Chi è Boris Johnson, il pittoresco Premier che rischia di far sparire la Gran Bretagna

E alla fine, Boris Johnson ha raggiunto il proprio scopo. Facendosi eleggere leader del Partito conservatore britannico prima e poi Premier della Gran Bretagna. Prende il posto di Theresa May, vista come la nuova Margareth Tatcher quando è stata eletta all’indomani delle dimissioni di David Cameron, ma nei fatti incapace di gestire tanto la Brexit quanto il suo stesso partito.

Boris Johnson non è certo un volto nuovo, visto che fa politica dal 2001 (ha 55 anni), è stato Sindaco di Londra dal 2008 al 2016 (peraltro anche in modo apprezzato), nonché Ministro degli esteri nel Governo della succitata May.

Strenuo sostenitore della Brexit (il Referendum sull’uscita della Gran Bretagna dall’Ue, che come noto, ha visto vincere il Sì, ossia il Leave sul Remain, per soli 2 voti percentuali), ha vissuto sempre un rapporto in contrapposizione con i leader del suo partito. Cameron prima, contrario alla Brexit e convinto, indicendo il Referendum, che il Leave non avrebbe vinto. Facendosi, di fatto, male i calcoli. E May dopo, che voleva optare per una Brexit “soft”.

Ora però il biondo Boris Johnson quel partito se lo è preso. E vediamo dove rischia di portare la Gran Bretagna ma anche il Mondo [sta_anchor id=”boris”]intero[/sta_anchor].

Boris Johnson origini

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A ricostruire la sua biografia ci pensa SkyTg24. Nato a New York il 19 giugno 1964 da genitori inglesi (al tempo il padre Stanley Johnson era studente alla Columbia University), Alexander Boris de Pfeffel Johnson ottiene fin dalla nascita la doppia cittadinanza britannica e americana. Rinuncerà a quest’ultima nel 2016, ritenendo “non corretto” per un politico mantenere un doppio passaporto.

Boris Johnson passa l’infanzia tra la Gran Bretagna, gli Stati Uniti (dove il padre lavora per alcuni anni alla Banca mondiale) e Bruxelles, dove la famiglia si stabilisce quando Stanley Johnson diventa funzionario della Commissione europea. Boris studia prima a Eton, uno dei più prestigiosi college inglesi, e successivamente all’università di Oxford. Dopo la laurea, Johnson diventa giornalista e il primo impiego è come stagista al The Times, da cui però viene licenziato perché accusato di aver inventato una dichiarazione contenuta in un articolo. Passa quindi al Daily Telegraph, per il quale lavora come corrispondente da Bruxelles dal 1989 al 1994, diventando uno dei primi giornalisti “euroscettici”. Qui, la sua fama non è delle più positive: verrà poco apprezzato sopratutto dai colleghi giornalisti perchè noto per i suoi articoli “oltraggiosi” e solo “parzialmente basati su fatti veri“.

Boris Johnson carriera politica

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Il suo esordio in politica risale al 2001, quando viene eletto al Parlamento inglese con i conservatori. Fin dall’inizio si distingue per posizioni più “liberali” rispetto ai colleghi Tories, soprattutto su immigrazione e diritti civili. Nel 2004 però viene licenziato dalla carica di vicepresidente del partito da Michael Howard, allora leader Tory, per avere mentito su una relazione extra-coniugale. Rimane nella Camera dei Comuni fino al 2008, periodo nel quale svolge anche le funzioni di ministro ombra della Cultura nel 2004, nel governo di Michael Howard, e dal 2005 dell’Istruzione, nel governo di David Cameron.

Boris Johnson cosa ha fatto come Sindaco di Londra

Nel 2008 arriva la candidatura a sindaco di Londra: nel maggio di quell’anno batte al ballottaggio il laburista Ken Livingstone e diventa il primo cittadino della capitale. Si distingue per alcune novità soprattutto in fatto di “verde”: tra queste, il sistema di bike sharing cittadino, l’installazione di numerose stazioni di ricarica delle auto elettriche, oltre che un salario minimo più alto. Nel 2012 viene rieletto per un secondo mandato, nell’anno in cui la capitale britannica ospita le Olimpiadi. Al temine del suo incarico, nel 2016, il 52% dei londinesi è soddisfatta di Jonhson e ritiene che abbia fatto “un buon lavoro”. Nelle elezioni generali britanniche del maggio 2015, Johnson viene rieletto al Parlamento britannico, per il collegio di Uxbridge and South Ruislip.

Boris Johnson cosa pensa su Brexit

Boris Johnson foto

Poco dopo il suo rientro in Parlamento, Johnson diventa una delle figure più importanti a favore del “Leave” nella campagna per il referendum su Brexit (tenutosi il 23 giugno 2016). Con la vittoria della Brexit, l’ex premier Cameron è costretto a dimettersi, mentre Johnson viene nominato ministro degli Esteri nel nuovo governo di Theresa May. Un idillio che dura poco però: nel luglio 2018 Johnson si dimette da ministro per protesta contro la linea “morbida” per l’uscita dall’Unione europea sostenuta dal governo May.

Come suo successore agli Esteri viene nominato Jeremy Hunt, mentre Johnson inzia a preparare il terreno per la mossa che tutti aspettavano: la sua candidatura alla guida del Partito conservatore. Una mossa che si concretizza a maggio 2019, alla vigilia delle dimissioni di May, quando Johnson ufficializza la sua corsa alla leadership dei Tories.

Fin da subito è chiaro che Boris è il favorito, premiato dalla linea che vuole tenere aperta l’opzione di una uscita senza accordo dall’Ue e rifiutando l’accordo sul “backstop” del confine irlandese. A sfidarlo, nelle primarie del partito, è proprio il suo successore alla poltrona di ministro Jeremy Hunt, anche lui tra i più oltranzisti sul tema Brexit.

Boris Johnson e il suo passato da giornalista bugiardo

Avvenire, invece, sottolinea la sua carriera da giornalista non proprio irreprensibile. Sin dagli studi superiori, Boris, ostinato a non imparare a memoria il Riccardo III perché avrebbe letto le battute della recita sui fogli incollati alle colonne del palco, era

«convinto – raccontava il professore Martin Hammond – di essere destinato a ottenere tutto ciò che voleva senza guadagnarselo».

Persuasione antesignana di quell’attitudine politica che Gideon Rachman, sul Financial Times, ha chiamato «tortismo» (cakeism).

Dopo la laurea in Storia antica all’Università di Oxford, Johnson si dà al giornalismo. Assunto dal Times, viene licenziato per essersi inventato una dichiarazione, attribuita al suo padrino, su una presunta relazione omosessuale di Edoardo II. Arriva quindi al Telegraph e nel 1989, a 24 anni, diventa corrispondente per gli affari europei da Bruxelles.

I colleghi raccontano che Boris andasse in giro per la città, la stessa dove aveva vissuto da bambino quando suo padre, diplomatico britannico, fu trasferito per lavoro, con un’auto sportiva rossa e pantaloncini bucati.

Alle conferenze stampa dava spettacolo storpiando intenzionalmente il suo perfetto accento francese. Il gusto di prendere in giro l’Europa si trasforma in una tendenziosa produzione di notizie spesso false o fuorvianti. Gli altri corrispondenti lo chiamano «pataccaro».

Boris Johnson e il suo rapporto con Steve Bannon

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Lo scorso giugno, Boris Johnson si è ritrovato al centro di un impechment. O quasi. Dopo quelle sollevate dalla sua lite con la fidanzata Carrie Symonds.

Come riporta Globalist, il domenicale del Guardian, l’Observer, rilancia la notizia, precedentemente negata da Johnson, di un legame tra il candidato numero uno alla leadership dei Tories e Steve Bannon, l’ex capo stratega di Donald Trump e ‘guru’ di diversi partiti e movimenti sovranisti europei.

Le immagini di un video ottenuto dal settimanale mostrano Bannon che parla del suo rapporto con Johnson e dell’aiuto fornito per scrivere il discorso pronunciato dopo le dimissioni da ministro degli Esteri del governo di Theresa May, per i contrasti sulla trattativa con la Ue per la Brexit.

Le notizie di un legame tra Johnson e Bannon vennero pubblicate la prima volta la scorsa estate. All’epoca, Johnson negò qualsiasi legame politico con l’ex braccio destro di Trump. Il video pubblicato dall’Observer è stato girato nella settimana in cui Johnson si dimise dal governo e nella quale Bannon si trovava a Londra per incontrare alcuni leader della destra europea, compreso il leader del Brexit Party, Nigel Farage.

Gran Bretagna rischia di implodere?

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Il voto su Brexit, tra gli stati appartenenti alla Gran Bretagna, non è stato univoco. E ciò rischia di creare una vera e propria implosione della stessa.

Con Londra, la Scozia, Gibilterra e Irlanda del Nord schierate con decisione a favore della permanenza nell’Ue, mentre da Galles e Nord dell’Inghilterra è arrivato un plebiscito per l’addio alla casa comune europea.

Un quadro dipinto da RaiNews, in cui Londra, a sua volta a favore del Remain, si ritrova capitale in dissenso con buona parte del Paese e allo stesso tempo minacciata dalla già dichiarata intenzione della leadership scozzese e nordirlandese di voler restare in Ue.

La Scozia ha votato con il 62% per il Remain e a ciò si aggiunge anche il fatto che già 2 anni prima aveva tentato di uscire dalla Gran Bretagna con un Referendum (ma vinse il Remain).

L’Inghilterra ha votato per la Brexit (Britain exit), con il fronte anti-Ue particolarmente forte nel Nord e nel Sud-Est, dove la questione dell’immigrazione sembra aver catalizzato il voto degli elettori.

Il Sunderland, Nord-Est inglese, ha dato il la con un sostegno al 61,3% per il Leave, tra i primi risultati a essere annunciati. Un fulmine seguito da una raffica di voti per l’uscita dall’Ue in tutta la parte settentrionale dell’Inghilterra, compresa Sheffield, che era data alla vigilia favorevole al Remain.

Anche a Birmingham, seconda città inglese, ha scelto la Brexit, anche se di misura. Unica grossa eccezione, la città di Manchester, che tuttavia con il suo 60,4% per l’Ue non è¨ riuscita a cambiare il corso del voto .

La città cosmopolita, la più grande e più popolosa capitale dell’Ue (ancora per due anni al massimo) con i suoi 8,6 milioni di abitanti, ha votato con decisione per restare nell’Ue, volontà espressa da circa il 60% di chi si è¨ recato a votare.

Il Galles ha votato complessivamente per la Brexit, ma la sua capitale, Cardiff, si è espressa al 60% per il Remain.

L’Irlanda ha chiesto di restare nell’Ue, come previsto: 56% per il Remain. Il Sinn Fein, ex braccio politico dell’Esercito Repubblicano Irlandese (IRa), ha subito chiesto la convocazione di un referendum sull’unificazione con l’Irlanda. Peraltro, uno dei temi più delicati sulla riuscita della Brexit è proprio la questione del confine tra Irlanda del Nord ed Eire.

A completare il quadro di disunione britannica che emerge dal voto c’è infine Gibilterra, che ha segnato il record di voti per il Remain, a oltre il 95%. La piccola enclave britannica nel Sud della Spagna teme l’isolamento, soprattutto economico, dal resto dell’Europa. La sua economia dipende infatti in gran parte dalle relazioni con l’Ue. E la Spagna ha già proposto una “sovranità condivisa” per garantire a Gibilterra la permanenza nell’Ue.

Insomma, con Johnson la Gran Bretagna rischia di isolarsi dal resto d’Europa. Ma anche del Mondo. Il suo atteggiamento sui generis conferma che da qualche anno al governo ci finiscono i personaggi più pittoreschi. Bravi ad arrivare alla pancia della gente. Sebbene alla fine possono anche fare cose positive. Si veda quanto fatto dallo stesso Boris come Sindaco di Londra o il vituperato Trump come Presidente degli Usa.

Forse vale davvero il motto: “buoni a nulla, ma capaci di tutto”.

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