolare, dovranno (comma 44, articolo 1): adottare e aggiornare il piano startegico metropolitano; curare la pianificazione territoriale in termini di infrastrutture, reti di servizi e comunicazioni; sviluppare gestioni coordinate dei servizi pubblici; sviluppare sistemi e strutture per la mobilità e la viabilità, coordinando la pianificazione urbanistica; promuovere lo sviluppo economico e sociale; sviluppare sistemi di informatizzazione e digitalizzazione.
Questo elenco di ambiti e categorie non è molto diverso da quello da cui si è partiti nel 1990 anzi, quell’elenco appariva anche più ampio includendo servizi nei settori della sanità, della scuola e delle formazione professionale, oltre alla valorizzazione del patrimonio culturale e ambientale. Soprattutto, un elenco di ambiti e categorie che, a meno di variazioni terminologiche e interpretative, non appare molto diverso da quello sinora previsto per le “ordinarie” Province dal combinato disposto del Tuel – Testo Unico Enti Locali e del D. Lgs. 118 del 1998.
CRITICITA’ – In questa prospettiva, quello che sembra sinora mancato non sono tanto le basi legislative ordinarie o l’ampiezza delle generali sfere di competenza, sulle quali si sta “facendo e disfacendo” dal 1990 e che restano grossomodo quelle delle “ordinarie” Province. A mancare è stata piuttosto l’incisività del ruolo di coordinamento della Provincia sul suo territorio, la profondità dell’azione, che però non può arrivare da modifiche nominalistiche o dell’Ente che ne assume la funzione e la responsabilità o degli elenchi delle azioni da portare avanti.
È difficile che l’incisività sinora inesistente possa arrivare dalle città metropolitane istituite col “Delrio”. Oltretutto, ci vorrà tempo per redigere e adottare gli Statuti delle città metropolitane, per insediare gli Organi (Sindaco Metropolitano e Consiglio Metropolitano), per decidere sui casi di Comuni che si avvalessero del comma primo dell’articolo 133 della Costituzione (modifica dei limiti provinciali e istituzione di nuove Province), o per valutare i casi di Comuni che decidessero di associarsi per “contrattare” meglio con la città metropolitana.
I dubbi di fondo restano quelli già segnalati nel precedente commento comparso su Link Tank. E se invece si abolissero le Regioni e si rinforzassero le attuali (pre “Delrio”) Province? Il coordinamento territoriale, anche se più urgente nei 15 casi rientranti nel “Delrio”, è importante dovunque. Se in quei 15 casi la rilevanza viene dal fatto che si tratta di aree già sviluppate, popolose e trainanti sul piano economico, per gli altri casi gettare basi migliori di programmazione e coordinamento territoriale è una leva per lo sviluppo economico-sociale che deve arrivare in futuro. Che cosa succederà, fatte queste 15 città metropolitane, a tutto il resto dei territori? Il livello di governo regionale è troppo ampio per farsi carico di coordinare la politica economica sui territori, soprattutto in un Paese come l’Italia che anche all’interno delle singole Regioni contiene ampie eterogeneità sotto più dimensioni. Le Province potrebbero, invece, essere il giusto mesolivello tra lo Stato nazionale e i Comuni in un Paese con le caratteristiche dell’Italia.
Può apparire sgradevole invocare la modifica di una legge appena democraticamente approvata. Tuttavia, sia ha la forte sensazione che le innovazioni istituzionali che si stanno gettando non siano state sufficientemente investigate. Siccome queste innovazioni costituiranno la premessa per la nuova riforma del Titolo V della Costituzione, vale sicuramente la pena tenere alto il ritmo del dibattito non dando nulla per scontato e acquisito.
(Fonte: Linkiesta)