Introduzione
Il Comitato interministeriale per la transizione ecologica (Cite) ha imposto che entro il 2035 dovrà terminare la produzione di automobili a motore termico. Mentre cinque anni di proroga sono stati dati per i veicoli commerciali.
A deciderlo i vertici che vi fanno parte, tre ministeri che di concerto lavorano al Cite: Stefano Cingolani, Enrico Giovannini e Giancarlo Giorgetti. Una scelta che, ad onor del vero, è in linea con quanto ci chiede l’Unione europea. Che è il contesto in assoluto più virtuoso a livello mondiale. Con un calo di oltre il 20% delle emissioni negli ultimi 30 anni, mentre ovunque nel globo sono cresciute a dismisura. Soprattutto in Asia, con Cina e India capofile.
Se la notizia sembra ottima in chiave green, in realtà la decisione porterà un impatto positivo modesto ma un grave danno per l’occupazione. Già in sofferenza da anni nel settore automobilistico.
Ecco i dati poco confortanti.
Stop al motore termico: danni all’occupazione
Come riporta Il primato nazionale, il settore dei trasporti contribuisce per il 20% circa all’inquinamento ambientale. Al suo interno, le automobili private e veicoli commerciali incidono per meno dell’80%. Quindi, le vetture a motore termico sono responsabili grossomodo del 15% del totale delle emissioni.
Praticamente pesano un terzo di quelle prodotte insieme da industria e produzione di energia. In un contesto già estremamente attento all’ambiente.
Si continua a spingere per l’elettrificazione delle auto. Ma ho già riportato come esse siano un bluff e anzi, un’ulteriore danno per la nostra privacy.
Una vettura a motore elettrico ha bisogno, in fase di assemblaggio, di circa un quarto della manodopera e di più o meno un quinto dei componenti. Tradotto brutalmente: secondo una recente ricerca commissionata da Clepa – l’associazione che riunisce a livello comunitario le realtà della filiera – da qui al 2040 verrebbero letteralmente vaporizzati 275mila posti di lavoro. Molti dei quali, neanche a dirlo, in Italia.