Come prevedibile, Carlo Calenda e Matteo Renzi, i “Grattachecca & Fichetto” della politica italiana, è finita male. Appena si è trattato di fare entrambi un passo indietro, o di lato, e rinunciare a qualcosa, hanno litigato. E’ il destino di chi prova a fondare il Terzo polo in Italia, a interporsi tra le due coalizioni principali e a riportare in auge un centro morto e sepolto assieme alla Democrazia cristiana da ormai trent’anni.
I due sono troppo simili: prime donne, arrivisti, arroganti, narcisi. Benestanti, figli rispettivamente della Roma e della Firenze “bene“.
Una fusione a freddo, di convenienza, fatta per pesare di più alle scorse elezioni. Ora ritorneranno ai loro rispettivi partitini, Azione e Italia viva, sebbene sia difficile che una delle due coalizioni li accolga e prenda con se questi alleati così scomodi. Che portano più fastidi che voti.
Ma perché Calenda e Renzi hanno litigato?
Come ricostruisce Il Manifesto, la goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata la scelta di Matteo Renzi di assumere la direzione de Il Riformista. Comunicata a Calenda solo tre giorni prima. Il leader di Azione aveva così tuonato:
Bisogna stare attenti a non alimentare conflitti di interesse, Matteo scelga tra politica e giornalismo
Le ragioni principali però, a detta di Calenda, risiedono nel fatto che Renzi “non vuole prendere l’impegno a sciogliere Italia Viva e a finanziare il nuovo soggetto e le campagne elettorali“. Un anonimo dirigente di Azione aveva poi parlato di “tatticismi che durano mesi“.
Ma il nodo della discordia è soprattutto come arrivare al congresso che in autunno dovrebbe (o forse è meglio dire: avrebbe dovuto) sancire la nascita del partito unico. I renziani vogliono partire dai congressi sui territori, dove contano di più, visto che hanno ereditato le strutture del partito democratico da dove sono fuoriusciti; Calenda invece vorrebbe essere rapidamente incoronato leader.
Da Italia viva respingono al mittente ogni accusa di tatticismo. A prescindere da chi abbia ragione, le ragioni dei contrasti non sembrano sui contenuti (sui quali peraltro Azione e Italia viva la pensa sostanzialmente allo stesso modo) ma dovuti a soldi e leadership.
Insomma, la solita solfa della politica italiana e le solite motivazioni che hanno portato a tantissime separazioni da quando è finita la Prima Repubblica. Quando le leadership erano forti e inequivocabili e si sapeva come gestire il denaro all’interno dei partiti…
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